Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-05-2012, n. 8233 Opposizione al valore di stima dei beni espropriati

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 18.02.1999 al Comune di Bolzano e per conoscenza alla Provincia autonoma di Bolzano, la società SICAR s.r.l. proponeva, dinanzi alla Corte di appello di Trento, sez. distaccata di Bolzano, opposizione al decreto di stima dell’8.01.1999, inerente anche ai beni di sua proprietà, costituiti da un terreno (esteso mq 4.374) con insediato un complesso produttivo, decreto reso nell’ambito del procedimento espropriativo promosso dal citato Comune e volto alla realizzazione di una passeggiata pubblica nei pressi della Via (OMISSIS).

Con sentenza n. 316 del 16.10.2001, l’adita Corte di appello, quantificava parte dell’importo dovuto dal Comune di Bolzano alla società SICAR, nella complessiva somma di L. 5.212.701.872, oltre accessori (di cui L. 2.187.000.000 riferite alle sole superfici ospitanti l’intero compendio produttivo ablato, L. 1.764.608.805 riferite ai fabbricati, L. 437.400.000 per urbanizzazioni pacificamente apportate ai fondi ed ulteriori L. 223.692.967 per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria affrontati dalla società) applicando per la determinazione dell’indennità di espropriazione il criterio del giusto prezzo di mercato, previsto dalla L.P. n. 10 del 1991, art. 8, comma 5 oltre che ai manufatti, anche a tutte le aree, non importa se integranti sedime o rimaste nude, trattandosi di struttura produttiva complessa ma sostanzialmente unitaria, e senza che alle aree non coperte potesse essere riconosciuta una qualsivoglia autonoma funzione economica avuto riguardo alla loro specifica destinazione pertinenziale.

La sentenza della Corte di appello di Trento veniva impugnata in questa sede dalla società SICAR con ricorso principale, affidato a quattro motivi, e dal Comune di Bolzano con ricorso incidentale fondato anch’esso su quattro motivi; la Provincia Autonoma di Bolzano non si costituiva nemmeno nel giudizio di legittimità.

Con sentenza n. 16980 del 2006, questa Corte, riuniti i ricorsi, accoglieva il primo motivo del ricorso incidentale, dichiarava assorbito il secondo, rigettava il terzo e quarto ed il ricorso principale, cassava la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinviava, anche ai fini delle spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di Appello di Trento.

I principi di diritto espressi da questa Corte in questa sentenza n. 16980 del 2006 venivano così massimati:

1) "Le disposizioni in tema di determinazione dell’indennità di espropriazione di cui alla Legge della Provincia autonoma di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10, art. 8 debbono essere interpretate in armonia con i principi sanciti dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359 (costituente norma statale fondamentale di riforma economico-sociale), in forza dei quali, da un lato, non è configurabile un "tertium genus" tra le aree edificabili (indennizzabili in percentuale del loro valore venale) e le aree agricole o non edificabili (indennizzabili in base a valori agricoli tabellari), e, dall’altro, l’edificabilità va verificata secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza dell’edificabilità "legale", connessa alla classificazione dell’area negli strumenti urbanistici. In tale ottica, la cit. L.P., art. 8, comma 1 – relativo alle "aree comprese in centri edificati o che, indipendentemente dagli strumenti urbanistici, hanno potenzialità edificatoria" – deve ritenersi corrispondente al comma terzo dell’art. 5-bis della Legge Statale, e cioè come disciplinante la sorte delle aree edificabili tramite riferimento ad una situazione principale, in cui l’edificabilità deriva dall’esistenza di una regolamentazione legale dell’assetto urbanistico, ed una secondaria, relativa alle aree comprese in comuni sprovvisti di strumento urbanistico, là dove l’edificabilità può essere valutata solo "in fatto"; mentre l’art. 8, comma 3 – attinente alle "aree site al di fuori dei centri edificati o prive di potenzialità edificatoria" – deve reputarsi corrispondente all’art. 5-bis, comma 4 ossia come regolativo della sorte delle aree agricole o, comunque, non classificabili come edificatorie.

2. In tema di espropriazione per pubblica utilità, quando oggetto di espropriazione sia un edificio con area latistante, vanno adottati differenti criteri indennitari, atteso che il manufatto costituisce un’entità economica da apprezzarsi come bene autonomo, il cui valore deve essere considerato in aggiunta al valore del suolo, effettuando, ai sensi della L. 20 giugno 1865, n. 2359, art. 39 la liquidazione con riferimento al valore di mercato per l’edificio (comprensivo dell’area di sedime su cui esso insiste e che ne costituisce parte integrante), laddove, quanto all’area pertinenziale, la medesima liquidazione va effettuata con riguardo ai criteri previsti dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis convertito in L. 8 agosto 1992, n. 359 o dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16 a seconda che tale area possieda autonome potenzialità di sfruttamento edificatorio oppure sia interessata da vincoli di inedificabilità, restando in ogni caso esclusa la possibilità di adottare un criterio indennitario unico, fondato sulla natura ed il valore della cosa principale. Tale principio opera anche in rapporto alle espropriazioni regolate, quanto alla determinazione dell’indennità, dalla Legge della Provincia autonoma di Bolzano 15 aprile 1991, n. 10, avuto riguardo ai corrispondenti criteri previsti dall’art. 8, commi 1, 3 e 5, di tale legge.". Conclusivamente veniva ritenuto che la Corte d’appello avesse erroneamente applicato alla superficie totale pari a mq 4.374 del complesso produttivo (adibita per il 60% circa a sedime di edifici autentici o di tettoie e per il residuo 40% circa rimasta non coperta) il criterio del valore venale dettato dalla L.P. n. 10 del 1991, comma 5, art. 8, mentre, invece, fermo restando l’incensurato valore riconosciuto ai fabbricati (per complessive L. 1.764.608.805, oltre a L. 437.400.000 per urbanizzazioni e ad ulteriori L. 223.692.967 per oneri di urbanizzazione primaria e secondaria), la Corte territoriale avrebbe dovuto, in ragione dei principi sopra illustrati, scomputare da detta superficie complessiva l’area di sedime degli edifici autentici e delle tettoie (mq 2.122 + mq 434), non autonomamente apprezzabile, procedendo, quindi, alla stima del (solo) valore dell’area residua rimasta non coperta (mq 1.736) sulla base del criterio dettato dalla medesima L.P. n. 10 del 1991, art. 8, comma 3, in forza del rilievo secondo cui tale area, era priva di potenzialità edificatoria.

Con sentenza del 10-11-5.12.2009, la Corte di appello di Trento, decidendo in sede di rinvio, in parziale modifica della sentenza della Corte d’Appello di Bolzano n. 316 del 2001, determinava l’indennità delle aree scoperte in Euro 30.051,54 e dunque complessivamente l’indennità di espropriazione dovuta dal Comune di Bolzano alla s.r.l. S.I.C.A.R. per tutti i terreni ablati – come partitamente indicati nella sentenza impugnata – in complessivi Euro 1.282.821,83 oltre interessi nella misura e con le decorrenze già indicate nella decisione impugnata, compensando interamente fra le parti le spese di tutti e tre i gradi di giudizio e ponendo a carico delle stesse, nella misura del 50%, le spese di consulenza negli importi già determinati.. La Corte territoriale osservava e riteneva:

che il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte nella sentenza n. 16980/06, che aveva cassato in parte la decisione della Corte territoriale, era chiaro e non prestava adito a dubbi in ordine alla sua interpretazione. In buona sintesi, la Corte aveva ritenuto che erroneamente la Corte d’Appello aveva applicato a tutte le aree oggetto di esproprio, di complessivi mq 4.374, non importa se integranti sedime o rimaste aree nude, il criterio del valore venale dettato dalla L.P. n. 10 del 1991, art. 8, comma 3 mentre avrebbe dovuto correttamente scomputare dalla superficie complessiva, l’area di sedime degli edifici e delle tettoie (pari a mq 2.122 + 4439), non autonomamente apprezzabile, procedendo poi alla stima del solo valore dell’area residua non coperta (pari a circa 1.736 mq) in base al criterio dettato dal medesimo art. 8, comma 3 (valore agricolo). che a questo principio di diritto era tenuta a conformarsi ed esso non poteva essere in nulla modificato, se non limitatamente alla correzione del commesso errore materiale (di calcolo): sottraendo infatti dall’area complessiva (mq 4.374) le aree integranti sedime o tettoie (mq 2.556), le aree scoperte residue, che la Suprema Corte aveva indicato di estensione pari a mq. 1736 erano invece, per semplice differenza, pari a mq 1.818;

che conseguentemente, in base ai calcoli effettuati dal CTU e non oggetto di alcuna contestazione, il valore delle aree scoperte ai sensi dell’art. 8, comma 3, considerato che il valore agricolo era pari a L. 32.000, ovvero Euro 16,53 al mq, ammontava a complessivi Euro 30.051,54. che era ben vero che per le aree edificate il criterio della dimidiazione era incostituzionale e che nella Provincia di Bolzano era stata già emanata la nuova legge che ai nuovi criteri si ispirava, ma all’applicazione dello jus superveniens o comunque ad una nuova rideterminazione che tenesse conto dei principi espressi dalla Corte Costituzionale, ostava il precedente giudicato;

che determinato il valore del terreno scoperto in complessivi Euro 30.051,54, l’indennità complessivamente dovuta, una volta sommato l’incensurato valore dei fabbricati pari a L. 2.425.701.772 (1.764.608.805 + 437.400.000 + 223.692.967) e dunque Euro 1.252.770,41, era pari ad Euro 1.282.821,83, somma questa complessivamente inferiore al valore a suo tempo offerto dal Comune per l’esproprio, e da maggiorare degli interessi nella misura e con le decorrenze già indicate nella decisione impugnata non oggetto di impugnazione.

Avverso questa sentenza l’Habitat S.p.A., società incorporante per fusione la SICAR S.r.l., ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati da memoria e notificato il 18.01.2011 alla Provincia Autonoma di Bolzano, che non ha svolto attività difensiva, nonchè il 19.01.2011 al Comune di Bolzano, che ha resistito con controricorso notificato l’11.02.2011 e depositato memoria.

Motivi della decisione

A sostegno del ricorso la società l’Habitat S.p.A denunzia:

1. "Violazione di legge ( art. 348 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 per la erronea applicazione di asserito giudicato interno al giudizio di rinvio ovvero per la violazione di jus superveniens ovvero di diritto vivente rappresentato da principio giurisprudenziale scaturente da abrogazione ovvero da interpretazione di norme disposte con sentenza della Corte Costituzionale ovvero della Corte Cedu". 2. "Violazione ed applicazione erronea (siccome costituzionalmente non orientata) della L.P. n. 10 del 1991, art. 8, comma 3 – Violazione del principio del "serio indennizzo" quale, affermato, da ultimo, da Corte Cost. 348/2007 e da C.E.D.U. 29 luglio 2004 in caso Scordino contro Italia. Violazione del trattato CEDU e dell’art. 117 Cost., comma 2. 3. "Violazione dell’art. 112 c.p.c. – Omessa pronuncia" in relazione al secondo ed al terzo motivo del primo ricorso per cassazione da questa Corte dichiarati assorbiti e riproposti in sede di rinvio.

I primi due motivi del ricorso, che essendo connessi consentono esame congiunto, sono privi di pregio.

Le prospettazioni e censure che la società ricorrente formula nei primi due motivi del ricorso si incentrano essenzialmente sugli effetti della declaratoria d’incostituzionalità resa dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 348 del 2007 (esorbitando dal controverso tema la sentenza n. 347 del 2007), sopravvenuta alla pronuncia di questa Corte n. 16980 del 2006, sentenza del giudice delle leggi che ha riguardato i criteri di commisurazione della sola indennità di espropriazione inerente alle aree edificabili ( D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, commi 1 e 2 convertito, con modificazioni, dalla L. n 359 del 1992 e, in via consequenziale, delle identiche norme contenute nel testo unico di cui al D.P.R. n. 327 del 2001) e di cui giudici di rinvio hanno escluso la pertinenza ai fini decisori anche rilevando ineccepibilmente che la loro pronuncia concerneva aree ormai definitivamente ricondotte per effetto dei principi affermati nella sentenza resa da questa Corte, all’ambito di quelle inedificabili, come tali implicanti l’applicazione del diverso criterio ad esse proprio, previsto dalla L.P. Bolzano n. 10 del 1991, art. 8, comma 3.

Nè ai rilievi in argomento ed alla riproposta questione di costituzionalità della L.P. Bolzano n. 10 del 1991, art. 8, comma 3 può essere attribuita migliore sorte in ragione della recente sentenza n. 181 del 2011, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei criteri di determinazione dell’indennità di esproprio previsti dalla normativa statale per le aree non edificabili. Secondo tale pronuncia (massima n. 0035676). E’ costituzionalmente illegittimo, per contrasto con l’art. 117 Cost., comma 1, in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42 Cost., comma 3, il D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5- bis, comma 4, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio, n. 10, art. 14. La censurata normativa prevede che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria sia commisurata ad un valore – quello agricolo medio della coltura in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali – che prescinde dall’area oggetto del procedimento espropriativo ed ignora ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene. Restano così trascurate le caratteristiche di posizione del suolo, il valore intrinseco del terreno (che non si limita alle colture in esso praticate, ma consegue anche alla presenza di elementi come l’acqua, l’energia elettrica, l’esposizione), la maggiore o minore perizia nella conduzione del fondo e quant’altro può incidere sul valore venale di esso. Il criterio, dunque, ha un carattere inevitabilmente astratto che elude il ragionevole legame con il valore di mercato del bene ablato, prescritto dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del resto, con il serio ristoro richiesto dalla consolidata giurisprudenza costituzionale. Fermo restando che il legislatore non ha il dovere di commisurare integralmente l’indennità di espropriazione al valore di mercato e che non sempre è garantita dalla CEDU una riparazione integrale, l’esigenza di effettuare una valutazione di congruità dell’indennizzo espropriativo, determinato applicando eventuali meccanismi di correzione sul valore di mercato, impone che quest’ultimo sia assunto quale termine di riferimento dal legislatore, in guisa da garantire il giusto equilibrio tra l’interesse generale e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali degli individui.".

Nella specie, la Corte d’appello ha applicato (pag 10 della sentenza) alle aree scoperte prive di potenzialità edificatoria, il criterio previsto nel terzo comma della citata L.P. n. 10 del 1991 (già richiamato nella sentenza n. 16980 del 2006, nel testo novellato dalla L.P. n. 1 del 1997 ma precedente la sostituzione apportata dalla L.P. n. 4 del 2008, art. 38, comma 7 e dotata di efficacia retroattiva ex art. 47, comma 3) secondo cui per le aree inedificabili l’indennità di espropriazione consiste nel giusto prezzo da attribuire, entro i valori minimi e massimi stabiliti dalla Commissione di cui all’art. 11, all’area, quale terreno agricolo considerato libero da vincoli di contratti agrari, secondo il tipo di coltura in atto al momento dell’emanazione del decreto di cui all’art. 5.

Nel prospettare la questione di costituzionalità di tale normativa la ricorrente avrebbe dovuto consentire di stabilirne la rilevanza ai fini decisori, il che non è avvenuto. La norma provinciale, infatti, in linea di principio fa riferimento al giusto prezzo commisurato al tipo di coltura in atto e, quindi, a valori agricoli concreti, ad essi peraltro ponendo il limite dei valori minimi e massimi stabiliti dalla Commissione provinciale.

Quindi, l’espropriata avrebbe dovuto precisare se tali limiti astratti avevano in concreto sfavorevolmente inciso sul reale valore di mercato del bene ablato, posto anche che la valutazione sul punto assunta dai giudici di merito risultava inferiore a quella determinata in via amministrativa e da lei avversata con l’opposizione, allegando, come non è avvenuto, dati valutativi inerenti ai requisiti specifici del bene in questione, atti ad influire sul valore venale di esso.

Il terzo motivo del ricorso si rivela, invece, inammissibile per difetto di autosufficienza in relazione al contenuto dei "punti 2 e 3", di cui non si espone il contenuto e che si assumono ritenuti assorbiti nella sentenza di questa Corte e trascurati dai giudici del rinvio.

Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore del Comune controricorrente.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Habitat S.p.A. a rimborsare al Comune di Bolzano le spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.
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