Cass. civ. Sez. VI, Sent., 24-05-2012, n. 8246 Danno non patrimoniale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

E.A. propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti del Ministero della Giustizia avverso il provvedimento in data 23 ottobre 2009, con il quale la Corte di appello di Perugia ha rigettato il ricorso per equa riparazione proposto per violazione del termine ragionevole di durata di un processo penale per costruzione abusiva, in cui il ricorrente aveva assunto la veste di imputato, iscritto presso il Tribunale di Roma nel 2001 e definito con sentenza pronunciata in grado di appello in data 10 luglio 2008.

Il Ministero intimato ha resistito con controricorso. Nell’odierna camera di consiglio il collegio ha deliberato che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

Motivi della decisione

La Corte di merito ha respinto il ricorso per equa riparazione, osservando che nel caso di specie il protrarsi del giudizio aveva corrisposto a uno specifico interesse del ricorrente, che ne aveva tratto vantaggio e non nocumento, essendo stata nel frattempo definita la pratica di condono edilizio che aveva determinato la sentenza di proscioglimento dell’imputato in sede penale.

Il ricorrente censura il decreto impugnato, proponendo tre motivi di ricorso, con i quali denuncia violazione di legge e vizi di motivazione e deduce che, dopo aver definito la propria posizione in sede amministrativa con il condono edilizio in data 19 novembre 2004, nessun giovamento egli aveva tratto dal protrarsi del processo penale fino al 10 luglio 2008, avendo al contrario dovuto attendere ingiustificatamente quattro anni prima che l’apparato della giustizia definisse la sua posizione processuale con una sentenza di non doversi procedere e senza che i rinvii del processo penale fossero dipesi da una sua inerzia o strategia difensiva.

Il ricorso è fondato.

Ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, il diritto all’equa riparazione prescinde dall’esito del giudizio irragionevolmente protrattosi nel tempo, e quindi compete anche quando la durata eccessiva abbia determinato l’estinzione del reato, salvo che l’effetto estintivo del reato derivi dall’utilizzo, da parte dell’imputato sottoposto a procedimento penale, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto di difesa (Cass. 2002/15449; 2006/17552; 2010/23339).

La Corte di merito – nell’escludere nel caso di specie il danno non patrimoniale in capo al ricorrente, per essersi il processo penale concluso con una sentenza di non doversi procedere in conseguenza dell’intervenuto condono edilizio e per essere stato il protrarsi del giudizio rispondente ad uno specifico interesse del ricorrente medesimo, senza che dalla sentenza impugnata risulti alcun elemento che induca a ritenere l’utilizzo, da parte dell’imputato, di tecniche dilatorie o di strategie sconfinanti nell’abuso del diritto) di difesa – non si è uniformata all’orientamento sopra richiamato e il decreto impugnato deve essere di conseguenza annullato.

Poichè sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito.

Determinata in sette anni la durata complessiva del doppio grado del giudizio penale (dal 19 settembre 2001, data di notifica all’imputato dell’avviso di chiusura della fase delle indagini preliminari, al 10 luglio 2008, data della sentenza della Corte di appello di Roma di non doversi procedere per intervenuta oblazione del reato) e in cinque anni la durata ragionevole del processo di primo e secondo grado, secondo i criteri determinati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e recepiti dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. 2008/14), il periodo di durata non ragionevole va determinato in due anni. Il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750,00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009.

Secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, a condizione che le decisioni pertinenti siano coerenti con la tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretazione della L. 24 marzo 2001, n. 89 idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata.

Tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086;

2010/819). Nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di due anni, l’indennizzo di Euro 1.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannato il Ministero soccombente.

Le spese del giudizio di merito e quelle de giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo, in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397;

2008/25352).

P.Q.M.

La accoglie il ricorso. Cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 1.500,00, oltre agli interessi legali dalla domanda. Condanna il Ministero soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 775,00 di cui Euro 280,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge.

Condanna inoltre il Ministero soccombente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 525,00, di cui Euro 425,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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