Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 15-11-2011, n. 41710

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto, deliberato il 9 aprile 2009 e depositato il 29 gennaio 2010, la Corte di appello di Napoli ha respinto l’appello proposto da P.M. avverso il decreto del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 30 novembre 2006 (depositato il 19 gennaio 2007), col quale era stata disposta la confisca di tre beni immobili (una villa di 270 mq. con 15 vani in (OMISSIS), e due terreni, ciascuno di mq. 500, sempre nel Comune di (OMISSIS)), formalmente intestati alla P., ma ritenuti nella disponibilità del marito convivente, E.A., già destinatario della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza, in forza di decreto emesso il 20 aprile 2006 dallo stesso Tribunale di S. M. Capua Vetere, perchè appartenente ad associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, corriere della droga per conto del capo dell’organizzazione criminale, B.G., più volte fermato negli scali aerei internazionali con arresto a (OMISSIS), in occasione di un’operazione di trasporto, condannato dal Tribunale di Milano alla pena di anni nove e mesi due di reclusione per reati in materia di stupefacenti.

La confisca, deliberata ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, comma 3, come sostituito dalla L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 2, è stata ritenuta legittima dalla Corte di appello, la quale, quanto alla doglianza relativa alla non appartenenza dei beni all’ E., ha osservato che la L. n. 575 del 1965, cit., art. 2- bis, comma 3, come sostituito dalla L. n. 55 del 1990, cit., art. 1, postula, nel caso di beni intestati alla moglie del prevenuto, la mera possibilità di quest’ultimo di disporne in tutto o in parte, anche indirettamente, ritenuta sussistente nella fattispecie per il rapporto di convivenza coniugale dell’ E. con la P.; e, quanto alla non giustificata legittima provenienza degli immobili, ha rilevato che l’ E. non risultava aver presentato dichiarazioni dei redditi, mentre la P., già socia accomandataria della ES.VI. di Maria Persico e C. s.a.s., costituita nel 1995, aveva dichiarato per gli anni 1995, 1996 e 2000 redditi esigui certamente incompatibili con gli operati acquisti immobiliari, da ritenersi perciò frutto degli investimenti dei proventi illeciti dell’ E., già membro attivo dell’associazione di narcotrafficanti prima delle suddette acquisizioni patrimoniali.

2. Ricorre per cassazione la P., ai sensi della L. n. 1423 del 1956, art. 4, comma 11, tramite l’avvocato Ferdinando Trasacco, il quale deduce due motivi.

2.1. Con il primo motivo denuncia la violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in relazione alla L. n. 575 del 1965 e succ. mod., art. 2-ter, commi 2 e 4, per avere la Corte territoriale invertito l’onere della prova, ponendo a carico del titolare dei beni il compito di dimostrare la loro legittima provenienza, mentre incombe al Pubblico ministero la prova che essi siano frutto o reimpiego di capitali illeciti, dovendo attribuirsi all’intestatario dei cespiti solo un onere di allegazione degli elementi attestanti la loro legittima provenienza.

2.2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, per mera apparenza della motivazione, non avendo la Corte territoriale tenuto conto dell’ampia documentazione contabile da lei prodotta (in particolare, fatture emesse dalla società ES.VI. di cui è stata amministratrice), a conforto della lecita acquisizione dei cespiti confiscati con l’impiego dei redditi, seppure esigui, tratti dalla predetta attività imprenditoriale.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile perchè proposto da difensore del terzo interessato al procedimento di prevenzione, senza essere munito di procura speciale.

La giurisprudenza di questa Corte, in tema di ricorso per cassazione proposto da persona diversa dall’imputato, dall’indagato o dal sottoposto a misura di prevenzione, ha chiarito che esso deve essere presentato, a pena di inammissibilità, dal difensore iscritto nell’albo speciale della Corte di cassazione e munito di procura speciale (c.f.r., tra le molte, con specifico riguardo al procedimento di prevenzione, Sez. 6, n. 46429 del 17/09/2009, dep. 2/12/2009, Pace, Rv. 245440).

Va, infatti, ribadito che per i soggetti portatori di un interesse meramente civilistico, come è il caso dell’attuale ricorrente, vale analogicamente la regola, espressamente menzionata dall’art. 100 cod. proc. pen. per la parte civile, il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria, secondo cui essi "stanno in giudizio col ministero di un difensore munito di procura speciale", al pari di quanto previsto nel processo civile dall’art. 83 cod. proc. civ.; mentre l’indagato o imputato, che è assoggettato all’azione penale, sta in giudizio di persona, avendo solo necessità di munirsi di difensore che, oltre ad assisterlo, lo rappresenta ex lege e che è titolare di un diritto di impugnazione in favore dell’assistito per il solo fatto di rivestire la qualità di difensore, senza alcuna necessità di procura speciale, imposta soltanto per i casi di atti riservati espressamente dalla legge all’iniziativa personale dell’imputato, valendo la stessa regola per il soggetto sottoposto a misura di prevenzione, al quale si estende la posizione dell’imputato (v. la L. n. 1423 del 1956, art. 4, u.c.).

L’attuale ricorrente, dunque, al pari dei soggetti espressamente considerati dall’art. 100 cod. proc. pen., essendo portatrice di interessi civilistici, non può stare personalmente in giudizio, in conformità a quanto previsto per il processo civile ( art. 83 cod. proc. civ.), ma ha un onere di patrocinio che è soddisfatto attraverso il conferimento di procura alle liti al difensore.

Nella specie, non risulta agli atti che una simile procura sia stata rilasciata ed il ricorso risulta proposto e sottoscritto esclusivamente dall’avvocato, Ferdinando Trasacco, qualificatosi difensore di fiducia di P.M..

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non essendo la causa di inammissibilità immune da profili di colpa, anche la condanna al versamento alla cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare, in relazione ai motivi dedotti, nell’importo di Euro 1.000,00 (mille).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.
Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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