T.A.R. Lazio Roma Sez. III quater, Sent., 20-12-2011, n. 9887

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con ricorso notificato in data 26 aprile 2000 e depositato il successivo 19 maggio il sig. M.C., infermiere dipendente dall’ASL RM H, ha impugnato la determina dell’AUSL RM H n. 7 del 25 gennaio 2000, con la quale è stata esclusa la dipendenza da causa di servizio dell’infermità "cardiopatia ischemica con angina da sforzo" riscontrata a suo carico..

Tale diniego è, ad avviso del ricorrente, illegittimo per eccesso di potere, contraddittorietà e difetto di motivazione.

L’Azienda sanitaria ha infatti acriticamente recepito il parere negativo del C.p.p.o., senza considerare né i pareri favorevoli della C.m.o. e del proprio Servizio di Medicina Legale né l’attività effettivamente usurante da lui svolta per molti anni.

3. Si è costituita in giudizio la A.S.L. RM, che ha depositato documentazione ma senza svolgere attività difensiva scritta.

4. All’udienza del 19 dicembre 2011 la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

Con un unico motivo il ricorrente deduce l’illegittimità dell’impugnato diniego di riconoscimento della dipendenza da causa di servizio dell’infermità da lui sofferta sul rilievo che l’Amministrazione si sarebbe attenuta apoditticamente al parere negativo espresso dal C.p.p.o. senza considerare quelli favorevoli in precedenza resi dalla C.m.o. e dal proprio Servizio di medicina Legale.

Il ricorso è infondato.

Occorre preliminarmente chiarire che nel procedimento finalizzato alla liquidazione dell’equo indennizzo l’Amministrazione non dispone, ope legis, di due pareri (della C.m.o. e del C.p.p.o.) da valutare agli effetti della determinazione da assumere e fra i quali scegliere, motivatamente, ove di segno opposto. Si tratta invece di due pareri resi nel corso di due distinti procedimenti, il primo finalizzato al riconoscimento della dipendenza da causa di servizio di un’infermità, il secondo alla liquidazione dell’equo indennizzo per l’invalidità permanente che da essa è derivata. In quest’ultimo, quindi, la C.m.o. non ha alcun titolo ad intervenire, con la conseguenza che il parere da essa reso nel primo procedimento costituisce solo un elemento di conoscenza di cui il C.p.p.o. deve tener conto, unitamente agli altri elementi forniti dallo stesso dipendente e dall’Amministrazione, nell’esprimere il giudizio conclusivo di sua esclusiva competenza (Cons.Stato, VI Sez., 28 gennaio 2009, n. 481; 13 novembre 2001 n.5808; 29 gennaio 2001 n.286; 22 gennaio 2001 n.183; T.A.R. Lazio, II Sez., 2 dicembre 2010 n. 35030; T.A.R. Basilicata 6 marzo 2003 n. 191; T.A.R. Bari, I Sez., 20 luglio 1999 n. 931). In effetti ad analoga conclusione era già pervenuta la Corte costituzionale che con la sentenza 21 giugno 1996, n.209 aveva chiarito che "il provvedimento dell’Amministrazione (reso sull’istanza di liquidazione dell’equo indennizzo) ha alla sua base una valutazione più complessa di quella necessaria per l’accertamento della causa di servizio agli altri effetti per i quali tale accertamento rileva, non dovendosi soltanto appurare se l’infermità trovi origine nella causa di servizio, ma anche se e in quale misura essa abbia dato luogo ad un effetto invalidante; valutazione che appare necessaria anche alla luce delle rilevanti conseguenze di queste decisioni sulla spesa pubblica. A ciò sovviene il Comitato (C.p.p.o,), con pareri non vincolanti per l’Amministrazione, ma tali da obbligarla a motivare le ragioni per le quali ritenga eventualmente di discostarsene. Trattasi di un organo la cui imparzialità è garantita dalla sua stessa composizione, poiché ne fanno parte membri provenienti dalle tre magistrature, ordinaria, amministrativa e contabile, dalla dirigenza del Ministero del tesoro e dagli ufficiali generali e superiori medici, e che svolge una funzione consultiva di natura medico legale, volta a verificare, nel merito, l’operato delle singole commissioni mediche ospedaliere, onde garantire la tutela dell’interesse del singolo e, nel contempo, quella non meno importante dell’Erario".

Segue da ciò che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di motivare le ragioni per cui in sede di esame dell’istanza di liquidazione dell’equo indennizzo, in presenza di pareri discordanti, aderisce a quello del C.p.p.o. anziché a quello della C.m.o.: poiché in detto procedimento essa dispone di un solo parere, quello del C.p.p.o., prima di assumerlo a fondamento della propria determinazione deve solo verificare che esso sia stato reso sulla base di una completa istruttoria e che non sia affetto da macroscopici vizi logici ovvero da un palese travisamento dei fatti.

In altri termini, come insegna da tempo una consolidata giurisprudenza (Cons. Stato, VI Sez., 21 giugno 2001 n.3313; IV Sez., 19 aprile 2001 n.2367; VI Sez., 3 giugno 1998 n.887; VI Sez., 25 marzo 1998 n.386; VI Sez., 23 settembre 1997 n.1368; V Sez., 25 febbraio 1997 n.196; IV Sez., 27 aprile 1993 n.483), l’Amministrazione non è tenuta a spiegare le ragioni per le quali aderisce al parere del C.p.p.o. ma deve solo verificare se detto Comitato, nel pronunciare, ha tenuto conto delle argomentazioni, eventualmente di segno opposto, svolte dagli altri organi tecnici già intervenuti nella precedente procedura. Detta conclusione risponde anche a canoni di logica giacché chiedere all’Amministrazione di motivare specificatamente le ragioni tecnicosanitarie per cui ritiene un parere più fondato di un altro significherebbe riconoscerle una competenza tecnica di cui non dispone.

Legittimamente dunque l’Amministrazione ha motivato il diniego rinviando per relationem al parere negativo espresso dal C.p.p.o., con la conseguenza che è con riferimento a detto parere che occorre verificare la sufficienza della motivazione. Il Comitato pensioni privilegiate ordinarie ha escluso la dipendenza dal servizio dell’infermità a carico del ricorrente perché si tratta "di patologia riconducibile a insufficiente irrorazione del miocardio per riduzione del flusso ematico coronarico, a sua volta derivante da restringimento o sub occlusione del lume vasale per fatti ateroma tosi dell’intima della parete arteriosa. Poiché l’ateromatosi vasale può derivare da fattori multipli costituzionali o acquisiti su base individuale (fumo, alcool, abitudini alimentari, ecc.) la forma in questione non può attribuirsi al servizio prestato, anche perché in esso non risultano sussistenti specifiche situazioni di effettivi disagi o surmenage psicofisico tali da rivestire un ruolo di concausa efficiente e determinante". Si tratta, con tutta evidenza, di una motivazione che spiega in modo esaustivo le ragioni della determinazione adottata e che comunque, costituendo espressione di discrezionalità tecnica, è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo dell’assoluta carenza istruttoria o della palese irragionevolezza, situazioni che nel caso in esame non ricorrono affatto (Cons.Stato, IV Sez., 13 gennaio 2010 n. 35).

Né è ammissibile pretendere che il Collegio ribalti le conclusioni alle quale è pervenuto il C.p.p.o. utilizzando e facendo proprio a questo fine le contrarie argomentazioni addotte dal perito di parte.

E’ noto che i giudizi resi dagli organi medicolegali pubblici sono connotati da discrezionalità tecnica, sicché il sindacato su di essi esperibile dal giudice amministrativo è limitato ai profili di irragionevolezza, illogicità o travisamento dei fatti. Tale limite, pertanto, permette al giudice amministrativo una valutazione "esterna" di congruità e sufficienza del giudizio di non dipendenza, vale adire sulla mera esistenza di un collegamento logico tra gli elementi accertati e le conclusioni che da essi si ritiene di trarre. Ma la prova del nesso di causalità tra la patologia insorta ed i fatti di servizio, che sostanzia il giudizio sulla dipendenza o meno dal servizio, costituisce tipicamente esercizio di attività di "merito tecnico" insindacabile in sede di legittimità salvo che per manifesti vizi di illogicità ed irragionevolezza. Vizi questi che peraltro la perizia di parte ricorrente, pur pervenendo a conclusioni opposte a quelle del C.p.p.o., non è riuscita ad evidenziare (Cons. St., sez. IV, 6 maggio 2010, n. 2619).

In conclusione, perché il giudice adito possa intervenire con un provvedimento annullatorio, è necessario che nel parere del Comitato siano riscontrabili carenze o deficienze diagnostiche o affermazioni illogiche o scientificamente errate, e non già semplici difformità tra la valutazione del medico di parte, circa l’entità e l’incidenza del dato patologico, e quella accertata dall’organo tecnico deputato all’accertamento, essendo inammissibile per il giudice una valutazione del merito tecnico del parere reso. Si tratta, in sostanza, di un sindacato c.d. debole o esterno, perché ha per oggetto giudizi medicolegali espressivi di discrezionalità tecnica contestabili solo sotto il profilo della irragionevolezza e del palese contrasto con i dati obiettivi emergenti dalla documentazione in atti, con i criteri scientifici che il Comitato ha dichiarato di applicare o per assoluta carenza di motivazione

Per le ragioni che precedono il ricorso deve essere respinto.

Quanto alle spese di giudizio, può disporsene l’integrale compensazione fra le parti costituite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Terza Quater)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Compensa integralmente tra le parti in causa le spese e gli onorari del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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