Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8253 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente indicato in rubrica ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di un motivo, nei confronti del Ministero dell’Economia e delle Finanze avverso il decreto in data 4 settembre 2009, con il quale la Corte di appello di Napoli ha rigettato la domanda di equa riparazione proposta, L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione del termine ragionevole di durata di un giudizio promosso davanti al Tar della Campania con ricorso depositato il 10 ottobre 2000 e definito con sentenza del 14 novembre 2007. Il Ministero intimato ha resistito con controricorso. Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con un unico motivo il ricorrente – premesso che la Corte di merito ha dichiarato improponibile il ricorso ai sensi del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133, per non avere il ricorrente presentato istanza di prelievo ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51 – deduce che il disposto dell’art. 54 citato, secondo cui la domanda non è proponibile se nel giudizio davanti al giudice amministrativo, in cui si assume essersi verificata la violazione, non sia stata presentata l’istanza "di prelievo" ai sensi del R.D. 17 agosto 1907, n. 642, art. 51 non è applicabile retroattivamente per i giudizi amministrativi introdotti prima dell’entrata in vigore della norma suddetta. Il ricorso è manifestamente fondato.

Rilevato che nella specie il giudizio amministrativo è stato introdotto con ricorso depositato il 10 ottobre 2000 e definito con sentenza del 14 novembre 2007, prima dell’entrata in vigore del citato art. 54, deve ritenersi che, in tema di equa riparazione ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, la lesione del diritto alla definizione del processo in un termine ragionevole, di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, va riscontrata, anche per le cause davanti al giudice amministrativo, con riferimento al periodo intercorso dall’instaurazione del relativo procedimento, senza che una tale decorrenza del termine ragionevole di durata della causa possa subire ostacoli o slittamenti in relazione alla mancanza dell’istanza di prelievo od alla ritardata presentazione di essa.

Nè l’innovazione introdotta dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito con L. 6 agosto 2008, n. 133, può essere applicata, in difetto di una disciplina transitoria o di esplicite previsioni contrarie e in ossequio al principio del "tempus regit actum", a quei giudizi di equa riparazione aventi ad oggetto un giudizio amministrativo introdotto prima dell’entrata in vigore della predetta normativa (Cass. 2008/24901; 2008/28428; 2011/115).

Il ricorso merita pertanto accoglimento e il decreto impugnato deve essere di conseguenza annullato.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

Va in primo luogo rilevato che la durata complessiva del giudizio presupposto si e protratta per sette anni, con conseguente superamento nella misura di quattro anni del termine ragionevole di durata, determinato per il giudizio di primo grado in tre anni alla stregua dei parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte di cassazione (Cass. 2008/14).

Per quanto concerne il criterio per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito nel processo presupposto, va considerato che il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche, inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata, tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successiva, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di quattro anni, l’indennizzo di Euro 3.250,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero dell’Economia e delle Finanze al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 3.250,00, oltre agli interessi legali dalla, domanda al saldo.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito che si liquidano in Euro 873,00 di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 665,00 di cui Euro 565,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *