Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 07-07-2011) 15-11-2011, n. 41998

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

D.M.A., DI.ME.Ge., E.P., EL. R., M.G. e R.F. ricorrono avverso la sentenza di cui in epigrafe che, confermando quella di primo grado, li ha riconosciuti colpevoli del reato di furto pluriaggravato in appartamento e tutti, salvo il M., del reato di cui all’art. 707 c.p. perchè trovati in possesso di arnesi atti allo scasso.

La condanna veniva basata sulle dichiarazioni degli operanti che la notte del 5 febbraio 2010 dopo aver pedinato gli imputati ed averli visti armeggiare vicino alla serratura di un portone, li avevano bloccati all’uscita, rinvenendo in possesso del M. una piccola statua di bronzo, di cui non veniva fornita spiegazione ed una custodia per occhiali con strumenti idonei all’apertura delle serrature tenuta dall’ E..

La statuetta di bronzo era nei giorni successivi riconosciuta dalla figlia della persona proprietaria dell’appartamento, deceduta qualche giorno prima del furto.

Vengono proposti due distinti ricorsi.

D.M. e Di.Me. reiterano i motivi già proposti in appello secondo i quali difetterebbe la prova del reato, a fronte di un riconoscimento tardivo della statuetta da parte di una sola delle figlie del defunto proprietario dell’appartamento; in ogni caso il fatto avrebbe dovuto essere qualificato al più come tentativo e non come furto consumato; immotivatamente sarebbe stata negata la rinnovazione del dibattimento.

E.P., El.Re., M.G. e R. F. con il primo motivo contestano il giudizio di responsabilità, sostenendo che: la dislocazione dello stabile impediva la costante visualizzazione degli agenti e che esisteva una evidente contraddizione tra il racconto degli operanti e la mancanza di ogni segno di effrazione sul portone e sulla porta di ingresso dell’abitazione; la statuetta inizialmente non era stata riconosciuta dalla figlia del proprietario.

Con il secondo motivo lamentano la violazione di legge sostenendo che i giudici di merito avevano erroneamente ritenuto la configurabilità dell’art. 707 c.p. che doveva invece ritenersi assorbito nel reato di furto contestato.

I ricorsi sono infondati, ad eccezione della censura afferente la configurabilità della contravvenzione prevista e punita dall’art. 707 c.p..

Le censure sulla responsabilità per il delitto di furto aggravato sconfinano nell’apprezzamento di merito.

I ricorrenti tralasciano di considerare che in tema di ricorso per cassazione, infatti, allorquando si prospetti il difetto di motivazione, l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente alla Corte di legittimità una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori (Sezione 6, 6 maggio 2009, Esposito ed altro).

Ciò vale a fortiorì in presenza di una doppia sentenza conforme (qui di condanna), che ha ampiamente argomentato il giudizio di responsabilità facendo riferimento alle puntuali dichiarazioni rese dagli operanti che hanno proceduto all’arresto in flagranza degli imputati, trovati in possesso della statuetta ed al riconoscimento dell’oggetto dalla part offesa. In tal caso, il preteso travisamento probatorio, posto il limite posto dal principio devolutivo, che non può essere valicato, con coeva intangibilità della valutazione di merito del risultato probatorio, potrebbe essere fatto valere (ma non è questo il caso) solo non nell’ipotesi in cui il giudice di appello abbia individuato – per superare le censure mosse al provvedimento di primo grado – atti o fonti conoscitive mai prima presi in esame, ossia non esaminati dal primo giudice (Sezione 6, 10 maggio 2007, Contrada).

Argomento questo che spiega in modo corretto e convincente anche il diniego della rinnovazone dell’istruttoria dibattimentale, in linea con il carattere eccezionale della stessa (Sezione 4, 28 aprile 2011, Ferri ed altri).

Infondato è il motivo con il quale si contesta la qualificazione del fatto come furto consumato. La Corte di merito ha motivato – con apprezzamento insindacabile in punto di fatto – sulla acquisita disponibilità autonoma della cosa (sia pure per un arco temporale molto limitato) da parte degli imputati: ciò che configura i presupposti del furto consumato. Come è noto, infatti, in tema di furto, ai fini dell’impossessamento e della sottrazione è sufficiente che la cosa sottratta sia passata -anche per breve tempo e nello stesso luogo in cui la sottrazione si è verificata- sotto il dominio esclusivo dell’agente. Il reato è quindi consumato anche se in un secondo momento altri (qui, la polizia giudiziaria) o la stessa persona offesa abbia impedito al suo autore di assicurarsi definitivamente il possesso della cosa sottratta, magari costringendo lo stesso agente ad abbandonare la refurtiva subito dopo la sottrazione, (cfr. Sez. 4, 7 aprile 2005, Volpi).

Fondata, come sopra accennato, è la censura sulla configurabilità nel caso in esame della contravvenzione di cui all’art. 707 c.p..

E’ nota la giurisprudenza consolidate di questa Corte secondo la quale l’assorbimento del reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli ( art. 707 c.p.) nel reato di furto si verifica qualora il possesso ingiustificato degli strumenti indicati dall’art. 707 c.p. risulti strettamente collegato all’uso degli stessi fatto dall’agente per la commissione del furto, e quindi per le sole ipotesi di impiego effettivo delle attrezzature da scasso nell’azione delittuosa e di detenzione attuatasi esclusivamente con l’uso necessario all’effrazione. Con la conseguenza che tale nesso deve essere escluso qualora gli arnesi atti all’effrazione, trovati in possesso del soggetto attivo, siano tali da assumere autonoma rilevanza giuridica (v. da ultimo Sez. 5, 19 febbraio 2010, Kapsa, rv. 247250).

Sul punto la sentenza impugnata ha omesso ogni motivazione. Ne consegue l’annullamento limitatamente alla imputazione di cui all’art. 707 c.p. con rinvio alla competente Corte di Appello che si atterrà ai principi sopra indicati per chiarire l’eventuale configurabilità della contravvenzione de qua nei confronti del Di.

M., E. ed El., che hanno sollevato la questione, con effetto estensivo anche nei confronti del Di.Me..

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Di.Me.Ge., E.P., El.Re., M.G., R. F. e, per l’effetto estensivo, anche nei confronti di D. M.A. limitatamente alla imputazione di cui all’art. 707 c.p. con rinvio su tale capo ad altra Sezione della Corte di Appello di Napoli. Rigetta nel resto i ricorsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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