Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 25-05-2011) 15-11-2011, n. 41707

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza deliberata il 3 marzo 2010 e pubblicata il successivo 7 giugno, previa riunione dei giudizi di appello promossi da P. F. e I.V., coimputati del medesimo delitto di concorso nell’omicidio di Da.Er., ma giudicati separatamente dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze, all’esito di due giudizi abbreviati, sfociati, il primo, nella sentenza del 30 settembre 2008 con la quale il P. era stato condannato alla pena di anni quattordici di reclusione, e, il secondo, nella sentenza del 23 giugno 2009 con la quale l’ I. era stato condannato alla pena di anni trenta di reclusione con la circostanza aggravante della premeditazione, la Corte di assise di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 23 giugno 2009, esclusa la premeditazione, ha ridotto la pena inflitta all’ I. ad anni quattordici di reclusione, mentre ha confermato la sentenza del 30 settembre 2008 con l’analoga pena irrogata al P..

Il fatto e le vicende procedimentali sono così ricostruite nella sentenza di appello.

Il (OMISSIS), verso le ore una della notte, in (OMISSIS), fu ucciso Da.Er. (detto V.), cittadino (OMISSIS).

L’autopsia accertò che il Da. era stato colpito da 12 coltellate in rapida successione che avevano attinto organi vitali, provocandone la morte immediata.

Le indagini consentirono di risalire, tramite il controllo dei telefoni cellulari del Da. e di Do.Aj., compagna dell’ucciso, dedita alla prostituzione e da lui protetta, e le informazioni acquisite dalla stessa Do., ai presunti aggressori del Da., individuati in P.F. (detto B.) e I. V. (detto L. o N.), i quali, nell’immediatezza del fatto, erano stati indicati alla donna come autori del delitto da D.D. (detto N.), che, insieme a C.S. (detto M.), si trovava in compagnia del Da. al momento della mortale aggressione.

I predetti testimoni oculari del delitto non si resero immediatamente reperibili: il C., rifugiatosi a (OMISSIS), fu sentito dai Carabinieri il (OMISSIS); il D., più determinato del compagno nel perseguire la scelta di tacere, sottoposto ad indagini per il reato di favoreggiamento, rese le sue prime dichiarazioni sul fatto al Pubblico Ministero il (OMISSIS).

Le rievocazioni del D. e del C., che i giudici di merito hanno ritenuto pienamente attendibili e confortate dalle altre fonti di prova, illuminarono dinamica e causale dell’omicidio: nella notte del (OMISSIS) D.D. (alla guida di un’autovettura Volvo), Da.Er. (seduto al suo fianco) e C.S. (seduto sul sedile posteriore) procedevano in località (OMISSIS) per controllare l’esercizio della prostituzione da parte delle connazionali da loro protette; lungo la via (OMISSIS) l’autovettura fu affiancata da un’altra automobile, Lancia Y, a bordo della quale erano visibili due persone, una delle quali fece cenno al D. di fermarsi, che arrestò la marcia; immediatamente scesero dalla Lancia Y quattro persone, di cui due, già accovacciate dietro i sedili anteriori, non erano state notate al momento dell’arresto della marcia; uno dei passeggeri inizialmente nascosto, riconosciuto dal D. nel P.F., si diresse subito contro il Da., spingendolo fuori dall’abitacolo e iniziando a picchiarlo; il D., impaurito, lasciò immediatamente il posto di guida e si diede alla fuga a piedi; il C., il quale, come si è detto, si trovava sul sedile posteriore, prima di allontanarsi a sua volta di corsa, perdendo nella fuga i suoi sandali infradito, vide la persona, successivamente riconosciuta nel P., colpire il Da. con un coltello; i fuggitivi, D. e C., furono inseguiti da due componenti del quartetto e il C. notò che anche gli inseguitori erano armati di coltello, precisando di aver visto, complessivamente, tre persone del gruppo antagonista impugnare altrettanti coltelli;

dopo un breve tratto, gli inseguitori desistettero dalla loro azione e, risaliti sulla Lancia, si allontanarono repentinamente; il D., tornato verso il Da., si fermò ad una certa distanza dal corpo esanime dell’amico, essendo già sopraggiunti i soccorritori, e si rese conto della morte dello stesso; tramite successivi contatti telefonici tra loro, il D. e il C. si ritrovarono nella casa dove abitavano il C. e il Da., insieme alle rispettive compagne, G.V. e Do.Aj., alle quali il D. riferì subito il fatto e gli esecutori del delitto, da lui riconosciuti nel B. ( P.), autore dell’accoltellamento, e nel L. o N. ( I.), che insieme ad altre due persone era in compagnia del primo, l’uno e l’altro indicati con i rispettivi soprannomi (successivamente, tramite individuazione fotografica, sia il D. che il C. confermarono i predetti riconoscimenti e il D., in particolare, riconobbe fotograficamente anche un terzo assalitore, tale S.F., nei confronti del quale si è proceduto separatamente).

Le versioni dei testimoni oculari furono confermate dalle dichiarazioni della Do. e della G., alle quali, come si è detto, nell’immediatezza del delitto e in un contesto, quindi, come annotato dalla Corte territoriale, di sicura spontaneità e schiettezza, erano stati rivelati dal D. e dal C. autori e modalità del crimine.

Anche le informazioni assunte da alcuni cittadini italiani, tali C.S., T.J., A.D. e S. B.F. erano coerenti, secondo la Corte di merito, con le rievocazioni dei testimoni. I predetti, infatti, da una distanza di alcune centinaia di metri, non tale da ostacolare la visione dell’accaduto come emergente dalle fotografie del luogo, avevano assistito al fatto e riferirono che tutti e quattro gli occupanti della Lancia Y, dopo avere affiancato la Volvo, erano contemporaneamente discesi dall’autovettura e avevano aggredito la persona rimasta uccisa e due di loro avevano inseguito gli altri occupanti della Volvo, fuggiti a piedi, precisando la C. di aver notato i due inseguitori, una volta desistiti dalla rincorsa e tornati verso la vittima, già riversa a terra, riprendere a percuoterla per altri venti secondi circa; e riferendo l’ A. e il S.B. un altro particolare significativo e, cioè, di aver visto che due degli aggressori scesi dalla Lancia tenevano fermo l’aggredito mentre un altro lo colpiva ripetutamente sul corpo, confermando altresì quanto riferito dalla C..

Riguardo alla causale del delitto, essa è stata individuata nella lotta tra bande di cittadini (OMISSIS) per il controllo della prostituzione esercitata da alcune giovani connazionali in (OMISSIS), e, in particolare, nel contrasto insorto tra il Da. e P. A. (fratello dell’omonimo imputato F.) qualche tempo prima del fatto, per la pretesa dello stesso P. di sfruttare la prostituzione della Do., ragazza del Da., il quale, per tale ragione, aveva percosso l’antagonista, donde il proposito di vendetta di P.F. e compagni.

La Corte d’appello, nei giudizi di impugnazione riuniti, premessa l’inutilizzabilità a carico del P. delle prove raccolte successivamente alla separazione del suo procedimento, definito con rito abbreviato circa nove mesi prima di quello nei confronti del coimputato, I., deciso con analogo rito, ha superato le censure mosse dal P. alla sentenza di condanna.

La Corte territoriale ha ritenuto infondata la negazione della prova del delitto concorsuale e dello specifico ruolo del P. di esecutore materiale dell’accoltellamento del Da., per la dedotta inattendibilità del D. e del C. e per il contrasto che esisterebbe tra le loro versioni, riconoscendo, invece, l’affidabilità delle dichiarazioni degli stessi ed escludendo alcun contrasto tra esse, tranne che su aspetti marginali e secondari; ha, inoltre, ritenuto l’inattendibilità della testimone, M. D., indicata dal P., avendo ella offerto una ricostruzione del fatto completamente discordante rispetto a quella emergente da tutte le fonti di prova raccolte (l’autovettura degli aggressori sarebbe stata un’Audi nera, anzichè una Lancia Y blu, e gli assalitori sarebbero stati tre e non quattro), sottolineando il carattere non disinteressato delle dichiarazioni della M., già autrice di un’aggressione fisica nei confronti della Do., alla quale cagionò lesioni con una prognosi di 15 giorni; ha, infine, escluso che, nel fatto in esame, fosse ravvisabile una rissa degenerata, con impossibilità di accertare l’autore dell’accoltellamento, posto che tutti i testimoni avevano riferito che l’assalto con i coltelli fu unilaterale da parte del P., dell’ I. e degli altri occupanti della Lancia, e che la stessa dinamica del fatto con l’immediata soccombenza del Da. e la repentina fuga dei suoi compagni, D. e C., rivelava che non si trattò di uno scontro tra due gruppi mossi da reciproci intenti offensivi, ma di un vero e proprio agguato consistito in un’aggressione corale e concordata di un gruppo di persone contro altre, pur nell’esclusa aggravante della premeditazione, posto che non poteva escludersi che la volontà omicida fosse insorta solo al momento dell’occasionale incontro con gli antagonisti a bordo della Volvo. In particolare, l’improvvisa casualità dell’accaduto sarebbe dimostrata, secondo la Corte, anche dal fatto che all’omicidio assistettero ben quattro testimoni italiani, già sopra richiamati, mentre chi premedita un assassinio cerca per prima cosa proprio di evitare la presenza di osservatori indiscreti.

Anche le censure mosse dall’ I. alla sentenza di condanna a lui pertinente e consistenti, sostanzialmente, nella negazione del suo concorso nell’omicidio per essere stato all’oscuro del proposito delittuoso del P. e ignaro del coltello dallo stesso posseduto ed utilizzato, sono state ritenute prive di fondamento dalla Corte territoriale, poichè la ricostruzione del D., il quale ha riferito di aver visto il solo P. picchiare il Da., è stata stimata coerente con la circostanza, pure riferita dal D., che egli si diede subito alla fuga a piedi per evitare, a sua volta, di essere aggredito; il C., invece, fuggito dopo il D., ebbe modo di assistere all’accoltellamento del Da. da parte del P. ed osservò che ben tre dei quattro antagonisti erano armati di coltelli; parimenti i quattro italiani, che, in quella notte d’estate, sostavano all’aperto – a circa quattrocento metri dal luogo del delitto – e seguirono tutta la scena, poterono vedere tutti e quattro gli occupanti della Lancia scendere dall’autovettura e aggredire l’equipaggio della Volvo, donde la conferma, secondo la Corte territoriale, della partecipazione corale e concordata di tutti gli assalitori al delitto.

D’altronde, ha argomentato la Corte di merito, se anche si dovesse ritenere che l’unico del quartetto a non essere armato fosse stato proprio l’ I., fermatosi tra le due autovetture secondo le iniziali posizioni degli aggressori riferite dal C., essendo gli altri tre armati e avendo essi concentrato le loro attenzioni sul Da., accoltellato dal P. mentre gli altri due lo tenevano fermo, dovrebbe comunque riconoscersi la partecipazione dell’ I. al delitto, quanto meno con dolo eventuale, per avere accettato il rischio della degenerazione dell’aggressione armata e dell’uccisione dell’antagonista. La Corte d’appello ha, inoltre, valorizzato a carico dello stesso imputato i contenuti delle intercettazioni sulle utenze da lui utilizzate in (OMISSIS), paese nel quale era fuggito dopo il delitto e in cui fu arrestato dall’Interpol il (OMISSIS) per essere successivamente estradato in (OMISSIS), che documentavano gli assidui contatti dell’ I. con la sua compagna, L.V., rimasta in Italia, dalla quale era costantemente e minuziosamente informato su tutte le vicende relative al presente procedimento, e, in particolare, sull’arresto del P., avvenuto l'(OMISSIS), mentre quest’ultimo si trovava ad (OMISSIS), pronto a sua volta a lasciare l'(OMISSIS) per riparare all’estero, con la raccomandazione della donna all’imputato di non tornare nel nostro paese e con diversi tentativi della stessa, personalmente e anche tramite terzi, di contattare potenziali informatori e di intimidire i congiunti di coloro che già avevano reso dichiarazioni per precostituire prove a favore dell’ I..

Riguardo al trattamento sanzionatorio, esclusa, come si è detto, la circostanza aggravante della premeditazione, la Corte ha equiparato, anche per una questione di sostanziale equità, la pena inflitta all’ I. a quella già irrogata al P. nella misura di anni quattordici di reclusione per ciascuno, con la diminuente per il rito abbreviato, escludendo l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione dei precedenti penali e di polizia e dell’inserimento di entrambi gli imputati in illeciti traffici di prostituzione, donde la ritenuta elevata pericolosità sociale degli stessi.

2. Avverso la predetta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il P. e l’ I. tramite i rispettivi difensori.

2.1. Il difensore del P., avvocato Daniele Sussman, detto Steinberg, ha dedotto tre motivi di ricorso; l’avvocato Alfredo Gaito, nell’interesse dello stesso imputato, ha presentato motivi nuovi.

Con il primo motivo il P. denuncia violazione della legge processuale, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 27 Cost. e art. 111 Cost., comma 2, e agli artt. 17, 190, 438 e ss. cod. proc. pen., per l’arbitraria riunione in appello dei distinti giudizi celebrati con rito abbreviato, il primo nei suoi confronti e il secondo nei riguardi dell’ I., deducendo, sul punto, anche il vizio di motivazione, con la conseguente nullità della sentenza impugnata.

Disponendo la riunione dei processi in appello, pur nella formale dichiarazione di inutilizzabilità a carico del P. delle prove raccolte successivamente alla separazione del suo procedimento da quello nei confronti dell’ I., il giudice dell’impugnazione avrebbe avuto a disposizione l’intero materiale probatorio e, in particolare, anche quello raccolto dopo la detta separazione, nonchè la sentenza emessa in primo grado nei confronti dell’ I., portatore di una tesi difensiva opposta a quella sostenuta dal P., perchè tendente a scaricare su quest’ultimo l’esclusiva responsabilità del delitto, con la conseguenza che la disposta riunione si porrebbe in contrasto con l’inviolabile diritto di difesa dell’imputato e con l’ulteriore diritto di essere giudicato da un giudice terzo ed imparziale; essa, inoltre, sarebbe incompatibile con la stessa struttura e funzione del giudizio abbreviato come giudizio allo stato degli atti, da intendersi cristallizzati al momento della richiesta del rito speciale.

Secondo il ricorrente, la riunione del procedimento abbreviato prescelto dal P. con quello celebrato nei confronti del concorrente si sarebbe risolta in un’arbitraria osmosi del materiale utilizzabile ai fini del decidere, poichè anche la sola acquisizione della sentenza pronunciata nei confronti dell’ I. e dell’impugnazione predisposta dai difensori dello stesso, con gli atti ad essa correlati, avrebbe inevitabilmente contaminato la sfera cognitivo-intellettiva del giudice dell’appello, pregiudicato la sua imparzialità di giudizio e, perciò, azzerato ogni e qualsivoglia possibilità e tesi difensiva nell’interesse del P..

I motivi nuovi proposti dall’avvocato Alfredo Gaito, a rafforzamento della predetta censura, rilevano l’indebita commistione di forme giudiziali eterogenee; l’inutilizzabilità sia delle prove acquisite dopo la richiesta del P. di rito abbreviato, sia della sentenza pronunciata nel separato giudizio a carico dell’ I.; la conseguente abnormità della riunione e dell’unica sentenza emessa dalla Corte di appello, citando, a conforto dell’assunto, la giurisprudenza di questo giudice di legittimità (Sez. 6, 25 ottobre 2001, Fallarino, e, ancora, Sez. 6, 15 aprile 2002, Sparandeo), supponente peraltro il giudizio congiunto nei confronti di più imputati, alcuni dei quali giudicabili con rito abbreviato e altri con rito ordinario, secondo la quale la differente struttura di ciascuno dei procedimenti definiti "speciali", previsti dal titolo 6 del codice di procedura penale, rispetto al giudizio ordinario, determinerebbe una insormontabile incompatibilità e renderebbe abnorme la loro gestione congiunta.

Precisa ancora il difensore, nei predetti nuovi motivi, che la riunione e la decisione cumulativa, con un’unica sentenza, secondo la contestuale applicazione delle norme sul giudizio ordinario e sul giudizio abbreviato, quest’ultimo richiesto soltanto da alcuni imputati, non è stata ritenuta causa di abnormità nè di nullità soltanto nel caso di applicazione della disciplina transitoria dettata dal D.L. 7 aprile 2000, n. 82, art. 4-ter, convertito nella L. 5 giugno 2000, n. 144, recante: "Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato", ferma restando, quindi, l’insuperabile incompatibilità tra riti diversi al di fuori della predetta specifica ipotesi.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in relazione agli artt. 110 e 575 cod. pen., e agli artt. 190 e 192 c.p.p. (commi 1, 2, 3 e 4) il malgoverno delle regole di giudizio e di valutazione del materiale probatorio in atti acquisito;

l’Illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento e la sua natura solo apparente quanto alla responsabilità del P. per la morte del Da., con la conseguente nullità della sentenza impugnata.

I giudici di merito, pur attribuendo piena attendibilità alla versione del D., ne avrebbero travisato il contenuto, avendo l’informatore riferito di aver visto il P. picchiare e non colpire, tanto meno con un coltello, il Da., appena quest’ultimo discese dall’autovettura, per poi mettersi lo stesso P. all’inseguimento del C., a sua volta scappato a piedi come il D.; quest’ultimo, ritornato sui suoi passi, avrebbe incrociato il P., che, nel frattempo, aveva desistito dal rincorrere il C., ancora una volta senza notare alcun coltello impugnato dall’imputato.

Ne discende, secondo il ricorrente, al di là dell’analisi dell’elemento psicologico del delitto di omicidio, ritenuto sussistente dai giudici del merito sia nel caso di coltellate direttamente infette alla vittima dal P., sia nel caso in cui quest’ultimo si fosse limitato a trattenere il Da. mentre era da altri accoltellato, la non individuabile tipologia di condotta concorsuale ascrivibile allo stesso ricorrente, sulla base delle discrasie esistenti tra le dichiarazioni del C. e quelle rese dal D. il (OMISSIS) a seguito del suo arresto, e, in particolare, l’insuperata alternativa tra un contributo di tipo materiale e una residuale forma di sostegno morale all’altrui azione violenta da parte dell’imputato, con la conseguenza che non potrebbe ritenersi provato, al di là di ogni ragionevole dubbio, il fatto che il P. fosse armato di coltello e avesse intenzionalmente colpito a morte il Da..

2.3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione della legge penale e il difetto di motivazione, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e), in riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., deducendo la mancanza di idonea giustificazione con riguardo alle negate circostanze attenuanti generiche, nonostante l’incensuratezza del P. e l’assenza di precedenti di polizia a suo carico, con la conseguente nullità, anche per quest’ultima ragione, della sentenza impugnata.

3. Gli avvocati Federico Bagattini e Sigfrido Fenyes, nell’interesse di I.V., propongono un unico motivo di ricorso per contraddittorietà e illogicità della motivazione, ai sensi dell’arti. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

Dopo aver richiamato la valutazione della Corte territoriale circa la piena attendibilità riconosciuta alle dichiarazioni rese dal D. al Pubblico Ministero, il 6 novembre 2007, superata l’iniziale reticenza determinata dal pericolo di ritorsioni vendicative nei propri confronti e contro i suoi genitori, rimasti in (OMISSIS), il ricorrente denuncia la contraddittoria attribuzione alla sua persona di un ruolo attivo nell’aggressione del Da., sebbene il D. lo avesse collocato, invece, fermo in piedi tra le due autovetture, la Volvo e la Lancia, dopo l’affiancamento e l’arresto di entrambe, attribuendo al solo P. l’azione violenta contro il Da., che, essendo stata molto repentina, non tollererebbe, come invece ritenuto dalla Corte territoriale, uno svolgimento in due tempi dei quali solo quello iniziale percepito dal D., datosi a precipitosa fuga prima del compagno C., il quale, già seduto in macchina dietro il Da., fuggì in un momento successivo e potette perciò assistere, secondo la Corte di merito, a tutta l’azione di accoltellamento del compagno.

Aggiunge il ricorrente che una lettura più attenta delle dichiarazioni del C. rivela, come del resto già sottolineato dai giudici di merito, l’inesistenza di contraddizioni tra la versione del D. e quella dello stesso C., nella misura in cui entrambi attribuiscono l’esecuzione dell’accoltellamento al solo P., senza rendere dichiarazioni divergenti sul ruolo dell’ I. che sarebbe stato meramente passivo, tenuto anche conto dell’esistenza di un movente vendicativo contro il Da. da parte del solo P., come confermato dalle dichiarazioni della Do. nell’immediatezza del delitto ed emerso, altresì, dal contenuto di una conversazione telefonica del 10 agosto 2007, oggetto di intercettazione, tra la Do. e tale L..

Riguardo alle testimonianze dei quattro italiani, che, fermi a discorrere nei pressi di un chiosco lungo la via (OMISSIS), assistettero al fatto da una consistente distanza e in piena notte, il ricorrente sottolinea le discrepanze esistenti tra esse e la loro irrilevanza al fine di attribuire all’ I. un ruolo attivo nell’aggressione, che, invece, non emerge dalle dichiarazioni, ritenute pienamente attendibili dalla stessa Corte territoriale, del D. e del C..

Il ricorrente, inoltre, contesta la valutazione frazionata della versione resa dal principale testimone, D., che, come si è detto, attribuisce l’esecuzione materiale del delitto al solo P., ritenendo il frazionamento di una testimonianza ammissibile soltanto in due casi: nella valutazione delle dichiarazioni della persona offesa in tema di reati sessuali e nell’esame critico delle chiamate in correità, ipotesi, entrambe, non ricorrenti nella fattispecie in esame.

Ulteriore oggetto di censura, infine, è l’omessa considerazione da parte della Corte territoriale di una significativa conversazione telefonica tra l’ I. e suo fratello, tale O., in data (OMISSIS), pochi giorni prima dell’arresto dell’imputato in (OMISSIS), laddove l’ I., nel replicare al fratello che gli contesta le sue cattive compagnie, afferma, con specifico riferimento al fatto delittuoso in esame, che ignorava il fatto che i suoi accompagnatori fossero muniti di coltello e di avere espressamente chiesto se li avessero prima di uscire con loro.

Quest’ultima circostanza, di imponente rilevanza favorevole al ricorrente, escluderebbe il concorso dell’ I. nel delitto o, quanto meno, ne imporrebbe la qualificazione come concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 cod. pen..

Motivi della decisione

4. I ricorsi sono infondati e devono essere rigettati.

4.1. Appare opportuno analizzare, in primo luogo, l’eccezione processuale formulata dalla difesa del P., il quale, come si è detto, ha lamentato la illegittimità del giudizio d’appello nei suoi confronti, in quanto sia il gravame da lui proposto sia quello presentato dal coimputato, I., sono stati trattati cumulativamente innanzi allo stesso giudice, sebbene ciascuno di loro fosse stato separatamente giudicato, in primo grado, secondo il rito abbreviato, applicato in tempi diversi e sulla base di diverso materiale probatorio, non essendo in particolare note, nel primo giudizio abbreviato a carico del P., celebrato quando l’ I. era ancora latitante, le dichiarazioni rese da quest’ultimo, una volta arrestato e giudicato, circa l’accoltellamento del Da. da parte del P., dichiarazioni ritenute idonee a contaminare la valutazione della posizione del ricorrente in sede di appello.

Osserva questa Corte che la predetta eccezione di nullità è infondata e, più preliminarmente, si profila del tutto incongrua rispetto alla peculiarità del caso in esame, nel quale, in appello, sono state riunite le impugnazioni di due imputati, i quali furono, entrambi, giudicati in primo grado secondo il rito abbreviato ordinario, seppure in processi separati e temporalmente distanziati.

Il dibattito giurisprudenziale richiamato dai difensori del P. postula, invece, la diversità dei riti, non sussistente nel caso in esame, applicati nei riguardi di imputati giudicati nello stesso processo ed è stato, comunque, superato dalla giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte, secondo cui la riunione e la decisione cumulativa, con un’unica sentenza, del giudizio ordinario e del giudizio abbreviato, richiesto soltanto da alcuni imputati, non è causa di abnormità nè di nullità (Sez. 1, n. 21376 del 9/03/2004, dep. 5/05/2004, rie. Biondino, Rv. 228989; Sez. 3, n. 4983 del 14/11/2007, dep. 31/01/2008, Simmons, Rv. 238800; Sez. 4, n. 7284 del 18/11/2008, dep. 19/02/2009, Franca, Rv. 242858: le ultime due attinenti a processo cumulativo nei confronti di imputato richiedente il giudizio abbreviato ordinario e di altro imputato richiedente il giudizio abbreviato condizionato; contra Cass., sez. 6, n. 45586 del 25/10/2001, dep. 21/12/2001, Parrella, Rv. 220327, rimasta isolata).

Invero il simultaneus processus con riti tra loro differenziati non determina nè una abnormità, in quanto alcuna stasi del processo si verifica; nè una nullità, non essendo tale previsione esplicitamente prevista nel codice (principio di tassatività). Non è neanche configurabile una ipotesi di incompatibilità del giudice, in quanto tale situazione presuppone l’esercizio di funzioni giudicanti, in ordine al medesimo processo, in una fase o grado precedente e non, come nell’ipotesi in esame, nel medesimo grado di giudizio.

Peraltro, una situazione di incompatibilità non configura ex se una causa di nullità, ma si risolve, eventualmente, in una ipotesi di astensione o ricusazione. L’unica condizione che impone il processo cumulativo con riti differenziati si manifesta al momento della decisione, laddove il giudice deve valutare per ciascun imputato le prove nei suoi confronti utilizzabili in base al rito scelto, tenendo rigorosamente distinti i regimi probatori rispettivamente previsti dalla legge per ciascuno di essi. Solo l’erronea applicazione di tale disciplina del regime probatorio è causa di annullamento della sentenza.

Orbene, nel caso di specie, il simultaneus processus si è svolto, come si è detto, nei confronti di due imputati i quali entrambi avevano scelto la celebrazione del rito abbreviato, sebbene in tempi diversi e sulla base di materiale probatorio parzialmente diverso.

La situazione è, pertanto, molto differente da quella sottesa alla predetta giurisprudenza, ove i riti celebrati unitariamente erano diversi (ordinario ed abbreviato), ovvero, pur omologhi, caratterizzati l’uno dall’essere un giudizio abbreviato ordinario e l’altro un giudizio abbreviato condizionato.

E, comunque, non risulta nè è stato specificamente dedotto dalla difesa che il giudice di appello abbia utilizzato, a carico del P., prove acquisite successivamente e valutate nel separato giudizio abbreviato, più recentemente svoltosi nei confronti del solo I.; nè che la confermata responsabilità penale del primo sia stata fondata anche sulle sopravvenute dichiarazioni accusatorie del secondo.

Alla luce di tutto quanto precede, la preliminare eccezione di nullità deve essere, pertanto, rigettata siccome infondata.

4.2. La censura della motivazione, in punto di ritenuta responsabilità del P. quale autore dell’accoltellamento del Da., è parimenti infondata.

Essa postula un travisamento delle dichiarazioni del D. e una contraddizione tra la versione dello stesso testimone e quella del C., che non sussistono.

La sentenza d’appello spiega, infatti, molto bene la concitata dinamica del fatto che vide il D., alla guida della Volvo su cui viaggiava il Da. alla sua destra, osservatore privilegiato della primissima fase dell’aggressione, allorchè il Da. fu violentemente tirato fuori dell’abitacolo e aggredito dal P. con l’appoggio dei suoi compagni; mentre, a seguito della repentina fuga a piedi del D. dal luogo dell’agguato, fu il C., seduto nella parte posteriore dell’autovettura e rimasto sia pure brevemente sul posto, a seguire lo sviluppo dell’azione e a vedere, in particolare, il coltello di cui era armato il P., impiegato per colpire il Da., e i coltelli impugnati da altri due compagni dello stesso, prima di darsi a sua volta a precipitosa fuga, nel corso della quale lo stesso C. perse i sandali infradito indossati.

Non sussiste, dunque, il denunciato travisamento dei contenuti delle predette fonti informative e, neppure, l’ignoranza delle presunte contraddizioni tra le versioni del Da. e del C., parimenti inesistenti, considerate le diverse fasi di progressione dell’agguato cui assistettero gli accompagnatori della vittima, le cui versioni, tra loro coerenti, trovano ulteriore conferma, come pure correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, nelle testimonianze dei quattro italiani, che, a distanza, assistettero ad un’aggressione congiunta contro il Da. e all’immediato abbattimento della vittima da parte dei suoi assalitori.

4.3. Manifestamente infondata e, perciò, inammissibile è, infine, la censura relativa all’entità del trattamento sanzionatorio e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, poichè la sentenza impugnata motiva compiutamente, al riguardo, sulla base della ritenuta pericolosità sociale del P. desunta dai suoi precedenti penali e di polizia e dal provato inserimento dello stesso imputato nel traffico della prostituzione.

5. L’unico motivo di ricorso proposto dall’ I., in punto di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza che ha confermato la sua condanna per concorso in omicidio volontario aggravato, esclusa la premeditazione, è infondato.

Come adeguatamente motivato dai giudici di merito, la circostanza che il C. abbia dichiarato di avere visto l’ I., nel momento in cui il Da. fu aggredito, fermo tra le due autovetture, non esclude la consapevole partecipazione dell’imputato all’agguato armato, emergente dal fatto che ben tre dei quattro componenti l’equipaggio della Lancia Y, su cui viaggiavano gli aggressori, erano armati di coltello, secondo quanto riferito dallo stesso C., e che due di loro, posizionati sul sedile posteriore dell’autovettura, al momento dell’incrocio con la Volvo, si nascosero alla vista degli antagonisti, accovacciandosi dietro i sedili anteriori dell’automobile, come riferito sia dal D. che dal C., all’evidente scopo di sorprendere gli avversari e di nascondere loro la sproporzione di uomini e mezzi che li avrebbe favoriti nel successivo agguato, consentendo all’equipaggio della Lancia di colpire a morte l’odiato Da. e di mettere in fuga i suoi accompagnatori, D. e C..

La Corte di merito, quindi, sulla base dei predetti dati oggettivi, ha ragionevolmente ritenuto la consapevole partecipazione dell’ I., pur supponendo che egli personalmente non fosse armato, all’aggressione con coltelli posta in essere dai suoi compagni, dei quali, anche per i comportamenti prodromici al fatto (affiancamento dell’autovettura degli antagonisti, nascondimento dei due trasportati sul sedile posteriore dell’automobile, repentino assalto del Da. e inseguimento dei suoi accompagnatori), non poteva ignorare il bersaglio e i mezzi diretti a colpirlo (c.f.r. sentenza impugnata, pagg. 24-25).

La circostanza, infine, che, nel corso di una conversazione telefonica col proprio fratello, in data (OMISSIS), l’ I., già latitante nel presente procedimento, avrebbe protestato la sua ignoranza del fatto che gli amici, nella notte del delitto, fossero armati, è superata dai predetti elementi probatori che, secondo le coerenti valutazioni della Corte di merito, convergono nel provare il concorso dell’imputato nel fatto, e si iscrive piuttosto nei tentativi dello stesso I., puntualmente riferiti dal giudice di appello, di precostituirsi dall’estero, anche con l’aiuto della compagna rimasta in Italia, prove a suo favore (ib., pagg. 26-27).

6. Alla luce di tutto quanto precede, i ricorsi devono essere, pertanto, rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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