Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 15-11-2011, n. 42009

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorrono per cassazione, con distinti atti, i rispettivi difensori di fiducia di L.C.A. e V.A. avverso la sentenza in data 6.12.2010 della Corte di Appello di Palermo che confermava quella del Tribunale di Palermo in data 22.12.2009 con la quale i predetti L.C. e V. erano stati riconosciuti colpevoli del delitto (capo c) di cui all’art. 110 c.p., D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80 (detenzione e cessione, ad altri coimputati, di 200 kg. di sostanza stupefacente del tipo hashish (fatto del 2005), e condannato, il L.C., alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ed Euro 35.000,00 di multa e, il V., a quella di anni sei e mesi tre di reclusione ed Euro 43.000,00 di multa.

Il Tribunale aveva argomentato il proprio convincimento sulla scorta delle deposizioni dei testi escussi, degli atti irripetibili di p.g., degli accertamenti tecnici, dell’esame degli imputati di delitto connesso e della sentenza irrevocabile acquisita agli atti (della Corte di Appello di Palermo del 24.2.2006 irrev. il 7.3.2007).

La Corte respingeva le doglianze relative alla legittimità delle operazioni di intercettazione e ne valutava il contenuto riscontrandolo con l’arresto del 21.3.2005 e gli esiti delle operazioni di appostamento nonchè con la deposizione dell’Ufficiale di P.G. S.S..

Nell’interesse di L.C.A. si deducono i seguenti motivi.

1. La violazione di legge penale sostanziale e processuale ed il vizio motivazionale in relazione alla richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale per l’escussione del perito trascrittore e l’acquisizione dei decreti d’intercettazione di cui al proc. 131/04. 2. La violazione di legge penale sostanziale e processuale ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta colpevolezza del ricorrente.

3. Ancora l’illogicità della motivazione in ordine all’affermata responsabilità del ricorrente, adducendo l’incomprensibilità di quanto asserito in motivazione circa l’elenco di alcune sentenze (pag. 5 sent.).

Con il ricorso nell’interesse di V.A. si sollevano le seguenti censure.

1. La violazione di legge, il vizio motivazionale e la mancata assunzione di una prova decisiva: in particolare si assume che la Corte territoriale non aveva addotto alcuna motivazione in ordine alle censure mosse con l’atto d’appello in relazione agli elementi su cui era stata fondata la responsabilità del ricorrente, non valutando l’alibi fornito dal medesimo e negando la riapertura dell’istruttoria dibattimentale per l’espletamento di una perizia fonica sulla voce dell’imputato richiesta per individuare fisicamente la persona alla quale apparteneva la voce della persona che effettuò la telefonata da una cabina telefonica di Palermo alle 10,26, del 21.3.2005 alla I. per avvisarla dell’avvenuto arresto dei due corrieri napoletani e smentire che si trattasse del V..

2. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione alla mancata esclusione della sussistenza della circostanza aggravante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80 e conseguente riduzione della pena, non potendosi prescindere dall’esito dell’esame tossicologico che aveva individuato nel 5% il principio attivo della sostanza repertata.

3. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche da valutarsi con criterio almeno di equivalenza rispetto alla ritenuta aggravante contestata e alla recidiva; ci si duole, in ogni caso, della mancata determinazione di una pena più mite o di un aumento meno consistente per la recidiva contestata.

Sono stati presentati "motivi nuovi" nell’interesse di V. A., con i quali si ribadiscono la violazione del D.P.R. n. 309 del 1990, artt. 73 e 80 ed il vizio motivazionale già illustrati.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili per essere le censure mosse manifestamente infondate, non consentite in questa sede ed aspecifiche.

Sono manifestamente infondate le analoghe censure formulate sub nn. 1 nell’interesse di entrambi i ricorrenti.

Invero, a norma dell’art. 603 c.p.p., comma 2, il giudice è tenuto a disporre la rinnovazione delle nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, ma con il limite costituito dalle ipotesi di richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti. Ed è stato affermato che il giudice d’appello ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento solo quando la richiesta della parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, non esercitato non per inerzia colpevole, ma per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, e quando, infine, la sua ammissione sia stata irragionevolmente negata dal giudice di primo grado; in tutti gli altri casi la rinnovazione del dibattimento è rimessa al potere del giudice, la cui discrezionalità è vincolata dalla impossibilità di una decisione allo stato degli atti, ma che è tenuto a dar conto delle ragioni del rifiuto quanto meno in modo indiretto, dimostrando in positivo la sufficiente consistenza e la assorbente concludenza delle prove già acquisite (cfr. Cass. pen. Sez. 6^, 27.5.1999 n. 11082, Rv. 214334, e Sez. 3^, 22.1.2008, n. 8382, Rv 229341).

Inoltre, questa Corte ha più volte affermato che qualora venga contestata l’identificazione delle persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia fonica, ma può trarre il proprio convincimento in merito da altre circostanze che consentano di attribuire con certezza le voci intercettate e tale valutazione, correttamente motivata, si sottrae al giudizio di legittimità (Sez. 4^, n. 43409 del 18.10.2007, Rv. 237985 ed altre successive conformi).

A tali orientamenti si è attenuta fedelmente la Corte distrettuale, la cui motivazione addotta per negare l’impetrata perizia fonica s’appalesa del tutto congrua e corretta, essendo giunti i giudici di merito, con ampia e puntuale disamina di varie circostanze, anche squisitamente oggettive, ad individuare l’identità degli interlocutori delle conversazioni telefoniche tenendo conto della conoscenza della voce da parte del personale di P.G. addetto all’ascolto e che per mesi aveva seguito i comportamenti dei ricorrenti, a parte la riconducibilità delle utenze ai prevenuti.

Inoltre per quel che concerne il primo motivo di ricorso nell’interesse del V., si deve evidenziare come dalla decisione impugnata emerga che l’individuazione del V. sia conseguenza diretta dei servizi di osservazione voltisi in occasione dello sbarco dei coimputati C. e Ia. a Palermo, allorchè il V. venne a lungo controllato fino a quando non si diede alla fuga, nelle circostanze indicate dalla sentenza de qua, allorchè sull’autovettura del C. e dello Ia. vennero rinvenuti i 200 kg. di hashish: d’altronde, la decisione impugnata ha spiegato il nesso tra il viaggio dell’imputato a Napoli e l’anticipazione di esso nel corso di una telefonata (fatta un’ora dopo l’arresto del C. e dello Ia.) il cui interlocutore è stato ragionevolmente individuato nel V..

Anche in tal caso si deve rilevare la sufficienza argomentativa della sentenza impugnata per nulla scalfita dalle critiche del ricorrente con le quali si prospettano interpretazioni alternative del fatto ed un conseguente alibi (si trovava altrove perchè impegnato in attività lavorativa) evidentemente incompatibile con i contenuti della prova rappresentativa e logica sopra richiamati.

Va da sè, inoltre, quanto alle peculiari argomentazioni difensive contenute nell’atto d’appello del V. sub 1, che sarebbero rimaste senza risposta da parte della Corte territoriale, che (Sez. 4^, 24 ottobre 2005, n. 1149, Rv. 233187) "nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette".

Venendo alle censure sub 2 e 3 del ricorso del L.C., se ne deve rilevare l’improponibilità nella presente sede di legittimità, osservandosi che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto.

Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre (nel rispetto dell’autosufficienza" del ricorso, in sede penale, il principio della cosiddetta "autosufficienza del ricorso", elaborato dalla giurisprudenza civile di legittimità sulla base della formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, onde è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti processuali – e non di altri, di parte, che ne riportino solo taluni stralci – in modo da rendere possibile l’apprezzamento del vizio dedotto) in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’interno della decisione giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. Sez. 4^, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533; conformi: n. 27518 del 2006 Rv. 234604, n. 30440 del 2006 Rv. 236034, n. 4675 del 2007 Rv.

235656).

Tale possibilità, peraltro, varrebbe nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme (in cui le sentenze di primo e secondo grado s’integrano completamente a vicenda in un unicum inscindibile, come nel caso di specie), il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (cfr. Cass. pen., sez. 4^, 3.2.2009, n. 19710; conformi: n. 5223 del 2007, Rv.

236130, n. 24667 del 2007, Rv. 237207).

E la motivazione addotta nella ricostruzione della vicenda e nella valutazione del materiale probatorio fino a giungere al verdetto di colpevolezza, risulta del tutto esaustiva e corretta nonchè esente da vizi logici o giuridici.

Nè si ravvisa alcuna "incomprensibilità" della frase (precisandosi che la sentenza non parla di "un elenco di sentenze" come riportato in ricorso) "pronunzia di questa Corte del 24.2.06 divenuta irrevocabile il 7.3.2007 e acquisita dal giudice a quo del presente giudizio di appello ex art. 238 bis c.p.p. all’udienza del 5/5/09", (dovendosi ragionevolmente intendere come acquisita dal giudice di primo grado: "a Quo") peraltro posta fra parentesi nel contestare le deduzioni difensive "circa la mancata verifica della legittimità delle operazioni di intercettazione esperite nel connesso procedimento n. 131/04" che non sono oggetto degli odierni motivi di ricorso.

Del resto, tale censura (sub 3 del ricorso del L.C.) è palesemente aspecifica, non essendo state indicate compiutamente le ragioni della dedotta incomprensibilità e non risultando evidenziati gli elementi di fatto e di diritto posti a fondamento della censura medesima.

Quanto alla censura sub 2 del ricorso del V., come condivisibilmente affermato da questa Corte anche di recente, "In tema di reati concernenti il traffico illecito di sostanze stupefacenti, non è consentito predeterminare i limiti quantitativi minimi che consentono di ritenere configurabile la circostanza aggravante prevista dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2 (ingente quantità).

(La Corte ha precisato che la fattispecie non viola comunque il principio di determinatezza, dovendo aversi riguardo, perchè possa essere configurata l’aggravante, 1) all’oggettiva eccezionalità del quantitativo sotto il profilo ponderale; 2) al grave pericolo per la salute pubblica che lo smercio di un tale quantitativo comporta; 3) alla possibilità di soddisfare le richieste di numerosissimi consumatori per l’elevatissimo numero di dosi ricavabili)".

(Cass. pen. Sez. 4^, n. 9927 del 1.2.2011, Rv. 249076).

Nel caso di specie si tratta del quantitativo di 200 kg. di hashish contenuti in due sacchi e divisi in pani, con un principio attivo pari, come riconosciuto in ricorso, al 5% (e, quindi, corrispondente a ben 10 kg.), idonei alla preparazione di un numero rilevantissimo di dosi commerciali e capaci di soddisfare le richieste di un numero molto elevato di consumatori, sicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto di non escludere la detta aggravante.

Per quel che concerne l’ultima censura dedotta con il ricorso del V., relativa alle attenuanti generiche negate e al trattamento sanzionatorio, si rileva la manifesta infondatezza della stessa.

Infatti, comunque la Corte distrettuale ha addotto una sufficiente motivazione laddove ha evidenziato il tipo e quantità della sostanza stupefacente nonchè l’elevata gravità del pericolo cagionato per la potenziale, indiscriminata diffusione dell’hashish, nonchè l’elevata intensità del dolo concludendo per l’intangibilità della misura della pena inflitta e per la non riconoscibilità delle circostanze attenuanti generiche.

Peraltro, la valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche – ovvero in ordine al giudizio di comparazione delle circostanze, nonchè per quanto riguarda in generale la dosimetria della pena – rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p. è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico: evenienze che, nel caso di specie, devono escludersi alla luce della congrua motivazione sopra indicata.

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00 per ciascuno, in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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