Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-05-2012, n. 8103

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

P.M., anche quale erede della sorella G., adiva il Tribunale di Larino, sezione specializzata agraria, affinchè previa nomina di un consulente tecnico, fosse determinato, secondo i criteri del libero mercato, il canone annuo di un terreno concesso in affitto ad D.A..

Il Tribunale, in accoglimento della domanda di P.M., determinava in Euro 1.700,00 il canone annuo da corrisponderle per la conduzione in affitto del terreno condannando l’affittuario a pagarle la somma di Euro 10.009,92 per le annate agrarie dal 2001/2002 al 2006/2007.

Proponeva appello D.A..

La Corte distrettuale di Campobasso decidendo sull’appello proposto nei confronti di P.M. e per quest’ultima, deceduta nelle more del giudizio, di D.R.M., anche quale procuratrice di D.R.L. ed D.R.A., in accoglimento del gravame e in riforma dell’impugnata sentenza rigettava l’originaria domanda della P. volta alla determinazione giudiziale del canone di affitto ed al pagamento del dedotto maggior canone arretrato.

Propongono ricorso per cassazione D.R.M., D.R. L. ed D.R.A., tutte quali eredi di P. M., con quattro motivi.

Resiste con controricorso D.A..

Le parti hanno presentato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo mezzo d’impugnazione parte ricorrente denuncia "Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione di legge ( art. 112 c.p.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4".

Sostengono le ricorrenti che la domanda da esse proposta ha ad oggetto la determinazione non dell’equo canone, ma di un canone determinato secondo i criteri del libero mercato, essendo l’equo canone venuto meno a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della L. n. 203 del 1982, artt. 9 e 62. Per tale motivo, a loro avviso, la sentenza risulta in contrasto con l’art. 112 c.p.c..

Il motivo è infondato.

Per effetto della declaratoria d’incostituzionalità di cui alla sentenza della Corte Costituzionale n. 318 del 2002, sono divenute prive di effetti sia le tabelle per il canone di equo affitto, disciplinate dalla L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 9 e dalle norme da questo richiamate, sia, ai fini della quantificazione del canone stesso, i redditi dominicali stabiliti, ai sensi della L. n. 203 del 1982, art. 62, a norma del R.D.L. 4 aprile 1939, n. 589, per cui il canone dovuto dalla parte conduttrice è unicamente quello stabilito liberamente tra le parti o l’ultimo, giudizialmente accertato con sentenza passata in cosa giudicata anteriormente alla sentenza n. 318 del 2002; non è, pertanto, consentito al giudice – in attesa di un’eventuale nuova disciplina della materia – determinare un canone equo in sostituzione di quello voluto dalle parti o definitivamente accertato dal giudice, anche se il canone così determinato (pattiziamente o in forza di pronuncia passata in giudicato) non assicuri al concedente una remuneratività non irrisoria della rendita e all’affittuario la possibilità di esercizio dell’impresa con il contemperamento degli interessi reciproci (Cass., 12 aprile 2011, n. 8413).

Nel caso in esame il giudice, in conseguenza della suddetta sentenza, non può stabilire il nuovo canone di affitto in quanto l’autorità giudiziaria, nel rispetto del principio della libertà e autonomia negoziale non può essere chiamata a determinare autoritativamente l’ammontare di una obbligazione pecuniaria di un contratto a prestazioni corrispettive, nè tantomeno a condannare un contraente al suo pagamento.

Con il secondo, terzo e quarto motivo, che per la loro stretta connessione è opportuno esaminare congiuntamente, si denuncia rispettivamente: 2) "Violazione di legge ( artt. 345, 346 e 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Insufficiente motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)"; 3) "Violazione di legge ( artt. 2697 e 2698 c.c., art. 2729 c.c. e art. 115 c.p.c.) in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3"; 4) "Omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Violazione di legge ( art. 2729 c.c.) in relazione all’art. 360 c.p.c.".

Secondo parte ricorrente la Corte d’Appello si è pronunciata oltre i limiti della domanda su un fatto nuovo e diverso rispetto a quello allegato in prime cure e non riproposto dal D..

Inoltre la Corte d’Appello ha errato nel ritenere provato per presunzioni il raggiungimento di un’intesa fra le parti sull’entità del canone dopo la sentenza della Corte costituzionale.

I motivi sono infondati.

In tema di contratti agrari, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 318 del 2002, che ha dichiarato illegittimo il criterio di determinazione dell’equo canone L. 3 maggio 1982, n. 203, ex artt. 9 e 62, il canone vigente tra le parti è quello tra le stesse concordato o che, essendo normalmente pagato, deve definirsi, per l’effetto, "contrattuale" (Cass., 15 maggio 2009, n. 11323).

L’impugnata sentenza non si è comunque pronunciata oltre i limiti della domanda e delle eccezioni proposte dalle parti. Essa ha infatti correttamente ha stabilito la non determinabilità da parte del giudice del canone da corrispondere e l’efficacia della clausola contenente il canone determinato dalle parti.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 1.800,00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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