Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8249 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

D.P.G. ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il decreto in data 3 agosto 2009, con il quale la Corte di appello di Potenza ha condannato detto Ministero al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 27.600,00 a titolo di equo indennizzo per la violazione del termine ragionevole di durata di una procedura fallimentare, intrapresa nei suoi confronti con sentenza di dichiarazione di fallimento del Tribunale di Lecce in data 26 giugno 1974 e non ancora conclusa alla data di presentazione del ricorso per equa riparazione (3 gennaio 2008).

Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva. Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente lamenta che la Corte di appello di Potenza abbia stabilito in dodici anni anzichè in sei la durata ragionevole della procedura fallimentare. Con il secondo motivo si deduce che il danno non patrimoniale avrebbe dovuto essere liquidato nella misura di Euro 2.000,00 per ogni anno di durata non ragionevole e non in quella di Euro 1.200,00 invece determinata dalla Corte di merito.

Con il terzo motivo il ricorrente contesta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale.

I primi due motivi sono inammissibili per carenza d’interesse all’impugnazione.

Osserva infatti il collegio che la Corte di merito ha determinato l’equo indennizzo nell’importo di Euro 27.600,00 per una durata non ragionevole di ventitrè anni, pari ad Euro 1.200,00 per ogni anno eccedente la durata ragionevole. Tale importo è comunque superiore a quello che andrebbe liquidato secondo i parametri attualmente applicati da questa Corte, nella misura di Euro 750,00 per ciascuno dei primi tre anni di ritardo e di Euro 1.000,00 per ciascuno degli anni successivi (Cass. 2009/16086; 2010/819; 2010/17922), e che ammonterebbe ad Euro 27.250,00 per una durata non ragionevole di ventotto anni, in relazione ad una durata complessiva di trentacinque anni e detratto il termine di durata ragionevole, da stimarsi nella specie nella misura di sette anni in considerazione della complessità della procedura, nel corso della quale sono stati promossi, come risulta dal decreto impugnato, due giudizi civili protrattisi fino al giudizio di cassazione e alcune controversie fiscali.

Il terzo motivo è infondato. Infatti sul punto impugnato la decisione della Corte di appello è conforme all’orientamento già espresso da questa Corte e secondo cui il diritto all’equa riparazione dei danni patrimoniali sofferti per l’eccessiva durata di un processo, pur se ancorato all’accertamento della violazione dell’art. 6 della Convenzione CEDU e cioè di un evento "ex se" lesivo di un diritto della persona alla definizione del processo in un termine ragionevole, ha per oggetto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale sofferto dal soggetto per il periodo eccedente tale durata. Ne consegue che, in caso di fallimento dell’istante, poichè il relativo credito, se costituente bene sopravvenuto al fallimento, deve essere automaticamente acquisito alla massa fallimentare, e, se derivante da pronuncia sulla domanda di equa riparazione intervenuta prima della dichiarazione di fallimento, costituisce un bene compreso nella massa fallimentare, legittimato a proporre la relativa azione, nel termine perentorio stabilito dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, artt. 4 e 6 è solo il curatore fallimentare, dovendosi peraltro riconoscere al fallito una legittimazione straordinaria o suppletiva – che vale ad escludere la violazione dell’art. 24 Cost. – solo nel caso di inerzia degli organi fallimentari (che deve tuttavia essere allegata dal fallito stesso e che deve ritenersi integrata dal totale disinteresse degli organi fallimentari, non potendo essa discendere dalla negativa valutandone, da parte dei medesimi organi della convenienza di iniziare una controversia) (cfr. Cass. 2005/3117). La decisione impugnata resiste pertanto alle infondate censure sollevate con il terzo motivo dal ricorrente, il quale non ha neppure specificamente dedotto, a sostegno del gravame, l’esistenza di una situazione di inerzia e di totale disinteresse da parte degli organi fallimentari.

Le considerazioni che precedono conducono al rigetto del ricorso, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, non avendo il Ministero intimato svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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