Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-05-2012, n. 8237 Intermediazione finanziaria

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 14 dicembre 2004 i sigg.ri A. ed M.E. citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano la Banca Antoniana Popolare Veneta s.p.a. (poi divenuta Banca Antonveneta s.p.a., che sarà in prosieguo indicata come Antonveneta) e la Antonveneta ABN Ambro Bank s.p.a. (poi divenuta ABN Ambro Asset Management Italy s.p.a. e che in prosieguo sarà indicata come Ambro). Gli attori riferirono di aver stipulato con quest’ultima società, nel febbraio del 2000, un contratto per la prestazione del servizio di gestione individuale di un portafoglio d’investimento;

lamentarono che l’intermediario avesse violato gli obblighi di diligenza inerenti alla prestazione di tale servizio, non tenendo conto delle loro sollecitazioni a svolgere una gestione più prudenziale; chiesero perciò la condanna delle convenute al risarcimento dei danni.

La domanda fu rigettata tanto in primo quanto in secondo grado.

In particolare, la Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica il 13 novembre 2009, ritenne che le scelte discrezionalmente operate dal gestore non si fossero discostate dalla linea d’investimento, prevalentemente azionario, prevista nel contratto;

che le lamentele formulate dai clienti nel corso del rapporto non avessero mai comportato la richiesta di mutare tale linea d’investimento, anzi confermata all’esito di un colloquio con il gestore dopo il manifestarsi di perdite;

che non poteva perciò imputarsi al gestore di non aver monitorato i pretesi mutamenti nella propensione al rischio dei titolari del portafoglio investito; e che gli attori, i quali avevano poi effettivamente optato per una più prudenziale linea d’investimento obbligazionario, ma solo a partire dal febbraio 2003, non avevano comunque fornito la prova dell’esistenza di un nesso causale tra le perdite subite ed il comportamento da loro rimproverato al gestore.

Per la cassazione di tale sentenza i sigg.ri M. hanno proposto ricorso, articolato in tre motivi, ai quali hanno replicato con distinti controricorsi la Prima Società di Gestione del Risparmio s.p.a. (subentrata alla Ambro a seguito di fusione) e la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. (che ha frattanto incorporato la Antonveneta).

Tutte le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è volto a denunciare vizi di motivazione dell’impugnata sentenza.

I ricorrenti imputano alla corte d’appello di esser pervenuta ad una decisione ad essi sfavorevole sul presupposto che non fosse stata data al gestore un’esplicita indicazione di mutamento della linea d’investimento azionario originariamente pattuita, senza però tener conto del fatto che in reiterate lettere essi avevano manifestato esplicita insoddisfazione per la politica di gestione seguita dall’intermediario e che l’intermediario medesimo non aveva adeguato il proprio comportamento alle disposizioni contenute in tali lettere, come sarebbe stato doveroso fare trattandosi di una gestione di portafoglio personalizzata.

2. Anche il secondo motivo di ricorso si riferisce ad un preteso vizio di motivazione in cui la corte territoriale sarebbe incorsa nell’aver ritenuto che l’intermediario non fosse venuto meno al proprio dovere di tenersi costantemente informato sulla propensione al rischio degli odierni ricorrenti, trascurando però che la già citata corrispondenza dimostrava invece come gli obiettivi d’investimento, e quindi anche la propensione al rischio dei clienti, fossero frattanto mutati.

3. Da ultimo, i ricorrenti si dolgono della violazione delle disposizioni di legge concernenti il nesso causale tra il mancato rispetto degli obblighi di comportamento gravanti sull’intermediario che presta un servizio d’investimento finanziario ed il danno subito dal cliente. Essi sostengono che l’inadeguatezza delle operazioni compiute dal gestore nel corso della gestione del portafoglio d’investimento affidatogli varrebbe di per sè a dimostrare infatti il danno subito dai clienti.

4. Il ricorso, che può essere esaminato unitariamente, non è meritevole di accoglimento.

4.1. La gestione individuale di portafogli si caratterizza per l’affidamento al gestore, da parte del cliente, delle scelte d’investimento relative ad un determinato "portafoglio", composto da strumenti finanziari o da altri valori mobiliari, allo scopo di conservarne e possibilmente incrementarne il valore. Innegabilmente si tratta di una gestione dinamica e personalizzata, connotata da uno spiccato grado di discrezionalità nell’operare del gestore, correlato però all’altrettanto elevato grado di professionalità che si presume egli debba avere, com’è confermato dalla necessità che il servizio sia reso da intermediari autorizzati, sottoposti ad uno speciale regime di vigilanza facente capo alle autorità pubbliche preposte alla tutela del mercato.

Il carattere personalizzato e dinamico della gestione richiede che il comportamento dell’intermediario, come e forse ancor più che nella prestazione di qualsiasi altro servizio d’investimento, sia improntato a rigorosi criteri di professionalità e, quindi, ad una diligenza tecnica adeguata alla natura ed alle esigenze dell’incarico. Non esistendo però un parametro oggettivo e predeterminato cui commisurare tale diligenza, questa deve essere necessariamente di volta in volta valutata in base alle caratteristiche di ciascuna situazione, anche se la normativa (primaria e secondaria) mette bene a fuoco alcuni degli obblighi di comportamento ai quali l’intermediario deve attenersi nella prestazione dei servizi d’investimento, in generale, ed in quella del servizio di gestione di portafogli in particolare.

4.2. Ciò premesso, è opportuno anche segnalare, sempre in via preliminare, che la presente vertenza dev’essere decisa alla stregua della normativa desumibile dal cosiddetto testo unico della finanza, emanato con D.Lgs. n. 58 del 1998, (in prosieguo indicato come tuf) e dalle disposizioni regolamentari dettate conseguentemente dalla Consob; normativa che ha subito nel tempo numerose modifiche ma alla quale si farà qui riferimento avendo riguardo unicamente ai testi vigenti all’epoca dei fatti di causa.

Vengono perciò in evidenza anzitutto gli obblighi gravanti sull’intermediario, tra i quali assume soprattutto rilievo, oltre alla clausola generale di tutela degli interessi del cliente e dell’integrità del mercato (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 21, comma 1, lett. a tuf), il dovere di operare sempre in funzione del miglior risultato possibile per l’investitore, in relazione al livello di rischio da costui prescelto (art. 26, lett. f, del regolamento Consob n. 11522 del 1998). Quanto agli obblighi più specificamente inerenti al servizio di gestione di portafogli, devono essere anche ricordati quello di attenersi alle istruzioni impartite dal cliente circa le operazioni da compiere (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 24, comma 1, lett. b tuf), quello di assumere informazioni dal cliente, prima della stipulazione del contratto, in ordine alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi d’investimento ed alla sua esperienza in materia (art. 28, comma 1, lett. a, del regolamento cit.) e di informarlo sulla natura e sui rischi delle operazioni di cui si tratta (art. cit., comma 2), indicando in modo specifico nel contratto le caratteristiche della gestione, con riferimento alle categorie di strumenti finanziari destinati ad essere oggetto d’investimento, alla tipologia delle relative operazioni, alla misura dell’eventuale "leva finanziaria" utilizzabile ed ai parametri cui commisurare il rendimento (artt. 37 e segg. del regolamento cit.), con l’ulteriore precisazione che l’esecuzione delle operazioni di gestione deve aver luogo sulla base delle strategie generali d’investimento preventivamente definite, tenendo conto delle informazioni concernenti il cliente di cui l’intermediario dispone e delle istruzioni eventualmente impartite dal cliente medesimo (art. 43, comma 2, del regolamento cit.).

Nel descritto quadro s’inserisce poi la norma secondo cui, nel giudizio per risarcimento dei danni promosso dal cliente, grava sull’intermediario l’onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta (D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, u.c. tuf). Norma che è stata interpretata da questa corte nel senso che a carico dell’investitore il quale abbia agito in giudizio resta pur sempre l’onere sia di allegare l’inadempimento delle obbligazioni disciplinate dal tuf e dalla normativa regolamentare, sia di provare il danno ed il nesso di causalità che a quell’inadempimento lo lega, mentre compete all’intermediario provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico ed allegate come inadempiute e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito con la specifica diligenza richiesta (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773).

4.3. Nel caso in esame nè la norma da ultimo menzionata nè alcuna altra tra quelle dianzi richiamate appaiono esser state violate, o male applicate, dalla corte d’appello.

Correttamente quest’ultima ha affermato che sarebbe stato onere degli attori (poi appellanti) dimostrare che il danno da loro lamentato sia conseguenza di un inadempimento contrattuale ascrivibile alla controparte, non essendovi ragioni per discostarsi in proposito dall’orientamento giurisprudenziale cui sopra s’è fatto cenno. Ma altrettanto correttamente – e prima ancora – la stessa corte territoriale ha proceduto ad evidenziare quali fossero gli inadempimenti alla normativa di settore che erano stati imputati all’intermediario, e cioè: a) l’avere insistito nel perseguire la linea d’investimento inizialmente prescelta, benchè i clienti avessero manifestamente modificato la loro propensione al rischio, b) il non aver dato tempestivamente seguito alle disposizioni impartite dai medesimi clienti, c) il non essersi astenuto dall’effettuare operazioni non adeguate.

Occorre dunque esaminare le considerazioni per le quali la corte territoriale ha negato fondamento ad ognuno di questi tre addebiti rivolti all’intermediario, per verificarne la tenuta alla luce delle critiche formulate dai ricorrenti.

4.3.1. In ordine al rilievo sub a), la corte d’appello (come già in precedenza il tribunale) ha osservato che solo a partire da una certa data i sigg.ri M. avevano dichiarato di voler modificare la linea d’investimento prevalentemente azionario originariamente prevista, optando per un investimento prevalentemente obbligazionario e monetario. Ne ha dedotto che, prima di quella data, l’intermediario non avrebbe avuto alcun valido motivo per indirizzare le proprie scelte di gestione in modo diverso.

I ricorrenti, per contrastare tale conclusione, pongono in risalto il contenuto della corrispondenza a suo tempo intercorsa con l’intermediario, dalla quale, a loro dire, si ricaverebbe invece che essi avevano con chiarezza manifestato l’inclinazione favorevole ad una strategia d’investimento più prudenziale e che di ciò la controparte ha colpevolmente omesso si tener conto.

Questa obiezione non è priva, però, di un margine di ambiguità, e richiede comunque una precisazione preliminare.

Tra gli obblighi gravanti sul gestore di portafogli, come s’è già detto, certamente rientra quello di attenersi alle caratteristiche della gestione pattuita col cliente, sia quanto alle categorie degli strumenti finanziari oggetto d’investimento, sia quanto alla tipologia delle operazioni da compiere su tali strumenti. In concreto ciò si traduce nel sottoporre al cliente la scelta tra diverse "linee d’investimento", caratterizzate da un differente profilo di rischio e da una differente correlata aspettativa di guadagno.

Operata contrattualmente tale scelta, è naturale che l’intermediario vi si attenga fin quando il cliente non si avvalga della facoltà di modificarla. In difetto di un’inequivoca manifestazione di volontà in tal senso da parte dell’investitore, non può esigersi che l’intermediario modifichi unilateralmente la precedente linea d’investimento, nè gli si può quindi imputare di non averlo fatto.

Si potrebbe semmai discutere se e fino a qual punto al rapporto di gestione individuale di portafogli, pur quando non sia stata contrattualmente prevista anche la prestazione del servizio di consulenza finanziaria, inerisca comunque anche un qualche dovere di consulenza verso il cliente, tale per cui l’intermediario avveduto debba egli stesso farsi parte diligente nel suggerire all’investitore al dettaglio, in presenza di determinate condizioni di mercato, un mutamento dell’originaria strategia e perciò la scelta di una diversa linea d’investimento. Ma, nel caso in esame, sarebbe un quesito accademico, avendo il giudice di merito accertato in punto di fatto che, all’esito della suaccennata corrispondenza epistolare, ebbero luogo più incontri tra l’intermediario ed un rappresentante dei clienti, i quali optarono per il mantenimento della linea d’investimento originariamente prevista; nè sono stati offerti elementi per sostenere che in quella sede i clienti vennero tratti in inganno sulle prospettive di una scelta la quale è comunque inevitabilmente caratterizzata da un elevato livello di opinabilità (e che del resto, in quel momento, secondo il giudice di merito non appariva affatto irragionevole).

4.3.2. Escluso, allora, che l’inadempimento imputabile all’intermediario possa consistere nel non aver modificato a tempo debito la suddetta linea d’investimento, o nel non averne consigliato la modifica, dovrebbe essere l’addebito prima ipotizzato sub b) a venire in evidenza: cioè la mancata esecuzione di istruzioni impartite dai clienti entro i confini della linea d’investimento pattuita e non modificata. Il che è certamente, in astratto, ipotizzabile: perchè la scelta di una determinata linea d’investimento lascia comunque al gestore un ampio margine di discrezionalità nel compimento delle singole operazioni e, se il cliente abbia dato istruzioni al riguardo, esse debbano esser rispettate.

Sennonchè, per poter tradurre una simile ipotesi in un effettivo addebito a carico dell’intermediario, occorre, evidentemente, che le istruzioni del cliente di cui si lamenta il mancato rispetto siano individuate – ed allegate da chi agisce in giudizio per il risarcimento dei danni – con sufficiente specificità e precisione.

Ad integrare un inadempimento imputabile al gestore, sotto questo profilo, non può bastare il richiamo a generiche raccomandazioni di ben operare, di esercitare maggiore oculatezza negli investimenti, di essere più dinamici, più prudenti e così via: occorre invece che il cliente abbia impartito istruzioni ben definite, solo l’individuazione delle quali consentirebbe infatti alla controparte di esercitare il proprio diritto di difesa eventualmente dimostrando di avere adempiuto i propri doveri con la prescritta diligenza.

Nel caso in esame, viceversa, sono gli stessi ricorrenti a riportare il contenuto delle lettere da essi a suo tempo inviate al gestore:

lettere che manifestano insoddisfazione per una gestione definita di volta in volta come troppo burocratica, poco dinamica, non abbastanza prudente, non all’altezza dei risultati che si assume sarebbero stati conseguiti da altri gestori concorrenti, ma nelle quali non è mai possibile individuare disposizioni specifiche del cliente, alle quali l’intermediario avrebbe dovuto attenersi, o ben definite operazioni che l’intermediario medesimo avrebbe dovuto fare o dalle quali si sarebbe dovuto astenere.

Del tutto giustificata appare, quindi, la valutazione in forza della quale il giudice d’appello non ha riconosciuto peso decisivo alla suddetta corrispondenza epistolare, non ravvisando in essa elementi idonei ad identificare un qualche significativo inadempimento dell’intermediario ai suoi doveri.

4.3.3. Non diversamente è a dirsi per l’addebito sopra menzionato sub c), che del pari richiederebbe fossero in qualche modo individuate le operazioni asseritamente poste in essere dal gestore in violazione del suo obbligo di adoperarsi al meglio nell’interesse dei clienti, e che non può invece risolversi solo in una generica doglianza di scarso rendimento della gestione. Nè giova, ancora una volta, far leva sulla più volte citata corrispondenza per dedurne l’evidenza di una sopravvenuta minore propensione al rischio dei clienti, che avrebbe dovuto indurre il gestore a compiere scelte più adeguate, non essendo possibile identificare l’esatto tenore di tali scelte nè dalla motivazione della sentenza impugnata nè dallo stesso ricorso.

5. Il ricorso, quindi, deve essere rigettato, con l’enunciazione del seguente principio di diritto.

"Colui il quale, essendosi rivolto ad un intermediario finanziario per la prestazione del servizio di gestione individuale di portafogli d’investimento, agisca poi in giudizio per il risarcimento del danno imputando all’intermediario di aver violato gli obblighi di comportamento al cui rispetto è tenuto – ed, in particolare, lamenti che l’intermediario medesimo non si sia adeguato alle istruzioni che il cliente ha facoltà di impartire e che sia venuto meno al proprio dovere di operare per realizzare al meglio l’interesse di detto cliente – ha l’onere di allegare le specifiche circostanze in cui gli inadempimenti dell’intermediario si sono concretizzate, richiedendosi, quanto all’obbligo di rispettare le istruzioni del cliente, che queste siano precisamente determinate e non si risolvano in esortazioni o lamentele di carattere generico e, quanto al compimento di operazioni non adeguate, che le stesse risultino sufficientemente identificate". 6. L’esito del giudizio di legittimità comporta che i ricorrenti debbano essere condannati a rifonderne le spese, liquidate come in dispositivo, in favore di entrambe le controricorrenti.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che per ciascuna delle controricorrenti liquida in Euro 4.000,00 per onorari e 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2012

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