Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 15-11-2011, n. 42028

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 15/3/2011 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Civitavecchia applicava a B.G. – sull’accordo delle parti, ai sensi dell’art. 444 c.p.p. – la pena di anni due e mesi undici di reclusione ed Euro 12.200,00 di multa per tentata rapina aggravata e violazione della legge sugli stupefacenti, ritenuti i reati avvinti dalla continuazione e determinando la pena secondo i seguenti calcoli: pena base anni 6 di reclusione ed Euro 27.000,00 di multa, diminuita ad anni 4 di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa per le attenuanti generiche, aumentata ad anni 4 e mesi 3 di reclusione ed Euro 18.300,00 di multa per la continuazione, pena finale di anni due e mesi undici di reclusione ed Euro 12.200,00 di multa per la diminuente per la scelta del rito.

Il giudicante dichiarava altresì l’imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.

Avverso tale decisione ricorre per Cassazione l’imputato, con atto sottoscritto personalmente e depositato nel termine previsto per impugnare, deducendo violazione di legge sul rilievo che il giudicante avrebbe erroneamente applicato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici, essendo stata applicata in concreto la pena detentiva inferiore a tre anni, e, per di più, considerando anche l’aumento per la continuazione; osserva il ricorrente che, ai fini dell’applicazione delle pene accessorie, in caso di continuazione, deve aversi riguardo alla pena determinata per la violazione più grave, e, in ipotesi di patteggiamento, deve tenersi conto della pena in concreto applicata considerando anche la diminuente per il rito.

Il ricorso è fondato. Vero è che nella concreta fattispecie si tratta di ipotesi di c.d. "patteggiamento allargato" ( art. 444 c.p.p., comma 1, come modificato dalla L. n. 134 del 2003) che, a differenza del patteggiamento ordinario, comporta l’obbligo per il giudice di applicare le pene accessorie; ma è altresì evidente l’errore in cui è incorso il giudice di merito, posto che ha applicato la pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di cinque anni (definita nella motivazione della sentenza quale "sanzione" accessoria), pur avendo applicato una pena detentiva inferiore al limite di tre anni stabilito nell’art. 30 c.p..

Mette conto sottolineare che nella giurisprudenza di legittimità è stato condivisibilmente affermato che "in caso di condanna per reato continuato, la pena principale alla quale si deve fare riferimento per stabilire la durata della conseguente pena accessoria è quella inflitta per la violazione più grave, come determinata per effetto del giudizio di bilanciamento tra le circostanze attenuanti ed aggravanti, e non già quella complessivamente individuata tenendo conto dell’aumento per la continuazione (Fattispecie relativa alla pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici)" (Sez. 6, 27 marzo 2008 – 30 aprile 2008, Pizza, n. 17616, RV 24006; conformi:

Sez. 6, 13.2.2006, Prestipino Giarritta, RV 234496; Sez. 4, 25.2.1999, Lubrano, RV 213149). Le Sezioni Unite ebbero modo altresì di precisare – con specifico riferimento al rito abbreviato, ma è evidente che si tratta di principio riferibile anche all’ipotesi del patteggiamento, data la "eadem ratio" – che "ai fini dell’applicazione all’esito del giudizio abbreviato della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, deve sempre aversi riguardo alla pena principale irrogata in concreto, come risultante a seguito della diminuzione effettuata per la scelta del rito" (Sez. Un. 27 maggio 1998, p.m. in c. Ishaka, RV 210980); con specifico riferimento al patteggiamento è stato enunciato il condiviso principio secondo cui "in caso di applicazione di pena su richiesta delle parti in misura non inferiore a tre anni di reclusione occorre tener conto, per l’irrogazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, della determinazione in concreto della pena, e quindi dell’incidenza delle circostanze attenuanti e del bilanciamento eventualmente operato con le circostanze aggravanti oltre che della diminuente per il rito" (in termini, Sez. 1, n. 12894 del 06/03/2009 Cc. – dep. 24/03/2009 – Rv.

243045).

Poichè è stata dunque applicata erroneamente una pena accessoria, la stessa – non rientrando nell’ambito dell’accordo tra le parti – può ben essere direttamente eliminata da questa Corte, previo annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza limitatamente a tale punto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente alla disposta interdizione dai pubblici uffici, sanzione che elimina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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