Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 15-11-2011, n. 42026

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.T.R., a mezzo del suo difensore munito di procura speciale, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza 18- 23 novembre 2009 del Tribunale di Palmi, che – giudicando in sede di reclamo/opposizione contro l’ordinanza in data 15 febbraio 2000 della Corte d’Assise di Palmi (provvedimento notificato al difensore solo in data 15 luglio 2008) che aveva revocato d’ufficio l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato avendo ritenuto già inizialmente insussistenti le condizioni di reddito previste per l’ammissione all’indicato beneficio – ha respinto l’impugnazione ritenendo, in contrasto con la tesi del ricorrente, che fosse ammissibile la revoca d’ufficio anche in mancanza di richiesta dell’Ufficio finanziario.

A fondamento del ricorso si deducono i vizi di violazione di legge e illogicità manifesta della motivazione perchè la revoca dal beneficio, a seguito della verifica dell’inesistenza iniziale delle condizioni di reddito, non potrebbe essere adottata d’ufficio dal giudice che procede, senza la richiesta dell’Ufficio finanziario, perchè le norme applicabili in materia non lo consentirebbero, come del resto confermato dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione (sent. n. 36168 del 14 luglio 2004, Pangallo) e della Corte costituzionale (sent. n. 144 del 1999). I medesimi vizi sarebbero poi ravvisabili: 1) nell’aver il giudice ritenuto che la revoca del beneficio potesse fondarsi sull’esito di una sentenza di condanna pur non definitiva (per partecipazione ad associazione di stampo mafioso dedita tra l’altro al traffico di stupefacenti), e ciò in violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, comma 4 bis (comma aggiunto dal D.L. n. 92 del 2008, art. 12 ter, comma 1, lett. a), convertito nella L. n. 125 del 2008); 2) nell’aver altresì il giudice ritenuto che i proventi, asseritamente conseguiti in conseguenza dell’illecita attività svolta, non avrebbero potuto essere accertati, sotto il regime della normativa all’epoca vigente ( L. n. 217 del 1990), da parte dell’Intendenza di Finanza per essere tale ufficio, ad avviso del Tribunale, abilitato a compiere un controllo esclusivamente formale. Secondo la tesi del ricorrente, all’Intendenza di Finanza erano invece riconosciuti poteri di accertamento reddituale anche di natura sostanziale, ad esempio in base al tenore di vita, finalizzati a verificare lo stato di non abbienza dell’interessato. Afferma ancora il ricorrente che l’impugnato provvedimento sarebbe del tutto disancorato dalla normativa che disciplina la materia in forza della quale le presunzioni semplici – ai fini della determinazione del reddito per l’ammissione al gratuito patrocinio – debbono basarsi su provvedimento giurisdizionale che abbia il crisma del passaggio in giudicato, come peraltro precisato anche dalla stessa sentenza n. 25044/2007 della Cassazione richiamata nell’impugnato provvedimento.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente osservarsi che tutte le considerazioni svolte dal giudice di seconda istanza, ed anche in chiave di dissenso rispetto alla decisione delle Sezioni Unite di questa Corte n. 36168 del 14 luglio 2004, Pangallo – circa la possibilità o meno per il giudice di revocare di ufficio un precedente provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio pur in mancanza di richiesta in tal senso da parte dell’ufficio finanziario – debbono considerarsi ormai superate in quanto la questione è stata risolta normativamente dalla L. n. 168 del 2005 che, ad integrazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (che a sua volta aveva modificato la L. n. 215 del 1990 in materia di patrocinio a spese dello Stato), ha esplicitamente previsto il generale potere di revoca di ufficio, da parte del giudice, del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio anche nel caso di ritenuta insussistenza "ab origine" dei requisiti per il beneficio. A tale legge, nel caso in esame, non vi è stato alcun accenno da parte del giudice dell’impugnazione il quale ha rigettato l’opposizione dell’interessato ritenendo comunque sussistente il potere di revoca, in base ad una interpretazione in (consapevole) contrasto con quella che era stata la decisione delle Sezioni Unite, Pangallo, del 2004; detta novella ha, all’evidenza, superato ovviamente anche il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza appena ricordata (secondo cui non poteva ritenersi attribuito al giudice un generale potere di revoca di ufficio del beneficio "de quo") che, dunque, non ha più ragion d’essere.

Trattandosi di controversia ancora in corso non v’è dubbio alcuno circa l’applicabilità della richiamata novella al caso in esame, in virtù del principio "tempus regit actum", come peraltro è dato leggere nella motivazione della sentenza n. 20087/2010 di questa Quarta Sezione laddove è stato ritenuto che la riforma in argomento è applicabile a "tutte le situazioni pendenti in base al principio tempus regit actum", con le ulteriori, e condivisibili, precisazioni che qui di seguito si ritiene opportuno riportare testualmente: "la novella non ridefinisce i requisiti ed i criteri che fondano il diritto alla fruizione del beneficio in questione; ma si limita a regolare le modalità del controllo sull’esistenza di tali requisiti, e la relativa procedura, consentendo al giudice, in ogni tempo, di verificare la genetica esistenza delle condizioni per la fruizione del patrocinio gratuito. Dunque, muta la regolazione della procedura;

e tale mutamento si applica a tutte le situazioni pendenti in base al principio tempus regit actum. Tale situazione non vulnera retroattivamente un diritto legittimamente acquisito, poichè, come si è accennato, i requisiti di legge per la fruizione dell’istituto non sono stati mutati".

Quanto alle ulteriori censure dedotte con il ricorso, mette conto innanzi tutto sottolineare che si tratta di doglianze che per la maggior parte non erano state devolute alla cognizione del giudice dell’impugnazione, essendo stato quest’ultimo investito essenzialmente della questione concernente la possibilità o meno della revoca di ufficio del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, di cui si è innanzi detto: con conseguente inammissibilità di doglianze dedotte per la prima volta in questa sede. Per come si rileva dalla lettura dei motivi dell’impugnazione proposta ex D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 99 al Presidente del Tribunale di Palmi – con atto depositato nella cancelleria di detto Tribunale il 9 settembre 2008 – soltanto nell’ultima pagina (pag. 6), infatti, vi era un incidentale accenno alla motivazione posta a fondamento del provvedimento di revoca riferibile alla ritenuta sussistenza di mezzi finanziari in quanto desumibili dalla condanna per reato associativo: accenno peraltro finalizzato sostanzialmente a sostenere la tesi difensiva dell’insussistenza di motivi per la revoca di ufficio. E’ comunque opportuno evidenziare ancora che: 1) il giudice dell’opposizione non ha ancorato il proprio convincimento al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, comma 4 bis – che ha introdotto la presunzione di reddito per coloro i quali siano stati "già" condannati con sentenza definitiva per determinati reati – ma ha evocato la possibilità per il giudice (riconosciuta anche dalla giurisprudenza) di avvalersi di qualsiasi elemento di prova reddituale ivi comprese le presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. (nel provvedimento di revoca si faceva tra l’altro esplicito riferimento, ad esempio, ai costosi viaggi del P. in Colombia ed altre località): di tal che risulta insussistente la denunciata violazione di legge (nello specifico, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76); 2) quanto ad eventuali vizi motivazionali, gli stessi, nella materia "de qua", non possono essere dedotti con il ricorso per cassazione essendo questo consentito solo per violazione d legge ( D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 99, comma 4).

Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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