Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-10-2011) 16-11-2011, n. 42038

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La Corte di appello di Bologna, con decisione del 22.10.10, confermava la sentenza emessa in data 04.12.08 dal Tribunale di Ravenna, sez. di Faenza, che aveva condannato:

N.M. e NA.MA. per il reato di truffa continuata aggravata (artt. 81 cpv 110 e 640c.p., art. 61 c.p., n. 7) perchè in concorso tra loro e nella qualità di procuratore il primo ed amministratore la seconda della società "Sider Impianti srl" traevano in inganno la Banca di Romagna, dalla quale si facevano anticipare la somma complessiva di Euro 80.000 mediante l’artificio ed il raggiro di presentare una serie di fatture relative a prestazioni mai avvenute; fino al 29.06.2004; con la recidiva semplice per N.M.;

Ricorrono per cassazione gli imputati con separati ricorsi aventi motivi sostanzialmente coincidenti:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e).

1) I ricorrenti censurano la decisione impugnata per omessa ed illogica motivazione riguardo agli elementi oggettivi e soggettivi del reato di truffa e lamentano che la Corte territoriale non avrebbe motivato in ordine alla prova sia della falsità delle fatture che dei soggetti che materialmente avrebbero compilato e presentato le stesse in banca;

-a tale riguardo i ricorrenti sottolineano come la circostanza che le fatture fossero relative ad operazioni inesistenti era restata priva di prova, al riguardo non essendo sufficienti le dichiarazioni dei debitori indicati nelle fatture, interessati a negare il proprio debito;

2)-la sentenza era da censurare per avere omesso di considerare che i raggiri e gli artifici ascritti non erano idonei a trarre in inganno la Banca di Romagna, operatore professionale provvisto di tutti gli strumenti per appurare l’eventuale inesistenza dei crediti riportati nelle fatture;

3)-mancava la motivazione sia sulla consapevolezza degli imputati di agire in concorso tra loro e sia sulla volontà dei medesimi di agire in esecuzione di un unico disegno criminoso;

4)-l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 7 era stata erroneamente ritenuta dalla Corte di appello che aveva omesso di considerare la modestia dell’importo del danno in relazione alla consistenza patrimoniale della banca;

5)-il danno morale riconosciuto in favore della parte civile era inesistente ed immotivatamente determinato nel suo ammontare;

CHIEDONO l’annullamento della sentenza impugnata.

Motivi della decisione

I ricorrenti propongono interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La Corte territoriale ha evidenziato:

quanto all’elemento oggettivo del reato di truffa:

-che la falsità delle fatture presentate in banca per ottenere l’anticipazione emergeva:

-dalle contestazioni delle ditte indicate come debitrici, che avevano prontamente negato di essere destinatane delle operazioni di cui alle fatture;

-che tali contestazioni erano certamente corrispondenti alla verità, sia perchè in alcuni casi, come per la "Spainox srl", era stata fornita dimostrazione documentale e, sia perchè gli imputati si erano limitati a mere enunciazioni al riguardo, senza mai fornire idonea dimostrazione del loro presunto credito;

quanto all’elemento soggettivo:

-che agli atti era stata acquisita la prova dell’attribuibilità agli imputati della presentazione in banca delle fatture per operazioni inesistenti attraverso la deposizione dei responsabili della banca parte offesa nonchè attraverso la documentazione acquisita da cui emergeva che l’anticipazione di credito era stata chiesta direttamente da N.M. e che le relative fatture erano state materialmente consegnate in banca dal medesimo ovvero dalla figlia Ma.;

-che tali circostanze erano dimostrative del diretto e concreto contributo prestato dagli imputati alla consumazione del reato;

Si tratta di motivazione congrua ed assorbente anche della dimostrazione della ricorrenza degli estremi di cui agli artt. 81 cpv e 110 c.p., in quanto fondata su dati fattuali oggettivi e conforme alle massime di comune esperienza;

per contro, i motivi di ricorso proposti, si risolvono in interpretazioni alternative delle medesime prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, se abbiano analizzato il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. (Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007. n. 12255).

I ricorrenti lamentano che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare che gli artifici e raggiri non erano idonei a trarre in inganno la banca, operatore professionale, ma il motivo non coglie nel segno atteso che nella motivazione si sottolinea, per un verso, che la banca "non aveva ragione di chiedere informazioni sulla solvibilità di debitori già conosciuti in quanto clienti dell’istituto stesso" e, per altro verso, che nessun rimprovero di mancata diligente indagine poteva muoversi alla banca dal momento che gli imputati avevano ottenuto quel fido già da tempo ed avevano perciò fatto leva "sui pregressi rapporti economici" con l’istituto.

Tale motivazione risulta del tutto in linea con la Giurisprudenza anche di questa sezione che, ai fini della sussistenza del delitto di truffa ha affermato il principio che non ha rilievo la mancanza di diligenza, di controllo e di verifica da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l’idoneità del mezzo in quanto si risolve in una mera deficienza di attenzione e perchè il più delle volte essa è determinata dalla fiducia che il truffatore, con artifici e raggiri, sa suscitare nella parte lesa. (Cassazione penale, sez. 2, 17/03/1993).

Va per altro considerato che la questione dell’idoneità astratta dell’artificio o del raggiro a sorprendere l’altrui buona fede può acquistare rilevanza in tema di tentativo di truffa ma non quando questa sia consumata con l’effettiva induzione in errore, perchè in tal caso l’idoneità è dimostrata dall’effetto raggiunto e non può escludersi anche se sia provato che il soggetto indotto in errore sospettò il raggiro o l’artificio (Cass. Pen. Sez. 2, 03.07.2009 n. 34059 – vedi conforme: sez. 2A 14 novembre 1989 n. 297, Scarcelli;

sez. 6A 25 febbraio 2003 n. 13624, Di Rosa).

Ugualmente infondati risultano i motivi proposti riguardo alla ricorrenza dell’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, ex art. 61 c.p., n. 7, per la quale si deve ricordare la regola di diritto secondo la quale ai fini della sussistenza di tale aggravante preliminare e decisivo è l’esame dell’oggettiva rilevanza economica del danno, desunta essenzialmente dal livello economico medio della comunità sociale nel momento storico in cui il reato viene commesso, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato (ex multis Cass. Sez. 2, 30/3 – 9/10/1987 n. 10599 Rv.

176826).

Nel caso in esame la motivazione a sostegno della rilevanza della somma di Euro 80.000 ai fini della sussistenza dell’aggravante contestata è immune da vizi logici o interne contraddizioni e la censura tende con evidenza a sollecitare una diversa valutazione di merito, preclusa in questa sede. (Cassazione penale, sez. 6 03/11/2010. n. 41686).

I principi di cui sopra evidenziano l’infondatezza anche del motivo sul danno morale, certamente conseguente al reato, e sull’entità del quale la Corte di appello motiva in maniera congrua ed immune da illogicità, laddove sottolinea la perdita di immagine subita dell’istituto di credito.

Segue il rigetto del ricorso, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè di quelle sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonchè, in solido, alla rifusione in favore della parte civile Banca di Romagna spa delle spese del grado liquidate in Euro 2.600, 00 oltre spese forfetarie, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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