Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8255 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

R.R. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto in data 10 marzo 2010, con il quale Corte di appello di Napoli ha così provveduto:

– ha accolto parzialmente la domanda di equa riparazione da lei proposta, L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio civile promosso nei suoi confronti davanti al Tribunale di Salerno con citazione del 30 marzo 1994 e ancora pendente alla data di presentazione del ricorso per equa riparazione (28 settembre 2009), determinando in quattro anno la durata ragionevole del giudizio;

– ha tuttavia dichiarato prescritto il diritto all’equa riparazione per il periodo antecedente di oltre dieci anni dalla data di deposito del ricorso introduttivo, considerato evento interruttivo;

– ha condannato il Ministero della Giustizia al pagamento in suo favore della somma di Euro 83,34 per una durata non ragionevole di un mese.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso.

Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la R. si duole determinazione in quattro anni del periodo di durata ragionevole del processo. Con il secondo e terzo motivo si censura l’applicazione della prescrizione da parte della Corte di appello di Napoli. Il primo motivo è privo di fondamento. Osserva al riguardo il collegio che il dato fondamentale, ai fini dell’accertamento della violazione del termine ragionevole, è quello, di natura oggettiva, costituito dalla durata del processo, sul quale possono incidere i criteri indicati nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (complessità del caso, comportamento delle parti, del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o contribuire alla sua definizione), senza però che si possa trascurare del tutto la rilevanza del lungo protrarsi del processo (Cass. S.U. 2004/1338; Cass. 2005/8600) e dovendosi comunque far riferimento ai criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le cui sentenze in ordine all’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo costituiscono per il giudice italiano la prima e più importante guida ermeneutica, consentendo la corretta applicazione di un criterio, quale quello della ragionevolezza, che ha insiti in sè indubbi margini di elasticità (Cass. 2005/1094). Considerato quanto precede e tenuto conto dei parametri cronologici elaborati dalla Corte europea, secondo i quali il limite massimo di ragionevole durata del processo di primo grado è di circa tre anni, (Cass. 2008/14), non risulta conforme ai richiamati parametri della Corte europea la decisione, assunta nel caso di specie, dalla Corte territoriale, di stabilire in quattro anni il termine di ragionevole durata del processo, svoltosi in primo grado.

Sono fondati anche il secondo e il terzo motivo. In tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, la L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 nella parte in cui prevede la facoltà di agire per l’indennizzo in pendenza del processo presupposto, non consente di far decorrere il relativo termine di prescrizione prima della scadenza del termine decadenziale previsto dal medesimo art. 4 per la proposizione della domanda, in tal senso deponendo, oltre all’incompatibilità tra la prescrizione e la decadenza, se riferite al medesimo atto da compiere, la difficoltà pratica di accertare la data di maturazione del diritto, avuto riguardo alla variabilità della ragionevole durata del processo in rapporto ai criteri previsti per la sua determinazione, nonchè il frazionamento della pretesa indennitaria e la proliferazione di iniziative processuali che l’operatività della prescrizione in corso di causa imporrebbe alla parte, in caso di ritardo ultradecennale nella definizione del processo (Cass. 2009/27719; 2011/478).

Il ricorso merita pertanto accoglimento e il decreto impugnato deve essere di conseguenza annullato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Determinata in quindici anni e sei mesi la durata complessiva del giudizio e in tre anni quella ritenuta ragionevole, la durata non ragionevole va stabilita in dodici anni e sei mesi.

Il parametro per indennizzare la ricorrente del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819; 2010/17922). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di dodici anni e sei mesi, l’indennizzo di Euro 11.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352), con distrazione in favore del difensore della ricorrente, avv. Lelice Amato, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore della ricorrente della somma di Euro 11.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore della ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore del procuratore della ricorrente, dichiaratosi antistatario. Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 965,00, di cui Euro 865,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore del difensore della ricorrente, dichiaratosi antistatario.

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