Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 05-10-2011) 16-11-2011, n. 42071 Sentenza contumaciale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di Venezia con provvedimento del 20 gennaio 2011 ha dichiarato inammissibile l’istanza, presentata l’1 dicembre 2010 dal difensore di fiducia M.D., per la restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, emessa in data 22 novembre 2002 dal Tribunale di Vicenza e divenuta irrevocabile il 28 marzo 2003, avendo affermato l’intervenuta decorrenza del termine di trenta giorni, previsto a pena di decadenza ex art. 175 c.p.p., comma 2 bis, poichè il M. aveva avuto conoscenza del provvedimento al momento del suo arresto, avvenuto in (OMISSIS), a seguito della diretta esecuzione della sentenza italiana da parte del Governo albanese, in forza dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Repubblica di Albania, concluso a Roma il 24 aprile 2002 e ratificato con L. 11 luglio 2004, n. 204. 2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del D. chiedendo l’annullamento del provvedimento ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b) e c) in relazione all’art. 175 c.p.p., comma 2 e per la violazione dell’art. 6 CEDU, ed ha avanzato, in via subordinata, eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 175 c.p.p., nella parte in cui fa decorrere per il condannato inconsapevole, detenuto all’estero, il termine entro il quale deve essere presentata l’istanza di restituzione in termini per l’impugnazione non già dal momento in cui lo stesso venga espressamente informato dell’esperibilità del rimedio avverso i procedimenti celebrati in absentia, ma dal momento della messa in esecuzione della condanna. Come riconosciuto dallo stesso Procuratore generale presso la Corte di appello nelle sue conclusioni, l’istante non aveva avuto conoscenza del provvedimento formale di vocatio in iudicium, in quanto allo stesso non era stato mai notificato alcun atto del procedimento, era stato dichiarato latitante ed era stato assistito da un difensore di ufficio, destinatario di tutte le notifiche. Per cui la sentenza di primo grado emessa dal tribunale di Vicenza in data 22 novembre 2002 era divenuta definitiva ed era stata posta in esecuzione diretta in forza dell’accordo tra Itala ed Albania, intesa aggiuntiva rispetto alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate firmata a Strasburgo nel 1983.

Di conseguenza il M., incensurato e dipendente del Ministero dell’interno albanese, era stato arrestato e ristretto nel carcere di Pequin per espiare la pena nello Stato di sua residenza, senza avere conoscenza della possibilità di essere rimesso nel termine per l’impugnazione e con la difficoltà di reperire un legale che fosse a conoscenza della normativa dello Stato di condanna, per cui, quando tale conoscenza si era realizzata, il termine di cui all’art. 175 risultava ormai spirato. L’Accordo internazionale in forza del quale il ricorrente si trova ristretto non conterrebbe alcuna disposizione ove siano specificate le modalità con le quali la persona giudicata in absentia debba essere informata della possibilità di gravame, quindi il M. si era trovato nell’incolpevole ignoranza sia della possibilità di ottenere la remissione termini per l’impugnazione, sia del fatto che tale possibilità doveva essere esperita nel termine di decadenza di trenta giorni dalla sua restrizione in carcere. Di fatti l’istanza era stata presentata dal difensore, solo dopo la sua nomina, effettuata in data 5 novembre 2010, nel termine di trenta giorni da detta nomina. La difesa del ricorrente ha evidenziato inoltre che se il M. fosse stato, invece, estradato dall’estero per l’esecuzione della condanna in Italia, il termine per proporre la citata istanza sarebbe decorso dal diverso momento della consegna dello stesso allo Stato italiano (art. 175 c.p.p., comma 2 bis). Proprio per garantire il rispetto dell’effettiva conoscenza dei rimedi esperibili in caso di giudizio in contumacia, la decisione quadro 2009/299GAI, che ha modificato la decisione quadro sul mandato di arresto europeo, ha espressamente previsto l’obbligo di informare il destinatario del provvedimento del diritto a richiedere, entro un termine determinato, un nuovo processo od un ricorso in appello. La soluzione operata dalla Corte di appello di Venezia legittimerebbe in tal modo l’esecuzione di una sentenza iniqua e sul punto la Corte di Strasburgo si è espressa nello specifico, con alcune pronunce con le quali il Belgio è stato condannato per violazione dell’art. 6 CEDU, proprio per aver privato un soggetto del diritto di ricorso dopo avergli notificato la sentenza, per non aver dato avviso allo stesso circa i termini entro i quali avrebbe dovuto presentare ricorso.

3. In data 15 settembre 2011, la difesa del ricorrente ha presentato memoria di replica alle conclusioni scritte della procura generale di questa Corte, con la quale ribadisce il fatto che nel caso in esame il M. non ha avuto effettiva conoscenza della possibilità di esercitare il diritto di restituzione nel termine per impugnare la sentenza di condanna.

Motivi della decisione

1. Ritiene questo Collegio che il ricorso debba essere accolto.

Secondo quanto affermato più volte dal Giudice delle Leggi, sin dalle sentenze C.D. "gemelle" nn. 348 e 349 del 2007, il giudice nazionale è obbligato ad interpretare le norme interne in senso conforme alle disposizioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, nei limiti in cui ciò sia consentito dal testo delle norme stesse, nell’ambito dei consueti parametri ermeneutici. Solo nel caso in cui una tale opzione interpretativa risulti impossibile, deve denunciare la incompatibilità costituzionale della disposizione per contrasto con il parametro di cui all’art. 117 Cost., comma 1, invocando la disposizione della Convenzione EDU quale norma interposta.

A seguito di un esame, in tale prospettiva, della disposizione della quale il ricorrente ha censurato il vizio di violazione di legge, emerge la possibilità di interpretare, la disposizione di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2 bis, nel senso di riconoscere al M. il diritto di essere restituito nel termine per impugnare, non potendosi ritenere che lo stesso avesse avuto effettiva conoscenza della possibilità di esperire tale rimedio al momento del suo arresto in (OMISSIS).

2. Come è noto il processo contumaciale del nostro sistema è stato oggetto, sotto vari profili, di molteplici condanne da parte della Corte EDU, in relazione alla violazione dell’art. 6 CEDU, sotto il profilo del diritto dell’imputato di partecipare al processo penale.

Le linee guida di interpretazione di tale garanzia sono state disegnate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che, sin dal primo giudizio sul caso Sejdovic (decisione dell’11 settembre 2003), nel respingere la pregiudiziale italiana circa il mancato esaurimento dei rimedi interni, ebbe ad affermare il principio che non si può esigere da chi lamenta la violazione del giusto processo, il previo esperimento di "rimedi palesemente destinati a fallire", individuando – quale uno dei punti dolenti del meccanismo dell’istituto ripristinatorio della rimessione in termini – proprio il brevissimo termine di decadenza (all’epoca stabilito in dieci giorni, con decorrenza dalla sentenza di condanna) lasciato al condannato per proporre istanza di restituzione nel termine per l’impugnazione e riconoscendo, inoltre, la peculiare "tecnicità" di tale istituto. La sentenza della Corte EDU richiamata ebbe a precisare, infatti, che "il breve termine previsto a pena di inammissibilità dall’art. 175 c.p.p., comma 3 e l’assenza di informazioni precise in merito possono, sommandosi ad altri fattori specifici quali difficoltà linguistiche, culturali ed economiche, costituire seri ostacoli all’accesso del condannato alla giustizia".

Per questa, e per le altre decisioni di condanna inflitte allo Stato italiano per la violazione dell’art. 6 CEDU in riferimento al giudizio in absentia, si giunse alla novella (con D.L. 21 febbraio 2005, n. 17) dell’art. 175 c.p.p., con lo scopo di rendere effettiva la procedura di restituzione in termini, in modo da assicurare al contumace inconsapevole, con un "sufficiente grado di certezza", un nuovo giudizio sul fatto addebitato. In particolare, in riferimento al termine, lo stesso è stato esteso a trenta giorni, decorrenti dal momento in cui l’imputato ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento, mentre in caso di estradizione dall’estero il termine per la presentazione della richiesta decorre dalla consegna del condannato.

3. Su tale tema si è espressa anche la Corte costituzionale, da ultimo con la sentenza n. 317 del 2009 (si veda paragrafo 9 del Considerato in diritto) ove è sottolineata la necessità di verificare l’effettività degli strumenti processuali vigenti in relazione al diritto del contumace inconsapevole di usufruire di una misura ripristinatoria, proprio perchè tale diritto ha natura di diritto fondamentale e "non può essere sottratto". Tale garanzia di effettività ha condotto, come è noto, la Corte alla declaratoria di parziale incostituzionalità della disposizione di cui all’art. 175 c.p.p., nella parte in cui precludeva la restituzione nel termine per proporre impugnazione del contumace, che non aveva avuto cognizione del processo, nei casi in cui la stessa impugnazione fosse stata già proposta dal difensore.

4. Alla luce di tali linee interpretative espresse dalle due Corti, risulta pertanto innegabile che la disposizione di cui al comma 1 bis, relativa alla decadenza nel termine di trenta giorni, assegnato all’imputato con decorrenza dalla data nella quale abbia avuto "effettiva" conoscenza del provvedimento, debba essere interpretata congiuntamente con il secondo periodo di tale previsione, laddove la decorrenza, in caso di estradizione dall’estero, viene fissata dal legislatore dal momento della consegna del condannato in Italia. E ciò a prescindere dalla nazionalità dello stesso, in evidente correlazione con la possibilità concreta per il condannato, una volta giunto in Italia, di esercitare compiutamente la propria difesa da un punto di vista tecnico. Ciò che è indispensabile per il corretto esercizio del diritto del condannato in absentia di richiedere la restituzione nel termine (secondo quanto rilevato dalla stessa Corte di Strasburgo), se del caso anche attraverso l’intervento del difensore. Inoltre non può certo sottacersi che tale disposizione debba essere letta nell’ambito complessivo dell’istituto della rimessione nel termine e della sua ratio: per cui nel caso in cui il condannato non sia consegnato in Italia (dato che è favorita l’espiazione della pena nello Stato di nazionalità/residenza, in forza dell’Accordo bilaterale) risulta evidente che il termine di trenta giorni può decorrere solo ove il cittadino straniero venga specificamente informato della possibilità di esperire tale rimedio avverso la condanna, pur definitiva, pronunciata in absentia, e dei termini previsti dalla legge dello Stato che ha pronunciato la condanna per esercitare tale diritto. Una contraria interpretazione finirebbe per dare minori garanzie proprio a quel condannato straniero appartenente ad un Paese con il quale è stata migliorata la cooperazione giudiziaria in riferimento alla fase di esecuzione delle sentenze di condanna, consentendogli di espiare la pena nel proprio Paese, rispetto a quanto previsto nel procedimento estradizionale, in un paradosso non in linea con i principi costituzionali e della CEDU. Con riferimento al caso esaminato, la legge 11 luglio 2003 n. 204 ha ratificato l’accordo tra la Repubblica Italiana e la Repubblica di Albania, fatto a Roma il 24 aprile 2002, aggiuntivo alla Convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 21 marzo 1983 (adottata a Strasburgo e ratificata con legge 25 luglio 1988 n. 334), che ha come espresso obiettivo la tutela del condannato straniero, il quale evita l’estradizione nello Stato di condanna ed espia la pena nello Stato di nascita o di residenza. Invero, nè tale accordo bilaterale nè la Convenzione richiamata disciplinano espressamente il caso di condanna all’esito di giudizio celebrato nella contumacia dell’imputato, ma di certo, l’affermazione del diritto all’equo processo come declinato dalla giurisprudenza della Corte EDU fornisce la corretta chiave di interpretazione della norma che deve essere applicata nel caso di specie.

5. Recentemente, la Corte di Strasburgo ha affrontato la specifica questione della tardività del ricorso nella causa, già richiamata dal ricorrente, Hakimi c. Belgio, con pronuncia della Seconda Sezione in data 26 giugno 2010, che ha riconosciuto la violazione dell’art. 61 CEDU, proprio perchè, nella sostanza, quel ricorrente (un cittadino marocchino condannato in contumacia e detenuto in un carcere belga) era stato privato del diritto di ricorso ad un tribunale, posto che la richiesta di annullamento della sentenza di condanna pronunciata in sua assenza era stata ritenuta tardiva, ed i giudici avevano affermato che, in base al diritto nazionale, non sussisteva l’obbligo di informarle la persona condannata della possibilità di presentare ricorso entro certi termini e l’obbligo per le autorità di dare seguito a tali ricorsi.

6. Inoltre, seppure il richiamo svolto dal ricorrente agli strumenti giuridici in vigore nell’ambito dell’Unione europea non sia pertinente al caso di specie, ulteriore conferma alla necessità di garantire l’effettività della conoscenza del rimedio ripristinatorio del diritto ad impugnare, attraverso l’affermazione di uno specifico dovere di informare il condannato in absentia, circa l’esistenza del rimedio e delle sue modalità di attuazione, è desumibile dal contenuto della decisione quadro del Consiglio 26 febbraio 2009 (2009/299/GAI), che modifica la decisione quadro 2002/584/GAI e le altre che hanno già modificato l’istituto del mandato di arresto europeo, rafforzando i diritti processuali delle persone e promuovendo l’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo.

Tale ultimo strumento (attuato dall’Italia con il decreto legislativo 7/9/2010, n. 16) ha inserito un nuovo art. 4 bis, rubricato "Decisioni pronunciate al termine di un processo a cui l’interessato non è comparso personalmente" (disposizione che peraltro si applica solamente al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni pronunciate in assenza dell’interessato al processo a partire dal 28 marzo 2011), che include specificamente la necessità di un’espressa informazione all’interessato del diritto ad un nuovo processo o ad un ricorso in appello cui l’interessato ha diritto di partecipare (e che consente di riesaminare il merito della causa comprese le nuove prove) e del termine entro cui deve richiedere un nuovo processo o presentare ricorso in appello. In una recente pronuncia della Corte di Giustizia (Quarta Sezione, 21 ottobre 2010,nel procedimento C- 306/09), peraltro, con un’interpretazione "attualizzata" di tale disciplina, il Giudice comunitario ha concluso nel senso che se lo Stato di esecuzione abbia dato attuazione nel proprio ordinamento a tali garanzie, prima di dare esecuzione ad un mandato d’arresto europeo emesso ai fini di eseguire una pena all’esito di un giudizio in contumacia, può richiedere allo Stato emittente tale garanzia aggiuntiva (ossia che venga pronunciata nei confronti del condannato una decisione all’esito di un nuovo procedimento giudiziario svolto in sua presenza nello Stato membro emittente).

7. Il provvedimento della Corte di appello di Venezia esaminato in questa sede, peraltro succintamente motivato a fronte delle ampie argomentazioni prospettate dalla difesa, ad alcune delle quali non è stata data risposta, ha concluso per l’inammissibilità dell’istanza a seguito di un’applicazione – che non può non dirsi – formalistica dell’art. 175 c.p.p., comma 2 bis, considerando il termine di trenta giorni per la proposizione dell’istanza di restituzione nel termine scaduto, in quanto decorrente dal momento dell’"effettiva conoscenza" dell’atto da impugnare: effettiva conoscenza ritenuta, sic et simpliciter, coincidente con l’esecuzione dell’arresto in Albania del M..

Come invece emerge dagli atti, la conoscenza dei possibili rimedi esperibili avverso l’atto posto in esecuzione non risultava affatto concreta, e quindi effettiva, posto che il M. in Albania, è stato arrestato in esecuzione della decisione pronunciata in absentia e ristretto in un carcere di quello Stato. Perciò la conoscenza circa il diritto di vedere riesaminata tale pronuncia risultava compromessa non solo dal fatto che non era facilmente ipotizzabile la conoscenza da parte del M. o di un avvocato di nazionalità albanese, eventualmente nominato difensore di fiducia, della procedura penale dello Stato italiano che ha emesso l’ordine di carcerazione, ma soprattutto dalla circostanza che, nel momento in cui il M. è stato arrestato, egli non ha ricevuto formale avviso del diritto, previsto dalla legge italiana, di chiedere la restituzione nel termine per l’impugnazione della sentenza e dei termini per esperire tale rimedio, qualora si fosse trovato in una situazione di ignoranza incolpevole del processo a suo carico.

Dagli atti del fascicolo (che questo Collegio deve consultare, essendo stato sollevato un vizio di legge processuale) risulta che M.D. è stato condannato con sentenza del Tribunale di Vicenza, anche con l’indicazione di un alias (quello di M. E.), a seguito di sua individuazione fotografica, ed altri riscontri investigativi, per reati connessi con l’induzione alla prostituzione minorile (ed altro) di una ragazza albanese, ma non risulta avere avuto conoscenza del procedimento penale che lo ha riguardato, essendo stato dichiarato latitante e non avendo mai nominato un difensore di fiducia, per cui tutte le notifiche risultano effettuate presso il difensore di ufficio.

8. Va quindi accolta, previo annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata, la sua richiesta di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza di primo grado, avendo incolpevolmente ignorato l’esistenza del processo penale celebrato nei suoi confronti e ciò anche se la richiesta sia stata presentata oltre il termine di trenta giorni dal suo arresto avvenuto in Albania. Infatti, la mancata conoscenza della possibilità di esperire tale rimedio processuale innanzi all’autorità giudiziaria italiana ed il termine entro il quale operarlo, è stata causata da un errore scusabile, perchè provocato innegabilmente dalla mancata comunicazione, da parte delle autorità che – in forza dell’Accordo bilaterale, ratificato con legge – hanno posto in esecuzione all’estero la condanna conseguente ad una sentenza contumaciale, della possibilità di esperire il rimedio ripristinatorio di cui all’art. 175 c.p.p. e del termine entro il quale richiederlo, possibilità che avrebbe dovuto essergli comunicata al momento dell’esecuzione della sentenza. Inoltre essendo lo stesso cittadino straniero, risulta viepiù scusabile l’ignoranza della legge italiana, almeno fino alla nomina del difensore di fiducia innanzi all’autorità giudiziaria italiana.

9. Solo in tal modo, in conclusione, è possibile affermare che (nel caso di specie) lo strumento ripristinatorio predisposto dal legislatore italiano a "purgazione" del giudizio contumaciale, può dirsi dotato di concreta effettività ed è pienamente conforme con i principi costituzionali e della giurisprudenza EDU, a tutela effettiva del diritto fondamentale di difesa e di contraddittorio nel processo.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata senza rinvio, disponendo la remissione in termini del ricorrente M.D. per l’impugnazione della sentenza contumaciale del Tribunale di Vicenza.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *