Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 23-05-2012, n. 8096 Categoria, qualifica, mansioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 942, depositata il 25 novembre 2009, rigettava l’impugnazione proposta da B. R. L. nei confronti della società SEA Società Esercizi Aereoportuali spa, in ordine alla sentenza del Tribunale di Milano n. 3890/07. 2. Il B. aveva adito il Tribunale per ottenere il riconoscimento del diritto all’inquadramento nella qualifica di quadro di primo livello super dal 15 luglio 1991 o comunque dal 17 gennaio 1996, l’accertamento dell’avvenuta attribuzione al ricorrente quanto meno dal 1996 di mansioni inferiori, la condanna della convenuta al pagamento delle maggiori retribuzioni dovute oltre alla indennità inerenti alla funzione, compresa l’indennità di funzione operativa, nella misura massima propria del livello, oltre al risarcimento del danno da demansionamento in misura da liquidarsi equitativamente, nonchè del danno biologico come accertato da consulenza medica ed oltre al riconoscimento del diritto del ricorrente a svolgere presso la convenuta mansioni qualitativamente riconducibili e on inferiori alla qualifica di quadro di primo livello super, disponendo la compensazione delle spese di lite.

3. Il Tribunale aveva rigettato la domanda.

4. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il B. prospettando quattro motivi di impugnazione.

5. Resiste con controricorso la società SEA. 6. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2. Assenza di motivazione nella reiezione di censure dell’appellante su punti controversi decisivi per il giudizio.

Il giudice d’appello si sarebbe limitato a riprodurre la motivazione della sentenza di primo grado senza un esame critico alla luce dei motivi di appello, come di seguito esposto.

Vi sarebbe carenza di motivazione sull’omissione dell’interrogatorio libero delle parti, non essendo a ciò sufficiente la regola che l’interrogatorio libero non è richiesto a pena di nullità della sentenza. Tale carenza costituirebbe segnale che la lite veniva affrontata dai giudici di merito senza improntare il giudizio a imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità ed equilibrio.

Sarebbe stata distorta la corretta conduzione della istruzione probatoria ed impedito all’attore di fornire prova della sua domanda pur dopo averla ammessa. Non potrebbe farsi ricorso alla regola che il giudice ha la direzione dell’istruzione, in quanto se il giudice si avvale dei poteri direttivi senza prendere atto della verità emergente dalle deposizioni testimoniali, abusa dei poteri direttivi.

Il gdl aveva chiuso l’istruzione probatoria col pretesto che si fossero sentiti due testi comuni alle parti, due dell’attore ed uno della convenuta, volendo dire che I’ due testi comuni, in quanto tali, apparivano come i più attendibili. Ciò non sarebbe vero in quanto tali testi erano sovraordinati al ricorrente e responsabili del demansionamento.

Se il teste C. fosse stato interrogato più a fondo (si deduce che allo stesso veniva attribuito un avverbio limitativo non detto) si sarebbe avuto un diverso quadro probatorio.

La sentenza di primo grado era stata censurata per non aver approfondito le circostanze relative all’autonomia decisoria vantata dal ricorrente a sostegno del reclamato inquadramento al livello super della prima categoria impiegatizia, con riguardo all’indicazioni dei testi effettuata da esso ricorrente.

Era stata negletta un’affermazione del teste D.P. relativa all’essere stato messo da parte, esso ricorrente, dopo la partenza del dirigente C..

Sul grado di autonomia del ricorrente, il teste C. avrebbe dovuto essere interrogato più a fondo. In modo non corretto erano state interpretate le disposizioni testimoniali in ordine alla sostituzione del dirigente C. da parte del ricorrente nelle sue funzioni tecniche durante sei mesi.

Il motivo di ricorso si conclude con la deduzione che è vero, come ha detto la Corte d’Appello di Milano, che il giudice è sovrano nel governo dell’istruzione probatoria, ma quando ciò viene fatto per giustificare quella scelta di testimoni che fu solo in apparenza ragionevole, ciò vizia la decisione. In sostanza il ricorrente addebita al giudice d’appello difetti di parzialità e di correttezza.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione, per altro aspetto, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2. Assenza di motivazione nella reiezione delle censure dell’appellante su punti controversi decisivi per il giudizio, con riguardo alle risultanze documentali, non meno che testimoniali.

La domanda del B. avrebbe dovuto essere accolta in base alla sola documentazione esibita (14 documenti con forza probante della vastità delle proprie mansioni); il giudice dell’appello ha affermato che i documenti non avevano alcuna rilevanza ai fini del giudizio, ma avrebbe dovuto mostrare che nessuno degli stessi avesse forza probante.

Non sarebbe dunque intellegibile il processo logico-deduttivo che ha condotto il giudice di merito alla decisione.

In particolare alla Corte d’Appello era stato posto in evidenza l’ordine di servizio n. 593 con il quale la direzione aziendale aveva allargato le funzioni del dirigente C., di cui il B. rimase l’unico collaboratore e aveva invitato la Corte ad esaminare la descrizione analitica e puntuale dei nuovi compiti assunti dal ricorrente dal gennaio 1996 chiedendo che il teste C. venisse nuovamente convocato.

Con plurime osservazioni esso ricorrente aveva dedotto al giudice di appello che dopo la partenza del C., il B. aveva continuato a svolgere il suo lavoro, e in assenza di un sostituto, aveva riportato all’ing. Ca. che di C. era il superiore.

Il ruolo del C., dunque, era stato svolto dal B., come ammesso dal c.. Il giudice di secondo grado non faceva cenno a questo argomento, che era vincente per attribuire al B. la qualifica superiore almeno a far tempo dalla partenza del suo diretto superiore, ch’egli sostituì per oltre sei mesi.

In ordine al demansionamento dal 1998 esso ricorrente aveva dedotto che lo stesso si evinceva dalla mancata ostensione ad opera di controparte di documentazione volta a provare l’attribuzione di incarichi dal 1998. Su tale doglianza il giudice dell’appello si era limitato a poche considerazioni, che ripetevano quanto affermato dal giudice di primo grado, riscontrato dal solo teste De.Fa., che aveva fatto menzione di un solo incarico in sette anni. Anche tale punto era stato ignorato dalla sentenza della Corte d’Appello.

L’asserzione della stessa, tenuto conto della documentazione e della testimonianza C. appare irrisoria di ogni esigenza di correttezza nell’indagine, di fedeltà alle risultanze probatorie di onestà di giudizio, in termini processuali, di sufficiente motivazione.

Il giudice di secondo grado fece propri tutti i motivi non idonei a sorreggere la sentenza di primo grado, ripetendoli pedissequamente, senza dar conto della reiezione delle precise censure dell’appellante.

La sentenza di primo grado era affetta da grave carenza istruttoria, il giudice dell’appello non tenne conto di quanto dedotto in merito, dando luogo ad una carenza della saldatura della struttura motiva tra i due giudizi in un unico complesso argomentativo.

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta violazione, per altro aspetto, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 2. Motivazione contraddetta dalle risultanze della istruzione probatoria sopra punti decisivi per il giudizio.

La Corte d’Appello aveva fatto proprie le ragioni per le quali il giudice di primo grado aveva svalutato le testimonianze offerte da parte attrice, come si rileva dall’esame della testimonianza del dirigente C. assunta l’11 aprile 2007, dalla quale emergeva l’importanza delle mansioni affidate allo stesso, a cui non poteva non conseguire che le mansioni del B. immediatamente sottoordinato, non potevano non essere al massimo livello impiegatizio. Il giudice di primo grado, invece, si era riferito ai requisiti contrattualmente richiesti ai quadri di primo livello super per dire che risultavano esclusi i profili di ampie responsabilità e libertà di apprezzamento. Il giudice di appello si sarebbe limitato a riferire quanto affermato dal primo giudice, senza accertare e valutare il materiale probatorio alla luce delle doglianze dell’appellante.

L’appellante aveva specificamente dedotto, con più argomenti (mancata sostituzione, deposizione Ca., deposizione D. P.) sulla allegazione di avere sostituito il dirigente C. in tutte le prerogative ch’erano sue, con l’eccezione della sola firma di documenti impegnativi per l’ufficio del quale il C. era titolare. Ma di ciò la Corte d’Appello non teneva alcun conto.

La Corte d’Appello, in ordine al demansionamento, mal valutava le risposte che i testi di controparte avevano dato (testi D.P., Ca., Co.): scontentezza del B., distanza dall’ufficio del nuovo superiore, minore anzianità ed esperienza di chi ricopriva il primo livello super, "deplace", dagli uffici di cui faceva parte e dal superiore immediato. La sentenza di merito, quindi, non consente d’intendere il processo logico e la ratio decidendi della decisione.

4. I primi tre motivi del ricorso devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione.

4.1. Occorre premettere che nel ricorso si fa riferimento: alla mancanza di quella imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità ed equilibrio che tradizionalmente sono appannaggio d’ogni giurisdizione ed il D.Lgs. 21 febbraio 2006, n. 109 esige da coloro che a quella sono chiamati (cfr. pag. 16 del ricorso);

all’aver distorto la corretta conduzione dell’istruttoria (cfr. pag.

17 del ricorso); all’aver male esercitato i poteri direttivi (cfr. pag. 18 del ricorso); al venir meno dell’obbligo d’imparzialità, di diligenza, di correttezza (cfr. pag. 24 del ricorso); di fedeltà alle risultanze probatorie, di chiarezza nel giudizio (cfr. pag. 30 del ricorso). Con riguardo a tale ultima deduzione il ricorrente precisa se si preferisce, in termini di diritto processuale civile, di sufficiente motivazione.

Ritiene questa Corte di dover chiarire che le suddette deduzioni, peraltro generiche, non possono essere ricondotte nell’ambito del vizio di motivazione, come erroneamente asserito dal ricorrente, ed esulano dal sindacato di legittimità anche per il vizio di violazione di legge. Le stesse, infatti, non attengono all’esattezza o meno tecnico-giuridica di un provvedimento, anche sotto il profilo dell’adeguata motivazione dello stesso, che costituisce l’oggetto del giudizio di legittimità, nei limiti dei vizi prospettabili ex art. 360 c.p.c..

Dunque, a prescindere dalla loro genericità, le medesime, anche come richiamate per accenni nell’ambito del ricorso, sono inammissibili.

4.2. Tanto premesso, passando all’esame dei primi tre motivi di ricorso, con riguardo alle argomentazioni ritualmente prospettate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., occorre richiamare la giurisprudenza di legittimità sull’ambito del sindacato di legittimità, sul vizio di motivazione, sulla motivazione, sui poteri istruttori del giudice e sulla valutazione delle prove, essendo tali temi investiti dai motivi di ricorso.

4.2.1. Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione. Al fine della congruità della motivazione è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (Cass., n. 27197 del 2011, Cass. 2399 del 2004, 2357 del 2004, 9716 del 2000).

4.2.2. Come questa Corte ha più volte affermato (ex multis, Cass., n. 6288 del 2011), il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico- formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., n. 7394 del 2010).

4.2.3. Ai fini dell’adeguata motivazione della sentenza, secondo le indicazioni desumibili dal combinato disposto dall’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., è necessario che il raggiunto convincimento del giudice risulti da un esame logico e coerente di quelle che, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo, mentre non si deve dar conto dell’esito dell’esame di tutte le prove prospettate o comunque acquisite (Cass., n. 5241 del 2011).

4.2.4. L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., n. 17097 del 2010).

Il mancato esercizio, da parte del giudice di appello, del potere discrezionale di invitare le parti a produrre la documentazione mancante o di ammettere una prova testimoniale non può essere sindacato in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 cod. proc. civ., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio (Cass., n. 1754 del 2012).

Le dichiarazioni rese in sede d’interrogatorio libero o non formale, che è istituto finalizzato alla chiarificazione delle allegazioni delle parti e dotato di funzione probatoria a carattere meramente sussidiario, non possono avere valore di confessione giudiziale ai sensi dell’art. 229 cod. proc. civ., ma possono solo fornire al giudice elementi sussidiali di convincimento utilizzabili ai fini del riscontro e della valutazione delle prove già acquisite; ne consegue che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la scelta relativa alla concreta utilizzazione di tale strumento processuale, non suscettibile di sindacato in sede di legittimità, e che la mancata considerazione delle sue risultanze, da parte del giudice, non integra il vizio di omesso esame di un punto decisivo della controversia (Cass., n. 17239 del 2010).

4.3. I suddetti articolati motivi, che richiamano la disciplina dettata dal c.p.c. e dalle disp. att. c.p.c. sul contenuto e sulla motivazione della sentenza, censurano nel complesso, come specificato in ricorso, la sentenza della Corte d’Appello di Milano con riguardo all’ammissione e alla valutazione delle prove sia testimoniali che documentali, nonchè al libero interrogatorio, per aver disatteso le proprie deduzioni, ritenute decisivi per l’accoglimento della propria domanda.

Come si può rilevare dalla giurisprudenza sopra richiamata spetta al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Al giudice di legittimità non è conferito il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito.

E, con riguardo ai principi enunciati dalle pronunce di questa Corte sopra richiamate, di cui deve farsi applicazione nella fattispecie in esame, ritiene il Collegio che la sentenza della Corte d’Appello sia correttamente e congruamente motivata.

Il giudice di secondo grado esaminò le questioni proposte dall’appellante sull’istruttoria probatoria (interrogatorio libero delle parti, scelta delle prove da assumere, ai testi da audire in relazione ai capitoli di prova, dichiarazioni del teste C. e alla verbalizzazione delle stesse, mancata ammissione di alcuni testi, rigetto dell’istanza di produzione documentale), con riguardo alla richiesta del tentativo di conciliazione di cui al 4^ motivo di impugnazione del presente ricorso, con motivazione articolata e logica che opera un esame critico della sentenza di primo grado in relazione alle censure proposte.

In particolare il giudice di appello:

dette atto che si era tenuto il libero interrogatorio delle parti ma che lo stesso aveva portato alla conferma degli atti di parte, e rilevava come lo stesso non costituisse mezzo di prova;

ritenne ragionevole e corretta la scelta del giudice di primo grado in ordine alla prova da assumere, ritenendo che la scelta di entrambe le parti di determinati testi rendesse quest’ultimi attendibili e che la sovraordinazione degli stessi al ricorrente di per sè non li rendeva poco attendibili;

ritenne che rientrasse nei poteri del giudice revocare la propria ordinanza istruttoria sulle prove ammesse rimodulandole;

circa la mancata verbalizzazione di una dichiarazione del C., dedusse che la stessa non costituiva oggetto dei capitoli di prova e che non aveva rilevanza ai fini della decisione in quanto la proposta di promozione proveniente da un superiore gerarchico non implicava un automatico avanzamento in carriera nè il riconoscimento dello svolgimento di mansioni superiori;

che la mancata escussione di altri sei testi (in merito alla domanda di demansionamento) era da connettere al potere del giudice di stabilire quando la causa deve considerarsi matura per la decisione e che sul tema in questione erano stati sentiti anche altri testi.

Tali statuizioni, richiamate in sintesi, non sono incise, come la complessiva valutazione istruttoria operata dal giudice di merito, dalle odierne doglianze, atteso che le stesse statuizioni sono espressione del corretto esercizio dei poteri istruttori.

La Corte d’Appello ha poi vagliato la sentenza di primo grado con riguardo alla statuizione, nel merito, relativa alla reiezione della domanda del B.; in particolare il giudice di secondo grado:

ha ritenuto corretta la valutazione del primo giudice, sulla base e delle risultanze processuali e del raffronto delle mansioni svolte dal ricorrente con la declaratoria contrattuale di appartenenza e con quella relativa alla qualifica superiore rivendicata (il richiamo della motivazione della sentenza di primo grado non è dunque acritica, ma effettuata in ragion dei motivi di appello, ed è ammissibile, dovendosi giudicare la sua completezza e logicità sulla base degli elementi contenuti nell’atto al quale si opera il rinvio e che, proprio in ragione del rinvio, diviene parte integrante dell’atto rinviante – cfr. Cass., n. 23231 del 2010);

ha affermato che la numerosa documentazione prodotta dal ricorrente, come la prova testimoniale, non era in alcun modo idonea a dimostrare la sussistenza dei requisiti necessari per l’inquadramento – come espressamente precisati nella sentenza di primo grado richiamata nel corpo della motivazione della sentenza d’appello); anzi la documentazione confermava che il ricorrente aveva svolto le sue mansioni alle dipendenza del preposto;

ha ritenuto che, circa l’affermazione del ricorrente di aver sostituito il C., il giudice di primo grado aveva correttamente affermato, sulla base delle risultanze della prova testimoniale, che lo stesso dopo il trasferimento all’estero aveva mantenuto contatti periodici con la sede milanese, escludendo qualsiasi potere di firma, per quanto riguardava le richieste di acquisto, in capo al ricorrente; la suddetta documentazione, veniva firmata dall’ing. Ca., che sostituiva il dirigente per quanto riguardava le firme necessarie, mentre il ricorrente continuava ad occuparsi degli aspetti operativi;

ha ritenuto corretta la motivazione sul demansionamento, sulla base delle risultanze della prova testimoniale, del giudice di primo grado, che richiamava nei diversi passaggi argomentativi.

4.4. Le considerazioni sopra svolte pongono in luce come, in ragione della sussistenza di corretta, adeguata e logica motivazione della sentenza della Corte d’Appello, che ha esaminato nel complesso le censure del ricorrente e ha esplicitato le ragioni della ritenuta correttezza e adeguatezza della sentenza di primo grado, le censure oggi prospettate non possono trovare accoglimento in ragione dell’ambito del giudizio di legittimità e del sindacato sul vizio di motivazione come delineato dalla giurisprudenza sopra richiamata, alla quale questa Corte intende dare continuità, non potendosi in questa sede ottenere una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

4.5. I suddetti primi tre motivi del ricorso, per le ragioni sopra esposte, nel complesso, non sono fondati e devono essere rigettati.

5. Il quarto motivo è inammissibile.

Con esso non viene censurata alcuna parte della sentenza d’appello, ma si afferma che, nell’ipotesi di cassazione con rinvio, il giudice del rinvio non sarebbe vincolato da alcuna affermazione in essa contenute. Poichè l’ipotesi non si verifica, non si può esaminare il contenuto del discorso svolto dal ricorrente.

6. Il ricorso deve essere rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro trenta/00 per esborsi, Euro tremila/00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 22 febbraio 2012.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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