Cass. civ. Sez. V, Sent., 23-05-2012, n. 8108 Agevolazioni tributarie Esecuzione fiscale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. L’Agenzia delle Entrate ricorre nei confronti della Nuove Acque s.p.a. (che resiste con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale condizionato) per la cassazione della sentenza con la quale la C.T.R. Toscana ha riformato la sentenza di primo grado che aveva rigettato il ricorso della società.

La controversia ha ad oggetto l’impugnazione della comunicazione- ingiunzione con la quale l’Agenzia delle Entrate ha recuperato l’Irpeg e l’Ilor per l’anno di imposta 1999 non versate in virtù del regime di esenzione fiscale riconosciuto (ai sensi della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 e D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14, convertito in L. n. 427 del 1993) alle società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria esercenti servizi pubblici locali e dichiarato aiuto di stato non compatibile con il mercato comune ai sensi dell’art. 87 comma 1 del trattato CE con decisione della Commissione delle Comunità Europee 2003/93/CE. In particolare, i giudici d’appello hanno ritenuto che l’Agenzia avesse agito correttamente operando il recupero attraverso comunicazione-ingiunzione, come previsto dal D.L. n. 10 del 2007, art. 1, ed hanno escluso che sulla possibilità del recupero potesse influire il mancato rispetto del termine di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 o l’adesione al c.d. condono tombale ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9.

I suddetti giudici hanno inoltre aggiunto che all’epoca dei fatti il servizio pubblico locale di gestione idrica era tradizionalmente sottratto alla libera concorrenza, che nella specie l’affidamento alla società era avvenuto senza concorrenza perchè il servizio non era aperto al libero mercato, infine che l’attività della società non si era estesa oltre il territorio dei Comuni soci nè si era rivolta a scopi o oggetti diversi da quelli in questione, e che pertanto la moratoria fiscale di cui fruì la società non ebbe alcuna incidenza sul mercato 2. Deve innanzitutto essere disposta la riunione dei ricorsi siccome proposti avverso la medesima sentenza.

Con un unico motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 86, 87 e 88 del Trattato CE, della decisione della Commissione Europea n. 2003/193/CE, della sentenza della Corte di Giustizia 11.06.2009 in causa T-222/04 nonchè del D.L. n. 10 del 2007, art. 1 e L. n. 62 del 2005, art. 27, la ricorrente principale si duole del fatto che i giudici di appello abbiano annullato l’atto opposto in ragione dell’ambito territoriale limitato e del regime di monopolio in cui la società operava, pur essendo state tali circostanze già considerate sia dalla Commissione europea nella citata decisione 2003/93/CE che dalla Corte di Giustizia (Tribunale di prima istanza) in causa T-222/04.

La ricorrente aggiunge inoltre che le predette circostanze (ambito territoriale limitato e regime di monopolio) dovevano ritenersi irrilevanti anche sulla base del diritto interno, posto che il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, prevede che l’Agenzia delle Entrate provvede al recupero degli "aiuti" con l’unica eccezione degli importi sotto la soglia "de minimis".

La censura è fondata.

La decisione della Commissione – la cui validità risulta peraltro implicitamente confermata dalla sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia il 1 giugno 2006 in C-207/05 nell’ambito della procedura di infrazione ex art. 228 del Trattato CE n. 2006/2456- ha dichiarato l’incompatibilità col mercato comune del regime agevolativo previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 70 e D.L. n. 331 del 1993, art. 66, comma 14. La sentenza impugnata sembra muovere dalla erronea considerazione che la citata decisione n. 2003/193/CE abbia demandato alla Repubblica italiana di individuare l’applicabilità del recupero in relazione ai singoli casi individuali, a prescindere dall’appartenenza delle imprese al novero delle s.p.a. costituite ai sensi della L. n. 142 del 1990, art. 22, destinatane della esenzione triennale dall’imposta sul reddito, e dalla rilevanza della categoria de minimis.

E’ invece da rilevare che l’affermazione, da parte della Commissione, che la decisione non pregiudica la possibilità che aiuti individuali siano considerati totalmente o parzialmente compatibili con il mercato comune – ad esempio perchè rientranti nelle regole de minimis o nel contesto di una futura decisione della Commissione o in virtù di un regolamento di esenzione- non significa affatto che si sia attribuita, all’amministrazione o al giudice nazionale, la possibilità di valutare la sussistenza di singole ipotesi di compatibilita e quindi di escludere singoli aiuti dal recupero. A tacer d’altro, è sufficiente interpretare la previsione in parola alla luce dell’aggiunta esplicativa, la quale fa riferimento agli aiuti rientranti nelle regole de minimis – già esaminati dalla stessa Commissione (e peraltro contemplati dal legislatore italiano nel citato D.L. n. 10 del 2007, art. 1) – ovvero ad una futura decisione della stessa Commissione (al cui vaglio pertanto devono essere evidentemente sottoposte eventuali specifiche circostanze idonee a determinare la compatibilità di singoli aiuti), oppure ad un regolamento di esenzione.

Da quanto esposto discende che il recupero dell’aiuto di Stato è obbligatorio, con l’eccezione della sola appartenenza dell’aiuto individualmente concesso alla categoria de minimis, e detta obbligatorietà non consente al giudice nazionale alcuna diversa valutazione, in quanto l’esame della compatibilità di una misura nazionale di aiuti di Stato rientra nella competenza esclusiva della Commissione delle Comunità Europee.

Peraltro, i fatti valorizzati nella sentenza impugnata (ossia: che la società aveva operato in settori al tempo sottratti alla concorrenza e la sua attività non si era svolta oltre il territorio dei Comuni soci) risultano già esposti dalle imprese interessate nel procedimento che ha portato all’adozione della decisione comunitaria di cui si discute (v. il considerando 22 della stessa) e sono stati ritenuti irrilevanti dalla Commissione.

In particolare, la Commissione ha evidenziato l’irrilevanza della circostanza che l’impresa beneficiarla operi in regime di monopolio di fatto sia perchè "il mercato delle concessioni dei cosiddetti servizi pubblici locali è un mercato aperto alla concorrenza comunitaria (..) e soggetto alle regole del Trattato" (v.

considerando n. 68) sia perchè le misure in esame, per un verso "incidono sugli scambi tra Stati membri poichè esse danneggiano imprese straniere partecipanti a gare per concessioni locali in Italia, dato che le imprese pubbliche beneficiane del regime in oggetto possono concorrere a prezzi più competitivi rispetto ai loro concorrenti nazionali o comunitari che non ne beneficiano" e, per altro verso, rendono "meno attraente per le imprese di altri Stati membri investire nel settore (..) (ad esempio con acquisto di partecipazione di maggioranza), poichè le aziende eventualmente acquisite non potrebbero beneficiare (o potrebbero perdere) l’aiuto, in conseguenza della natura dei nuovi azionisti" (v. i considerando n. 69 e seguenti).

La decisione in esame ha peraltro precisato che una certa concorrenza, almeno in taluni dei settori di operatività delle s.p.a. ex lege n. 142 del 1990, comunque esisteva anche al momento dell’entrata in vigore delle misure agevolative (per es. nei settori dei rifiuti, del gas e dell’acqua), aggiungendo che è principio acquisito che, "quand’anche la concorrenza in un determinato settore economico e in un determinato momento sia limitata", gli Stati membri non possono comunque adottare misure comportanti aiuti "suscettibili di impedirne lo sviluppo o di diminuire il grado di concorrenza".

A quanto esposto è infine da aggiungere che con sentenza 1 giugno 2006 nella causa C-207/05 la Corte di giustizia – nell’ambito della procedura di infrazione ex art. 228 del Trattato CE n. 2006/2456, in relazione alla mancata adozione, entro i termini prescritti, dei provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune dalla decisione della Commissione 5 giugno 2002, 2003/193/CE- ha dichiarato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa imposti dagli artt. 3 e 4 di tale decisione.

Poichè la Corte di giustizia, pronunciando sull’infrazione, conferma, ancorchè implicitamente, la validità della decisione della Commissione, in tali termini deve riconoscersi alla relativa sentenza anche una valenza interpretativa.

Tanto esclude che possa fondatamente rimettersi in discussione (eventualmente alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia, v. ad esempio sentenza 9 giugno 2011 in causa C- 71/09 e 22.11.2011 in causa CI9/09) la decisione della Commissione attraverso un rinvio pregiudiziale, eventualità invece non esclusa per il solo fatto della definitività della suddetta decisione, posto che tale definitività non impedisce una verifica della sua validità nell’ambito della competenza pregiudiziale ex art. 234 del Trattato CE (v. in proposito Cass. n. 8319 del 2004).

Col primo motivo del ricorso incidentale, deducendo violazione e falsa applicazione del D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2, conv. in L. n. 46 del 2007 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, la ricorrente rileva che la L. n. 62 del 2005 imponeva alle società beneficiarle della c.d. moratoria fiscale una apposita dichiarazione dei redditi in relazione ai periodi ai quali era riferibile il beneficio e che con tale dichiarazione essa ricorrente aveva dichiarato un risultato imponibile pari a zero in forza di variazione in diminuzione di importo pari alla somma dell’utile di bilancio.

Tanto premesso, la ricorrente aggiunge che il D.L. n. 10 del 2007, art. 1, comma 2, prevedendo che "l’Agenzia delle entrate sulla base delle comunicazioni trasmesse dagli enti locali e delle dichiarazioni dei redditi presentate dalle società beneficiane….liquida le imposte coi relativi interessi", abilita l’Agenzia a determinare l’imposta sulla base di quanto dichiarato e non a rettificare il reddito imponibile, con la conseguenza che nella specie doveva essere emesso avviso di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39.

La censura è infondata.

La decisione della Commissione 2003/193 CE dispone che le autorità italiane procedano senza indugio al recupero di tutti gli aiuti individuali concessi sulla base dei regimi giudicati dalla Commissione incompatibili con il diritto comunitario. Tale decisione è stata impugnata dinanzi alla Corte di Giustizia e, medio tempore, la L. n. 65 del 2005, art. 27, ha disposto il recupero degli "aiuti equivalenti alle imposte non corrisposte in conseguenza del regime di esenzione fiscale reso disponibile, per effetto della L. 28 dicembre 1995, n. 549, art. 3, comma 70 e del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 66, comma 14, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, in favore delle società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria, esercenti servizi pubblici locali, costituite ai sensi della L. 8 giugno 1990, n. 142".

Questa legge è stata giudicata sostanzialmente inidonea a dare prova dell’adempimento dello Stato italiano al dovere di recupero degli aiuti illegittimi imposto dalla Commissione, pertanto, con sentenza del 1 giugno 2006 in causa C-207/05, la Corte di giustizia ha affermato che la Repubblica italiana era venuta meno agli obblighi imposti dagli artt. 3 e 4 della citata decisione della Commissione europea, "non avendo adottato entro i termini prescritti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti dichiarati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune". A seguito di tale sentenza è stato approvato il D.L. n. 10 del 2007, il cui art. 1 stabilisce le modalità del recupero degli aiuti in questione.

Su tale disposizione si è pronunciata la Corte costituzionale che, con l’ordinanza n. 36 del 2009, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale attinente al valore retroattivo della disposizione de qua, affermando che "la denunciata efficacia retroattiva delle norme censurate trova giustificazione sia nell’art. 117 Cost., comma 1, in conseguenza dell’obbligo imposto dall’ordinamento comunitario al legislatore italiano di procedere al recupero delle somme corrispondenti alle agevolazioni fiscali non compatibili con la normativa comunitaria; sia nell’art. 3 Cost., data l’esigenza di ricondurre ad uguaglianza la posizione dei contribuenti e non potendo, di regola, i beneficiari invocare alcun legittimo affidamento sugli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune.

Alla luce di quanto sopra esposto risulta evidente che, a seguito della decisione della Commissione del 5 giugno 2002 e della sentenza della Corte di Giustizia del 1 giugno 2006, l’azione per il recupero degli aiuti di Stato di cui è causa è regolata esclusivamente dal D.L. n. 10 del 2007, art. 1. Tale norma, stante la doverosità, per lo Stato italiano, di procedere al recupero di agevolazioni ritenute incompatibili con il diritto comunitario, detta una specifica procedura per detto recupero, sottraendolo pertanto alla ordinaria disciplina in tema di accertamento del reddito imponibile.

Col secondo motivo, deducendo violazione dell’art. 15 Regolamento 1999/659/CE e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 2, la ricorrente sostiene che, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, applicabile nella specie, la comunicazione-ingiunzione opposta non risulta tempestivamente notificata.

Col terzo motivo, deducendo violazione della L. n. 289 del 2002, art. 9, della decisione della Commissione CE 2003/193/CE, nonchè della L. n. 62 del 2005, art. 27 e D.L. n. 10 del 2007, art. 1, la ricorrente sostiene che nella specie l’Erario ha illegittimamente avanzato una pretesa impositiva in ordine ad annualità coperta da condono tombale, dovendo ritenersi che gli effetti preclusivi dell’accertamento tributario, stabiliti per il condono tombale, siano applicabili anche con riguardo alle agevolazioni ritenute aiuti di Stato incompatibili col mercato comune dalla decisione 2003/93/CE. I due motivi che precedono, da esaminare congiuntamente perchè logicamente connessi, sono infondati.

Occorre in proposito considerare che, quando è configurabile un aiuto di Stato, ogni valutazione sulla incidenza del decorso del tempo non può prescindere dal considerare, da un lato, che l’art. 15 del Regolamento CE n. 659/1999 fìssa un limite di dieci anni al potere della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti di Stato, e, dall’altro, che l’art. 249 del Trattato CE detta la regola della obbligatorietà di tale decisione, in tutti i suoi elementi, per i destinatari in essa designati. Lo Stato membro è tenuto perciò ad eseguirla (Corte Giust. CE, 2 febbraio 1989, in causa C-94/87, Commissione c. Germania), salva l’esistenza di circostanze eccezionali da cui derivi l’impossibilità assoluta per lo Stato membro di darvi corretta esecuzione. E’ inoltre da precisare che il concetto di impossibilità assoluta è stato interpretato in maniera restrittiva dalla giurisprudenza comunitaria, ed in particolare è stato escluso che essa possa essere costituita dalla normativa nazionale sulla prescrizione – v. Comunicazione della Commissione: Verso l’esecuzione effettiva delle decisioni della Commissione che ingiungono agli Stati membri di recuperare gli aiuti di Stato illegali e incompatibili (2007/C-272/05), punti 18-20, riportata in "Applicazione della normativa UE in materia di aiuti di Stato da parte dei giudici nazionali. La comunicazione sull’applicazione della normativa e altre disposizioni in materia", a cura della Commissione europea, Bruxelles, 2010-.

Anche in considerazione delle argomentazioni che precedono, questo giudice di legittimità ha ripetutamente affermato che la normativa nazionale sulla prescrizione e sulla decadenza deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora tale normativa impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con il mercato comune da una decisione della Commissione divenuta definitiva (v. cass. n. 26286 del 2010 e n. 23418 del 2010).

Tanto premesso, occorre in ogni caso aggiungere, non solo con riguardo alla disciplina nazionale relativa ad istituti come prescrizione e decadenza, ma anche con riguardo alla disciplina nazionale prevedente condoni fiscali, che la Corte di Giustizia, nella sentenza 20 marzo 1997 in causa C-24/95 Alcan (punti 34-37), ha affermato che: "in materia di aiuti di Stato dichiarati incompatibili, il compito delle autorità nazionali … consiste solo nel dare esecuzione alle decisioni della Commissione. Le dette autorità non dispongono pertanto di alcun potere discrezionale quanto alla revoca di una decisione di concessione".

E’ inoltre da sottolineare che il comma 3 dell’art. 14 del Regolamento (CE) del Consiglio 22 marzo 1999 n. 659, recante modalità di applicazione dell’art. (88) del Trattato CE prevede che, "fatta salva un’eventuale ordinanza della Corte di giustizia delle Comunità europee emanata ai sensi dell’art. 242 del trattato, il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione".

E’ vero che, secondo la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, la definizione automatica limitatamente a ciascuna annualità rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni, tuttavia questa disposizione deve essere disapplicata per contrasto con il principio di effettività proprio del diritto comunitario, qualora essa impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione divenuta definitiva.

In proposito, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità ha affermato che il fondamento della diretta applicazione e della prevalenza delle norme comunitarie su quelle statali si rinviene essenzialmente nell’art. 11 Cost. – laddove esso stabilisce che l’Italia consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni – e che il contrasto tra norme statali e disciplina comunitaria non da luogo alla invalidità o illegittimità delle prime, ma ne comporta la "non applicazione", consistente nell’impedire che la norma interna venga in rilievo per la definizione della controversia davanti al giudice nazionale (v. tra le altre Cass. n. 4466 del 2005).

Peraltro, nella stessa ottica, la Corte di Giustizia ha affermato che il diritto comunitario osta anche all’applicazione del principio dell’autorità della cosa giudicata ove esso contrasti con il principio di effettività, nei limiti in cui l’applicazione del primo principio impedisca il recupero di un aiuto di Stato dichiarato incompatibile con decisione della Commissione divenuta definitiva (v.

Corte Giustizia sentenza 18 luglio 2007 in causa C-l 19/05 Lucchini).

Nè avrebbe senso, in proposito, richiamarsi alla c.d. "teoria dei controlimiti" elaborata da alcune Corti costituzionali interne come difesa della sovranità statale nel caso in cui fosse minacciata dal primato comunitario in alcuni valori considerati irrinunciabili dall’ordinamento interno. E’ infatti difficile ascrivere la disciplina clemenziale o quella in materia di prescrizione all’ambito dei "valori irrinunciabili dell’ordinamento", senza contare che la stessa teoria dei controlimiti, che pure trovava ragionevoli giustificazioni negli anni 70-80 del secolo scorso, quando il processo di integrazione era nelle fasi iniziali, sembra oggi in aperta contraddizione con il concetto stesso di integrazione quale risulta attualmente anche in ragione dell’evoluzione della giurisprudenza della Corte di Giustizia – che ha fornito prove sufficienti di tutela dei diritti fondamentali – e del richiamo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, avente valore vincolante anche nei confronti delle istituzioni europee, al punto che il conflitto tra diritto comunitario e diritto statale non sembra oggi più concepibile in uno spazio giuridico europeo veramente integrato.

3. Alla luce di quanto sopra esposto, il ricorso principale deve essere accolto e l’incidentale deve essere rigettato. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al ricorso accolto con rinvio ad altro giudice che provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale e rigetta l’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia anche per le spese a diversa sezione della C.T.R. Toscana.

Così deciso in Roma, il 24 gennaio 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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