Cass. civ. Sez. I, Sent., 24-05-2012, n. 8231 Edilizia scolastica Piano regolatore generale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato il 3-8 febbraio 1996, D., Em., Fr. e R.M., convenivano in giudizio davanti alla Corte d’appello di Reggio Calabria l’Università degli studi della stessa città e la Servizi Tecnici s.p.a., chiedendo la determinazione delle indennità di occupazione e di esproprio, relativamente a terreni di loro proprietà, assoggettati a procedura espropriativa per la realizzazione della nuova sede della facoltà di architettura.

Si costituivano in giudizio le convenute, contestando il fondamento della domanda, di cui chiedevano il rigetto, assumendo ciascuna il difetto di legittimazione passiva. In corso di giudizio erano riunite alla causa altre cause, anch’esse di opposizione alla stima, proposte da altri comproprietari.

Per quel che qui ancora rileva, i proprietari e-spropriati lamentavano la determinazione della stima dei terreni espropriati.

Questa era stata inizialmente calcolata in base al valore di mercato di aree edificabili, ma con la stima operata in via definitiva era stata applicata la decurtazione prevista dalla L. n. 369 del 1992, art. 5. L’Università, a sua volta, sosteneva che le aree espropriate non possedessero il requisito dell’edificabilità legale.

Con sentenza depositata il 30.12.1999, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, determinava l’indennità di esproprio dei terreni – che riteneva edificabili -in L. 755.526.500, e l’indennità di occupazione nella somma corrispondente agli interessi legali su detto importo, ai quali dovevano aggiungersi gli interessi legali su quanto liquidato a titolo di indennità di occupazione, dalle singole scadenze annuali al deposito.

2. L’Università degli studi di Reggio Calabria propose ricorso per cassazione. La corte di legittimità, con sentenza 24 giugno 2003 n. 9980, cassò detta sentenza, perchè nel qualificare i terreni espropriati, ai fini della determinazione dell’indennità, aveva applicato il criterio dell’edificabilità di fatto, in luogo di quello dell’edificabilità legale.

3. Nel giudizio di rinvio la corte d’appello di Messina, con la sentenza 11 dicembre 2006, osservò che nello strumento urbanistico approvato nel 1985, del quale doveva tenersi conto senza considerare la variante del 1990, introduttiva del vincolo preordinato all’esproprio in favore dell’università, i terreni in questione erano inseriti in zona F e comunque destinati dallo strumento di pianificazione generale a verde, viabilità e servizi, vale a dire a usi incompatibili con l’attività edificatoria privata, e ciò in forza di previsioni di tipo conformativo. La stima, conseguentemente, doveva essere condotta con il criterio applicabile alle aree non edificabili. La corte ritenne tuttavia che non fosse necessario eseguire il calcolo preciso per giungere alla conclusione che in tal modo il valore di stima sarebbe risultato enormemente inferiore all’ammontare calcolato dalla Commissione provinciale espropri sulla base di un valore unitario di L. 130.000/mq. A questo riguardo sarebbe stata inoltre insignificante l’incidenza della diversa valutazione da farsi per le due minime porzioni di aree ricomprese nelle particelle 45 e 54, cui doveva riconoscersi carattere edificatorio perchè inserite l’una in zona D e l’altra in zona B, rispetto alla quasi intera estensione dei suoli espropriati. Persino la decuplicazione del valore agricolo medio delle aree incluse nel centro abitato, a norma della L. n. 865 del 1971, art. 16 sarebbe rimasta di gran lunga al di sotto della stima della quale i proprietari avevano potuto beneficiare. La corte osservò infine che le diffuse argomentazioni svolte dagli espropriati nelle comparse conclusionali, con riferimento alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e alle tendenze affioranti nella stessa giurisprudenza della cassazione in ordine alla legittimità costituzionale della L. n. 369 del 1992, art. 5 bis non erano pertinenti: sub judice presso la corte delle leggi, infatti, non era la ripartizione a fini indennitari tra aree edificabili e aree inedificabili, – profilo rilevante in causa – bensì la legittimità della quantificazione in misura ridotta dell’indennità di esproprio delle aree edificabili, vale a dire di immobili di categoria diversa rispetto a quella accertata nel giudizio di rinvio. In ogni caso l’indennità spettante agli attori era minore dell’importo stimato dalla Commissione provinciale e-spropri, e la domanda degli espropriati doveva essere rigettata.

4. Per la cassazione di questa sentenza, non notificata, ricorrono i privati espropriati per tre motivi, illustrati anche con memoria.

L’Università resiste con controricorso, e ha partecipato all’udienza.

Motivi della decisione

5. Con il primo motivo di ricorso si censura la motivazione con la quale la corte del merito ha respinto la tesi della necessaria disapplicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis perchè in contrasto con l’art. 1, protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Si sostiene che è proprio la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 a escludere un tertium genus tra aree legalmente edificabili e aree prive di edificabilità legale, sulla base della destinazione impressa dagli strumenti urbanistici, relegando l’edificabilità di fatto alle sole ipotesi della mancanza degli strumenti urbanistici. Si aggiunge che è il comma 4 della stessa disposizione a disporre che le indennità per le aree prive di edificabilità legale siano liquidati con i criteri della L. n. 865 del 1971, art. 16 con un risultato che avrebbe reso in ogni caso preferibile la liquidazione della Commissione provinciale espropri.

6. Il motivo non è fondato. Vero è che, dopo la pronuncia della sentenza impugnata, la corte costituzionale, con la n. 348 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, commi 1 e 2, norme che, osserva la corte delle leggi, prevedevano un’indennità oscillante, nella pratica, tra il 50 e il 30 per cento del valore di mercato del bene e risultavano prive di un ragionevole legame con il valore venale del bene, e quindi inidonee ad assicurare anche quel serio ristoro, che è richiesto dalla giurisprudenza consolidata della Corte costituzionale.

Ma la pronuncia citata non rileva nella fattispecie in esame, nella quale, secondo il motivato e del resto sotto questo profilo neppure censurato accertamento del giudice di merito, i terreni non erano legalmente edificabili.

E’ vero poi anche che, con la sentenza n. 181 del 2001, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5 bis, comma 4, convertito con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, in combinato disposto con la L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 15, comma 1, secondo periodo, e art. 16, commi 5 e 6, come sostituiti dalla L. 28 gennaio, n. 10, art. 14. La normativa annullata prevedeva che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria sia commisurata a un valore quale quello agricolo medio della coltura in atto, che potrebbe essere inferiore a quello di mercate delle aree espropriate.

Ma neppure questa sentenza è utilizzabile nella fattispecie, in cui le aree di espropriate sono state liquidate non già con il criterio del valore agricolo medio, bensì come aree fabbricabili, sebbene a un valore ridotto dalla falcidia dell’art. 5 bis. Il giudice di merito avendo escluso l’edificabilità dell’area, e accertato conseguentemente che la norma utilizzata dalla commissione era inapplicabile nella fattispecie, ha considerato che, anche moltiplicando per dieci il valore agricolo medio, si sarebbe rimasti al di sotto del valore liquidato dalla commissione a favore degli espropriati. Questo giudizio di fatto non è stato censurato, dai ricorrenti, i quali non assumono, neppure in questo giudizio di legittimità, che le utilizzazioni legalmente consentite delle aree espropriate conferirebbero a esse un valore di mercato superiore a quello in concreto liquidato a loro favore. L’assunto difensivo dei ricorrenti, invece, è che le aree espropriate sarebbero state caratterizzate dal requisito dell’edificabilità di fatto, e che per questa ragione appunto sarebbe illegittimo il giudizio della corte territoriale, che si è attenuta al criterio dell’edificabilità legale, sul quale specificamente si appuntano i dubbi di legittimità costituzionale prospettati.

7. I ricorrenti hanno formulato, infatti, i seguenti quattro quesiti in relazione al motivo.

Con il primo si chiede alla se la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis venga in rilievo in questa causa ove si discute se, in mancanza dell’edificabilità legale, sia da respingersi l’opposizione alla stima della Commissione provinciale espropri, che liquida un importo certamente maggiore, rispetto al valore agricolo di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 16.

Con il secondo si chiede se la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis dichiarato dalla corte di Strasburgo in contrasto con l’art. 1, protocollo 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, debba essere disapplicato dal giudice ordinario.

Con il terzo si chiede, nell’ipotesi di risposta negativa al quesito precedente, se sia rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis sotto il parametro degli artt. 111, 117 e 42 Cost., alla luce degli artt. 1, protocollo 1 e dell’art. 6, par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ratificata e resa esecutiva con L. 4 agosto 1958, n. 848.

Con il quarto si chiede se, disapplicato o dichiarato incostituzionale, la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis l’indennità virtuale di espropriazione, nella procedura dedotta in disputa, debba essere individuata in misura pari all’intero valore del bene espropriato, per reviviscenza della L. 25 giugno 1865, n. 2359, art. 39 e se l’indennità di occupazione debba essere liquidata in misura corrispondente agli interessi su quella di espropriazione, con gli accessori fino al deposito.

8. Al primo quesito deve rispondersi nel senso che, in mancanza dell’edificabilità legale del terreno espropriato, correttamente il giudice di merito ha respinto l’opposizione degli espropriati, non avendo questi prospettato l’esistenza di possibilità di utilizzazione delle aree che, pur in difetto dell’edificabilità legale, potessero comportare la liquidazione di un’indennità maggiore di quella liquidata in concreto a loro favore sul presupposto del requisito dell’edificabilità, e superiore al decuplo del valore agricolo dei terreni.

Il secondo quesito è del tutto generico e inammissibile, essendo sufficiente rilevare che i primi due commi della citata disposizione, già dichiarati incostituzionale anche per il contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, non potevano trovare in ogni caso applicazione nel caso di specie, in cui le aree espropriate non erano edificabili.

Il terzo quesito è del tutto generico, investendo la L. n. 359 del 1992, art. 5 bis nella sua interezza, nonostante che la disposizione sia stata già dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale. Se poi dovesse essere riferito alla prescrizione che le aree siano stimate al valore di aree fabbricabili solo nel caso che siano legalmente edificabili, il quesito sarebbe manifestamente infondato, non essendo sostenibile, e del resto neppure prospettato, che possa riconoscersi al proprietario espropriato, sotto forma d’indennità di espropriazione, la privazione di una facoltà contra legem, qual è quella della costruzione abusiva.

Il quarto quesito, al quale in teoria dovrebbe darsi certamente risposta affermativa, è inammissibile nel presente giudizio, non essendo idoneo a giustificare la cassazione di una sentenza che da quel principio non ha inteso discostarsi, e che ha tenuto ferma una liquidazione eseguita su presupposti, pur non riscontrati nei fatti, vantaggiosi per gli espropriati.

9. Con il secondo motivo i ricorrenti premettono che la sentenza impugnata ha ritenuto inutile una nuova indagine che sceverasse le aree legalmente edificabili da quelle che non lo erano, avendo considerato l’edificabilità legale limitata solo alle piccole porzioni delle particelle 45 e 54, che, prima dell’approvazione della variante (considerata fonte di vincolo espropriativo e, come tale, ininfluente), avevano nel P.R.G. destinazione a zona D e zona B. Sostengono che la corte avrebbe dovuto, invece, considerare munite di edificabilità legale anche l’area destinata a servizi a residenza e, soprattutto, quelle destinate a "viabilità di piano", che costituivano la maggior parte di quelle espropriate.

I ricorrenti denunciano pertanto la falsa applicazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3 perchè si sarebbero dovute considerare munite di edificabilità legale anche l’area destinata a "servizi alla residenza" e quelle destinate alla viabilità di piano.

Quanto alla prima, sarebbero edificabili tutte le aree la cui destinazione ammette l’intervento dei privati, e questo intervento dovrebbe ritenersi ammesso anche per i servizi al servizio dell’edilizia residenziale. Per le seconde si sostiene che all’interno dei centri edificati il vincolo della viabilità è considerato espropriativo. Neppure la destinazione urbanistica impressa con la variante, di zona F per attrezzature scolastiche di grado superiore, escludeva teoricamente la possibilità di un intervento edilizio privato, per la realizzazione di scuole superiori private e per la costruzione di edifici da locare a istituzioni scolastiche pubbliche.

I ricorrenti propongono quattro quesiti:

1) ove una variante, pur relativa alla sola area poi destinata a un’opera pubblica, sia adottata non contestualmente e implicitamente all’atto dell’approvazione del progetto e della dichiarazione di pubblica utilità, bensì in precedenza e con procedimento normale e autonomo, se ne deve tener conto ai fini della verifica dell’edificabilità legale, ai sensi della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 3? 2) la destinazione ad attrezzature scolastiche di grado superiore consente l’intervento privato per la realizzazione di scuole superiori private, o di edifici destinati a ospitare scuole pubbliche in regime di locazione, onde le aree con tale destinazione possono essere considerate legalmente edificabili L. n. 359 del 1992, ex art. 5 bis, comma 3? 3) la destinazione a servizi alla residenza consente l’intervento privato con le medesime conseguenze di cui al quesito 2 che precede? 4) la viabilità all’interno dei centri edificati deve considerarsi vincolo di natura espropriativa da tenersi tamquam non esset nella verifica dell’edificabilità legale? 10. Il primo quesito non è esaminabile distintamente dal secondo. I ricorrenti suppongono che la variante approvata, con la quale era identificata la zona destinata alla realizzazione dell’università, e che comprendeva i terreni di loro proprietà, conferisse per ciò stesso alla zona il requisito dell’edificabilità privata per i privati proprietari, e che perciò essi sarebbero stati danneggiati dalla decisione della corte di merito, di non tenerne conto, per prendere in esame la precedente qualificazione urbanistica della stessa zona.

L’assunto è infondato, tenuto conto della consolidata giurisprudenza di questa corte.

Ai fini della determinazione dell’indennità di esproprio, la destinazione di aree a edilizia scolastica, nell’ambito della pianificazione urbanistica comunale, ne determina il carattere non edificabile, avendo l’effetto di configurare un tipico vincolo conformativo, come destinazione a un servizio che trascende le necessità di zone circoscritte, ed è concepibile solo nella complessiva sistemazione del territorio, nel quadro della ripartizione zonale in base a criteri generali e astratti; nè può esserne ritenuta per altro verso l’edificabilità, sotto il profilo di una realizzabilità della destinazione a iniziativa privata o promiscua pubblico-privata, giacchè l’edilizia scolastica è riconducibile a un servizio strettamente pubblicistico, connesso al perseguimento di un fine proprio e istituzionale dello Stato, su cui non interferisce la parità assicurata all’insegnamento privato (Cass. 26 maggio 2010 n. 12862). Va quindi ritenuto il carattere di vincolo conformativo, incidente sul valore del bene, della destinazione a edilizia scolastica, per la quale l’ordinamento rimette ogni iniziativa agli enti pubblici territoriali, in dipendenza di scelte programmatiche fondate su periodiche ricognizioni, a livello territoriale, sul fabbisogno strutturale in rapporto alla domanda di istruzione (Cass. 12 luglio 2007 n. 15616).

I principi appena enunciati sono evidentemente tanto più valevoli nel caso dell’edilizia universitaria, le cui finalità non trascendono soltanto le singole zone del piano regolatore del comune, ma, normalmente, lo stesso territorio comunale. Essi comportano che la destinazione a edilizia scolastica, e a maggior ragione universitaria, di natura peraltro normalmente conformativa e non espropriativa, escluda l’edificabilità legale a favore dei privati proprietari, e non giovi a questi in sede di liquidazione dell’indennità espropriativa; conseguentemente, neppure pregiudica le ragioni dei privati la decisione di non tener conto di tali vincoli (d’inedificabilità legale) per essere gli stessi, nel caso concreto e in ragione del carattere "lenticolare" della variazione di piano regolatore in funzione della collocazione dell’opera pubblica, di natura espropriativa (nel senso che in via di eccezione i suoli medesimi possono avere natura edificabile, qualora sia accertato il carattere localizzativo – preespropriativo e della variante urbanistica in funzione dell’opera pubblica, sicchè il suolo va valutato alla stregua della zona all’interno della quale l’opera pubblica da realizzare garantisce la prestazione del servizio pubblico, cfr. Cass. 17 maggio 2005 n. 10343). Nè tale valutazione può essere influenzata dall’esito negativo al quale l’indagine del giudice di merito abbia fatto capo, accertando che anche la precedente destinazione della zona a servizi pubblici ("F"), esclude l’edificabilità legale.

Il terzo quesito è pur esso infondato.

L’inserimento dei suoli nella cosiddetta zona F (aree destinate a opere di interesse collettivo) di uno strumento urbanistico (piano di fabbricazione o piano regolatore generale) è inquadrabile in linea di principio nella zonizzazione del territorio e dunque determina il carattere non edificabile dei suoli stessi (Cass. 17 maggio 2005 n. 10343).

Infondato è infine il quarto motivo.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, l’indicazione delle opere di viabilità nel piano regolatore generale (L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 7, comma 2, n. 1), pur comportando un vincolo di inedificabilità delle parti del territorio interessate, con le relative conseguenze nella determinazione dell’indennità di esproprio, che tiene conto dell’edificabilità o meno dei suoli, non concreta un vincolo preordinato a esproprio, a meno che tale destinazione non sia assimilabile all’indicazione delle reti stradali all’interno e a servizio delle singole zone (L. n. 1150 del 1942, art. 13), di regola rimesse allo strumento di attuazione, e come tale, riconducibile a vincoli imposti a titolo particolare, di carattere espropriativo, in funzione non già di una generale destinazione di zona, ma della localizzazione lenticolare di un’opera pubblica, incidente su specifici beni (Cass. 25 settembre 2007 n. 19924).

Discende da ciò, che la viabilità primaria implica sempre l’inedificabile legale delle aree a essa destinate, mentre la secondaria segue la qualificazione di zona. Ora, poichè la zona era destinata a servizi pubblici, ed era quindi legalmente inedificabile, altrettanto deve dirsi del tracciato di strade all’interno di essa.

9. Con il terzo motivo si denuncia la violazione della L. n. 359 del 1992, art. 5 bis, comma 2 perchè la decurtazione prevista dalla norma era stata applicata alla mancata accettazione di un’offerta formulata in modo unitario per aree e fabbricati, e suscettibile di accettazione solo unitariamente.

Si propone il quesito se a norma della disposizione richiamata la decurtazione del 40% della media della semisomma del valore di mercato e del reddito domenicale sia da escludere non solo nell’ipotesi di cessione volontaria, ma anche nell’ipotesi in cui l’offerta sia così incongrua da rendere impraticabile la detta cessione volontaria.

La regola enunciata dal quesito era esatta, secondo la giurisprudenza affermatasi al tempo in cui la norma era vigente, essendo stato ritenuto che, allorchè la determinazione dell’indennità di espropriazione sia disciplinata dalla L. n. 354 del 1992, art. 5 bis la riduzione del 40 per cento, prevista allorchè non sia intervenuta la cessione volontaria, non si applica quando l’ente espropriante abbia trascurato di formulare l’offerta dell’indennità provvisoria, o l’abbia formulata in termini irrisori rispetto al valore del bene (Cass. 31 maggio 2007 n. 12771). Il quesito è nondimeno inammissibile, avendo il giudice di merito escluso l’applicabilità della norma – oggi dichiarata incostituzionale e per ciò stesso in ogni caso inapplicabile – in ragione del carattere non edificabile dell’area, e non avendo pertanto la stessa norma influenzato la decisione della causa, fondata sulla considerazione che l’indennità concretamente liquidata era superiore al valore del bene.

10. L’ultimo capo, concernente il governo delle spese nella prospettiva dell’accoglimento dei precedenti motivi, non contiene censure ed è inammissibile.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio di legittimità sono a carico dei soccombenti, e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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