Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 15-11-2011, n. 41709

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con decreto deliberato il 17 ottobre e depositato il 24 novembre del 2003 il Tribunale di Foggia – Ufficio Misure di Prevenzione ha disposto la confisca nei confronti di T.F., ai sensi della L. 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, e successive modifiche, dell’unità immobiliare realizzata in agro di (OMISSIS), nel podere denominato (OMISSIS), con estensione della misura di prevenzione a D.G.A., genero del T., ritenuto fittiziamente interposto nella titolarità del bene confiscato, ai sensi della L. n. 575 del 1965, cit., art. 1 e art. 2-bis, comma 3.

Il D.G., già costruttore dell’edificio confiscato, imputato per averlo realizzato abusivamente e con violazione dei sigilli in procedimento penale definito con sentenza della Corte di appello di Bari del 9 dicembre 2008, declaratoria di improcedibilità per estinzione dei reati a seguito di prescrizione, con ricorso proposto nel 2009 allo stesso Tribunale di Foggia – Ufficio Misure di Prevenzione, quale giudice dell’esecuzione, agendo in surrogazione, ex art. 2900 cod. civ., del Consorzio di Bonifica della Capitanata e del Comune di Manfredonia, tra i quali è intervenuta, il (OMISSIS), una transazione che attribuisce la proprietà del suddetto podere – già ritenuta del Consorzio di Bonifica – al Comune di Manfredonia, ha contestato la ritenuta proprietà dell’immobile ivi costruito in capo al T., rilevando che essa deve ritenersi spettante per accessione, a norma dell’art. 934 cod. civ., ad uno dei predetti enti pubblici e sostenendo il suo interesse, quale creditore nei riguardi del reale proprietario dell’edificio, il quale ha beneficiato del valore patrimoniale dell’immobile di cui si sarebbe indebitamente arricchito (richiamati gli artt. 2041 e 2042 cod. civ.), a conservare la generale garanzia patrimoniale del proprio credito ai sensi dell’art. 2740 cod. civ..

2. L’adito Tribunale di Foggia – Ufficio Misure di Prevenzione, in funzione di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 12 febbraio 2010 (depositata il successivo 2 marzo), ha dichiarato inammissibile la domanda del D.G., qualificata come opposizione ai sensi dell’art. 676 c.p.p., comma 1 e art. 667 c.p.p., comma 4, per difetto di legittimazione attiva dello stesso, considerato che alla rivendicazione della proprietà dell’immobile insistente sul podere de quo sono legittimati solo gli enti che lo stesso ricorrente assume essere proprietari del medesimo bene, e non il D.G., terzo estraneo, peraltro già parte del procedimento di prevenzione all’esito del quale fu disposta la confisca dell’edificio a carico del T., senza alcuna obiezione da parte dell’attuale ricorrente. Aggiunge il Tribunale che il D.G., comunque, conserverebbe la facoltà di proporre azione di indebito arricchimento nei confronti dell’effettivo proprietario del bene, una volta esaurita la vicenda relativa alla definizione degli assetti proprietari dei terreni sui quali insiste il manufatto confiscato.

3. Avverso la predetta ordinanza il D.G. ha proposto ricorso per cassazione tramite il suo difensore e procuratore speciale, avvocato Carloantonio Nobile del foro di Foggia, deducendo, dopo la rievocazione di tutti i passaggi della complessa vicenda, due motivi.

3.1. Con il primo lamenta, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), l’inosservanza o errata applicazione di norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale e, segnatamente, dell’art. 2900 cod. civ., avendo il Tribunale omesso di riconoscere la legittimazione del D.G., ricorrente in surrogazione dei proprietari del podere, ritenuti acquirenti per accessione dell’immobile confiscato al T., costruito dal ricorrente sul medesimo podere prima che fosse emessa la misura patrimoniale di prevenzione, e, conseguentemente, per non aver disposto la pur richiesta, nel ricorso per incidente di esecuzione, integrazione del contraddittorio nei confronti degli indicati enti proprietari (Consorzio di Bonifica e Comune di Manfredonia).

3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Il Tribunale di Foggia, infatti, da un lato, avrebbe riconosciuto che la proprietà del cespite confiscato non apparteneva al T., ma al Consorzio di Bonifica o Comune di Manfredonia, peraltro non ammessi come parti del procedimento, e, dall’altro lato, non avrebbe provveduto in conformità, omettendo di rimettere, a norma del combinato disposto dell’art. 676 c.p.p., comma 2 e art. 263 c.p.p., comma 3, la risoluzione della controversia al giudice civile.

Motivi della decisione

4. Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

4.1. Avverso il provvedimento del Tribunale di Foggia-Ufficio Misure di prevenzione, in data 17 ottobre-24 novembre 2003, che dispose la confisca, L. 31 maggio 1965, n. 575, ex art. 2 ter, comma 3, contenente disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso, dell’edificio abusivamente costruito in agro di (OMISSIS), nei confronti di T.F. e di suo genero – attuale ricorrente – D. G.A., entrambi parti del procedimento di prevenzione, avrebbe dovuto essere esperito per contestare, da parte del D. G., la proprietà dell’immobile in capo agli stessi prevenuti, il rimedio del ricorso in appello anche per il merito, e avverso il decreto della Corte di appello il ricorso a questa Corte di cassazione solo per violazione di legge, a norma della L. n. 575 del 1965, art. 3 ter, comma 2, richiamante le disposizioni della L. 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, commi 8, 9, 10 e 11, in materia di misure di prevenzione.

Nel caso in esame, nessuno dei predetti rimedi risulta essere stato esperito dal D.G., il quale, come si è detto, partecipò al procedimento di prevenzione di cui alla L. n. 575 del 1965, cit., artt. 2 bis e 2 ter.

Ne discende, come prima conseguenza dell’acquisita definitività del decreto di confisca con avvenuta devoluzione dell’immobile al patrimonio dello Stato, che non può essere rimessa in discussione, davanti al giudice dell’esecuzione della misura di prevenzione patrimoniale, su richiesta dello stesso D.G., la pregressa titolarità dell’edificio confiscato in capo al T., dovendo esso considerarsi, secondo il ricorrente, di proprietà per accessione dell’ente pubblico (Consorzio di Bonifica della Capitanata o Comune di Manfredonia) proprietario del suolo su cui fu edificato.

Il conforme rilievo del Tribunale di Foggia è, pertanto, corretto.

4.2. Parimenti inammissibile deve ritenersi il proposto ricorso, qualificato dal ricorrente come azione di rivendicazione ( art. 948 cod. civ.) in surrogazione ( art. 2900 cod. civ.) della proprietà dell’edificio confiscato, a favore dell’ente pubblico proprietario del suolo sul quale fu costruito, per acquisizione di esso a titolo di accessione ai sensi dell’art. 934 cod. civ., con diritto del costruttore, D.G., a conseguire dall’ente pubblico, riconosciuto come proprietario, l’aumento di valore recato al fondo, ex art. 936 c.c., comma 2, in relazione agli artt. 1150 e 2040 cod. civ. (meno puntuale, invece, il richiamo del ricorrente agli artt. 2041 e 2042 cod. civ., atteso il carattere sussidiario dell’azione generale di arricchimento).

Si tratta, infatti, con ogni evidenza, come pure correttamente rilevato dal giudice a quo, di azione civile non proponibile davanti al giudice dell’esecuzione della misura di prevenzione e, pertanto, illegittimamente esperita in quella sede, salva la possibilità del ricorrente di adire il giudice civile.

5. Ne discende, vuoi per la definitività del decreto di confisca risalente al 24 novembre 2003, vuoi per l’improponibilità davanti al giudice dell’esecuzione della misura di prevenzione patrimoniale dell’azione di rivendicazione in surrogazione, l’originaria inammissibilità della domanda, proposta dal D.G., legittimamente dichiarata dal Tribunale di Foggia – Ufficio Misure di Prevenzione nel provvedimento qui impugnato.

Il ricorso a questa Corte, fondato su motivi manifestamente infondati perchè intesi a confutare l’originaria palese inammissibilità della richiesta, deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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