Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8252 Diritti politici e civili

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per cassazione nei confronti di B.R., sulla base di quattro motivi, avverso il decreto della Corte di appello di Catania indicato in rubrica, con il quale il Ministero medesimo è stato condannato al pagamento in favore del B. della somma, già rivalutata, di Euro 10.870,00, pari ad Euro 1.500,00 per ogni anno di durata non ragionevole, oltre agli interessi legali dalla data della domanda, a titolo di equa riparazione, L. n. 89 del 2001, ex art. 2 per violazione del termine ragionevole di durata di un processo penale promosso nei confronti dello stesso B. per il reato di associazione di tipo mafioso (art. 416 bis c.p.) ed altro. Tale processo si è protratto dal 25 novembre 1992, data nella quale l’imputato è stato tratto in arresto per la prima volta, al 2 ottobre 2008, data della sentenza della Corte di cassazione che ha respinto il ricorso del B., restando così definitiva la condanna alla pena di dieci anni e sette mesi di reclusione, inflitta dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza dell’11 gennaio 2007.

L’intimato B.R. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1. Il Ministero della Giustizia ricorrente censura il decreto impugnato, deducendo che:

– la durata ragionevole del processo penale avrebbe dovuto essere determinata in quindici anni circa, pari alla sua durata effettiva (primo motivo);

– l’ammontare dell’equo indennizzo avrebbe dovuto essere stabilito nella misura di Euro 1.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole e non di Euro 1.500,00, come invece ritenuto dalla Corte di merito;

– l’importo liquidato a titolo di equo indennizzo non è soggetto a rivalutazione monetaria, diversamente da quanto disposto dalla Corte di appello (terzo e quarto motivo).

Il primo motivo è infondato. Osserva al riguardo il collegio che il dato fondamentale, ai fini dell’accertamento della violazione del termine ragionevole, è quello, di natura oggettiva, costituito dalla durata del processo, sul quale possono però incidere i criteri indicati nella L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2, (complessità del caso, comportamento delle parti, del giudice del procedimento e di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o contribuire alla sua definizione) (Cass. S.U. 2004/1338; Cass. 2005/8600) e dovendosi comunque far riferimento ai criteri cronologici elaborati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, le cui sentenze, in ordine all’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo costituiscono per il giudice italiano la prima e più importante guida ermeneutica, consentendo la corretta applicazione di un criterio, quale quello della ragionevolezza, che ha insiti in sè indubbi margini di elasticità (Cass. 2005/1094).

Considerato quanto precede e tenuto conto dei parametri cronologici elaborati dalla Corte europea, secondo i quali il limite massimo di ragionevole durata del processo è di circa tre anni per il primo grado, di due anni per l’appello e di un anno per il giudizio di cassazione e per ogni giudizio di rinvio, risulta conforme ai richiamati parametri della Corte europea la decisione, assunta nel caso di specie, dalla Corte territoriale, di stabilire nel caso di specie in circa nove anni complessivi il termine di ragionevole durata dell’intero processo, articolatosi attraverso due giudizi di primo grado, due giudizi di appello e una fase di cassazione, tenuto conto della particolare complessità dell’intero processo penale che ha interessato il B. e soprattutto del secondo giudizio di primo grado – svoltosi davanti al Tribunale di Enna, a seguito dell’annullamento della prima sentenza del Tribunale di Caltanissetta – che ha riguardato cinque, imputati, con numerosissimi capi d’imputazione, e che ha comportato la necessità della stesura di una motivazione di oltre settecento pagine.

2. E’ invece fondato il secondo motivo, in quanto la determinazione dell’indennizzo nella misura di Euro 1.500,00 per anno di ritardo è irragionevolmente superiore a quella calcolata in base ai parametri stabiliti dalla CEDU, come interpretati e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte (Euro 750,000 per i primi tre anni di durata non ragionevole ed Euro 1.000,00 per ogni anno successivo;

cfr. Cass. 2009/21840; 2010/17922). Dal decreto impugnato non emergono fondati elementi che giustificano un così rilevante scostamento da tali parametri, mentre la fondatezza della responsabilità penale dell’imputato, e la conseguente ridotta incertezza sull’esito finale del processo che costituisce motivo di attenuazione dello stato di disagio per il protrarsi del processo, trova riscontro nella gravità della pena detentiva inflitta in via definitiva al B..

Il terzo e il quarto motivo restano assorbiti dall’accoglimento della seconda censura.

3. Il decreto impugnato deve essere pertanto annullato in relazione alla doglianza accolta e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

In particolare, determinata in sette anni e tre mesi la durata non ragionevole del giudizio presupposto, secondo l’accertamento della Corte di appello infondatamente censurato dal ricorrente, il parametro per indennizzare il ricorrente del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo di Euro 750,00 per anno di ritardo, per i primi tre anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000,00 per ciascun anno successivo, in quanto l’irragionevole durata eccedente tale periodo da ultimo indicato comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/21840; 2010/17922).

Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente l’indennizzo di Euro 6.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione, in considerazione dell’accoglimento solo parziale del ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo e accoglie il secondo, assorbiti gli altri motivi. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 6.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda.

Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 1.140,00 di cui Euro 600,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione delle stesse in favore del procuratore del ricorrente, avv. Maria Concetta Bevilacqua, dichiaratosi antistatario.

Condanna inoltre il B.R. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, compensate per metà, che si liquidano per l’intero in Euro 965,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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