Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 28-09-2011) 15-11-2011, n. 42007

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorrono per cassazione i rispettivi difensori di fiducia di O. F. e C.A. avverso la sentenza emessa in data 18.6.2010 dalla Corte di Appello di Cagliari che confermava quella in data 9.7.2009 del G.U.P. del Tribunale di Cagliari che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva riconosciuto, tra gli altri, l’ O. e il C. colpevoli del delitto di cui all’art. 110 c.p. e D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 (acquisto, a fine di spaccio, di gr. 500 di eroina), condannando l’ O. alla pena di anni cinque ed Euro 22.000,00 di multa e il C. a quella di anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 14.000,00 di multa, oltre pene accessorie di legge.

I giudici di merito pervenivano al verdetto di colpevolezza prevalentemente sulla scorta delle dichiarazioni spontanee auto ed eteroaccusatorie del C. in sede di perquisizione domiciliare in una alle dichiarazioni di Ca.Be., padre del prevenuto, e della lettera minatoria consegnata contestualmente alla denuncia da quello presentata.

Nell’interesse del C. si deduce la violazione di legge in relazione alla ritenuta sua penale responsabilità, ribadendo l’eccezione d’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal prevenuto alla Polizia Giudiziaria, pur in difetto di verbalizzazione da parte degli organi inquirenti.

Analoga censura viene mossa nell’interesse dell’ O. con la prospettazione anche del vizio motivazionale e della tesi dell’applicabilità dell’art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 (in luogo del ritenuto comma 7 della medesima norma), in ordine alla quale la Corte aveva completamente omesso di motivare.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili, essendo le censure aspecifiche e manifestamente infondate.

E’ di tutta evidenza l’aspecificità delle censure mosse da entrambi i ricorsi che ha riproposto pedissequamente quelle, analoghe, formulate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua e del tutto plausibile. Infatti è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591, comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4^, 29.3.2000, n. 5191 Rv.

216473 e successive conformi, quale: Sez. 2^, 15.5.2008 n. 19951, Rv.

240109).

Invero, secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo, le dichiarazioni autoindizianti rese spontaneamente dall’indagato ( art. 350 c.p.p., comma 7), mentre non sono utilizzabili nel dibattimento se non ai fini delle contestazioni, possono essere utilizzate pienamente, a fini di prova, nel giudizio abbreviato, considerata la peculiare natura di tale rito, fondato su un giudizio allo stato degli atti.

Del resto, nel giudizio abbreviato non rilevano le ipotesi di cosiddetta inutilizzabilità "relativa" della prova stabilite dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale e, in tale categoria, vanno ricomprese le dichiarazioni di che trattasi, mentre nella categoria della cosiddetta inutilizzabilità "assoluta" o "patologica" possono farsi rientrare solo gli atti probatori assunti "contra legem", la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in ogni altra fase del procedimento (Cass. pen. Sez. 5^ del 19.1.2010, n. 18064, Rv. 246865;

Sez. 3^, 20.1.2010, n. 10643, Rv. 246590; Sez. 6^, 10.2.2010, n. 24429 non massimata dal CED; Sez. 1^ n. 44637 del 13.10.2004, Rv.

230754, conf. Sez. 6^, n. 29138 del 25.5.2004).

Infatti, come rilevato dalle Sezioni Unite di questa Corte (n. 11060 dell’1.10.1991, Rv. 188581), nel giudizio abbreviato, mancando la fase del dibattimento, è inapplicabile il divieto di utilizzabilità di prove diverse da quelle in esso acquisite, sancito dall’art. 526 c.p.p., e vige, invece, il principio della decisione "allo stato degli atti", stabilito dall’art. 440 c.p.p., comma 1, che comporta la facoltà di utilizzare tutti gli atti legittimamente acquisiti al fascicolo del pubblico ministero. Nè la trasposizione formale di tali dichiarazioni in apposito verbale ai sensi dell’art. 357 c.p.p., comma 2, lett. b) implica, nello specifico rito abbreviato alcuna inutilizzabilità, dal momento che la sanzione dell’inutilizzabilità stabilita dalla legge in via esclusiva con riferimento alla fase dibattimentale, concerne le dichiarazioni spontanee in sè e non già la forma in cui vengono trasfuse dalla P.G. in un documento fidefaciente alla quale non fa alcun riferimento l’art. 350 c.p.p., comma 7.

Nè è indispensabile, ai fini dell’utilizzabilità, la firma del dichiarante sull’atto in cui sono state riportate (cfr. Cass. pen. Sez. 6^, n. 24 del 2011.2006, Rv. 235755).

A fortiori, laddove l’atto in questione sia una informativa di reato sottoscritta dagli operanti, pubblici ufficiali.

E’ appena il caso di rilevare, comunque, come alle dichiarazioni spontanee dell’indagato erga alios si sono aggiunte le dichiarazioni, compiutamente valutate ai fini probatori dai giudici di merito, del padre del coimputato C., che ha coinvolto nell’attività illecita svolta dal figlio, l’amico e vicino di casa di questi, O. F. che, secondo quanto appreso dal figlio C.A., si era reso responsabile di un "furto" di droga in danno di una persona di colore: la Corte territoriale ha, in proposito, rilevato la sostanziale coincidenza di tale versione con quanto riferito dall’imputato ai Carabinieri circa le modalità fraudolente con cui era stata "pagata" la droga.

In ordine alla prospettata inquadrabilità delle dichiarazioni del C. tra quelle contemplate dall’art. 350 c.p.p., commi 5 e 6 si rileva che (cfr. Cass. pen. Sez. 4^, 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187) "nella motivazione della sentenza il giudice di merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette".

Ed infatti i giudici di merito ravvisando l’ipotesi di cui all’art. 350 c.p.p., comma 7 hanno con ciò stesso escluso che si trattasse di mere dichiarazioni contenenti notizie o indicazioni "utili alla prosecuzione delle indagini".

Invero, la qualificazione di "dichiarazioni spontanee" in quelle poste a base della decisione, rientra nella valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito e si contrappone a quella di cui all’art. 350 c.p.p. commi 5 e 6 attraverso le quali sono "assunte", cioè sollecitate, dagli Ufficiali di P.G. le notizie o indicazioni suddette: e la Corte territoriale ha apprezzato l’assoluta spontaneità di le dichiarazioni del C. con congrua ed articolata motivazione (pag. 9 della sentenza impugnata), dopo che già il giudice di primo grado aveva evidenziato come le medesime non risultava fossero state, dall’esame del loro tenore, sollecitate o provocate dagli operanti di p.g..

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Eura 1.000,00 per ciascuno, in favore della Cassa delle Ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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