Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 12-07-2011) 15-11-2011, n. 41714

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ordinanza 11 gennaio 2011 il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila respingeva il reclamo proposto da L.N.D. avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza di quella sede giudiziaria che il 5 ottobre 2010 aveva disposto il trattenimento di una missiva inviata dalla reclamante poichè nel testo erano presenti parole in lingua cinese dal contenuto incomprensibile.

Il tribunale preliminarmente respingeva l’eccezione sollevata dalla difesa relativa al rigetto della richiesta della detenuta di partecipare all’udienza affermando che la partecipazione dell’interessato deve essere ritenuta imprescindibile solo se il procedimento attiene alla libertà personale del reclamante e può essere sostituita dalla presentazione di memorie negli altri casi.

Nel merito rilevava, poi, che il controllo della corrispondenza per i detenuti in regime di cui all’art. 41 bis O.P. è finalizzato a prevenire atti o fatti che potrebbero nuocere all’ordine e alla sicurezza degli istituti penitenziari e poichè, nel caso in esame le parole in lingua cinese che, anche al di là del significato, potrebbero costituire un messaggio idoneo a determinare pericolo per l’ordine e la sicurezza dell’istituto.

2.- Avverso l’ordinanza propone ricorso l’avvocato Caterina Calia difensore di L.N.D. deducendo a motivi:

a) violazione di legge in relazione all’art. 178 c.p.p., lett. c), in quanto il tribunale di sorveglianza fondava la sua decisione su una erronea interpretazione del comma 3 dell’art. 14 ter O.P., interpretazione peraltro in contrasto con la lettura sistematica dell’intera disciplina dettata dalla norma de qua e con la normativa introdotta dall’art. 18 ter O.P., devono infatti ritenersi applicabili al procedimento di cui all’art. 14 ter O.P. le disposizioni di cui al capo 2 bis del titolo 2 della L. n. 354 del 1975 e, in conseguenza, tutte le garanzie assicurate dagli artt. 666 e 678 c.p.p. secondo quanto previsto dal comma 4 dell’art. 14 ter. b) violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al disposto dell’art. 18 ter dell’o.P., come introdotto con la L. 8 aprile 2004, n. nonchè in riferimento all’art. 125 c.p.p., comma 3 e art. 111 Cost. concernenti l’obbligo di motivazione. Lamenta che la motivazione dell’ordinanza sia meramente apparente in quanto non da conto delle ragioni concrete che hanno indotto il al rigetto del reclamo nè indica, in concreto ed in relazione alle censure difensive svolte con il reclamo, in che termini le parole contenute nella missiva, che peraltro la L. aveva provveduto a tradurre dal cinese, avrebbero potuto rappresentare un rischio per l’ordine e la sicurezza.

Con memoria inviata il 7 luglio 2011 il difensore ricorrente ribadisce e meglio illustra la doglianza concernente la carenza di motivazione dell’ordinanza gravata, riguardo alle ragioni in fatto ed in diritto sottostanti alla decisione di conferma del trattenimento della corrispondenza spedita dalla detenuta.

3.- Il Procuratore Generale dott. Tindari Baglione, con atto depositato il 16 aprile 2011, ha concluso chiedendo che la Corte rigetti il ricorso e condanni la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso è fondato nei limiti di cui alle argomentazioni che seguono . 2.- Privo di pregio è il primo motivo di ricorso in quanto, secondo il principio di diritto anche di recente affermato da questa Corte di legittimità (Cass. Sez. 1, sent. 3.12.2010, n. 201, Antonov, Rv.

249474) "il detenuto non ha diritto di essere sentito personalmente nel procedimento davanti al tribunale di sorveglianza per la trattazione dei reclami avverso i provvedimenti di trattenimento della corrispondenza".

Invero in relazione ai reclami adottati dal magistrato di sorveglianza nella materia della limitazione e dei controlli sulla corrispondenza dei detenuti il comma 6 dell’art. 18 ter O.P., come introdotto con L. 8 aprile 2004, n. 95, richiama la procedura disciplinata dall’art. 14 ter dello steso O.P. che, al comma 3, espressamente stabilisce che l’udienza si svolge con la partecipazione del pubblico ministero e del difensore e che l’interessato e l’amministrazione penitenziaria possono solo presentare memorie. D’altronde, come ricordato nella sentenza Sez. 1 3.12.2010 citata, la Corte costituzionale – sentenza 16.2.1993 n. 53 – ha dichiarato l’illegittimità del comma 3 dell’art. 14 ter O.P., solo con riguardo ai decreti del magistrato di sorveglianza che escludono dal calcolo della detenzione il periodo trascorso in permesso premio, con la conseguenza che la norma deve essere considerata pienamente vigente per i casi diversi e, in particolare per quello in esame. Inoltre il richiamo alle disposizioni contenute nel titolo 2, capo 2 bis, contenuto nel comma 4 del citato art. 14 ter, per la formulazione letterale della norma, è riferito esclusivamente agli aspetti della procedura per i quali non è stato diversamente disposto e, pertanto, non riguarda i casi, come quello di specie, che trovano regolamentazione nel comma 3 dello stesso art. 14 ter.

2.- Appare invece meritevole di accoglimento il secondo motivo di ricorso nei limiti in cui il provvedimento gravato si appalesa carente con riguardo alle argomentazioni concernenti la potenziale idoneità dello stesso a determinare pericolo per l’ordine e la sicurezza dell’istituto penitenziario.

Ed invero l’ordinanza non esplicita le ragioni per le quali l’inserimento di alcune parole in lingua cinese all’interno della missiva – senza specificazione alcuna del contesto discorsivo nell’ambito del quale le parole stesse, delle quali neppure è indicato il significato – possano costituire pericolo per l’ordine e la sicurezza dell’istituto penitenziario.

Se i giudici ritenevano, in concreto, di trovarsi di fronte ad un linguaggio cifrato ovvero ad un messaggio criptico, avrebbero dovuto dare adeguato conto di tale loro convinzione e dei supporti fattuali che la avevano determinata posto che anche attraverso l’uso di parole in lingua italiana ben possono essere veicolati contenuti potenzialmente atti a porre a rischio la sicurezza e l’ordine.

Pertanto il solo uso di termini in una lingua poco conosciuta non è sufficiente, in mancanza di ulteriori e più pregnanti valutazioni riguardo al contenuto della missiva, ai suoi destinatari ed al contesto complessivo del tipo di corrispondenza cui si riferisce, a giustificarne il trattenimento a norma dell’art. 18 ter O.P..

Ne consegue che il ricorso nei limiti di cui sopra, deve essere accolto, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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