Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8268 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato il 27 ottobre 2007 il sig. C.A. si rivolse alla Corte d’appello di Napoli per ottenere l’equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2 del danno derivante dalla irragionevole durata di una causa di pubblico impiego da lui introdotta davanti al TAR della Campania il 9 gennaio 1992 e non ancora definita in primo grado.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze, costituitosi in giudizio, non contestò l’an debeatur e si rimise alla Corte per il quantum, chiedendo anche compensarsi le spese processuali non avendo l’amministrazione modo di soddisfare spontaneamente la pretesa attorea.

La Corte d’appello ha rigettato invece la domanda, sul rilievo che il giudizio amministrativo era stato dichiarato perento ai sensi della L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 9, comma 2, e non erano mai state presentate dal ricorrente istanze di c.d. prelievo; dal che doveva inferirsi la sostanziale consapevolezza, da parte dell’attore, della sicura infondatezza della propria pretesa, con conseguente insussistenza di un danno non patrimoniale causato dal ritardo della decisione.

Il sig. C. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi di censura, cui l’amministrazione intimata non ha resistito.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso si lamenta che la Corte d’appello abbia sollevato d’ufficio una eccezione in senso stretto e violato il principio ed. di non contestazione quanto ai fatti a base della domanda, espressamente ammessi dall’Amministrazione convenuta, la quale non aveva contestato la fondatezza della domanda nell’an debeatur.

1.1. – La censura è fondata sotto l’assorbente profilo della violazione del principio dispositivo, che impone al giudice di attenersi ai fatti pacifici in causa.

2. – Il decreto impugnato va dunque cassato, con assorbimento dei restanti motivi di ricorso, attinenti alla fondatezza dell’inferenza che la Corte di merito ha tratto dal comportamento del ricorrente nel giudizio amministrativo.

La causa può peraltro essere decisa nel merito in questa sede, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, ult parte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Posto che, secondo gli standard consolidati della Corte europea dei diritti dell’uomo, la durata del processo presupposto, pari – alla data del ricorso ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 – a 15 anni e 8 mesi, ha certamente superato i limiti della ragionevolezza, può liquidarsi, a titolo di equa riparazione, sempre in base agli standard della medesima Corte, la somma di Euro 8.000,00, oltre agli interessi dalla domanda e alle spese processuali, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento di Euro 8.000,00, oltre interessi legali dalla domanda, in favore del ricorrente, nonchè alle spese dell’intero giudizio, liquidate in Euro 600,00 per onorari, Euro 490,00 per diritti ed Euro 100,00 per esborsi, quanto al giudizio di merito, e in Euro 1.000,00, di cui Euro 900,00 per onorari, quanto al giudizio di legittimità, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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