Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 16-11-2011, n. 42087

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 17.3.2010 all’esito del giudizio abbreviato, il GUP del Tribunale di Monza, tra l’altro, affermava la penale responsabilità di:

– L.M.S., in ordine ai reati di:

(capo 7) porto in luogo pubblico di un’arma comune da sparo (revolver cal. 38);

(capo 8) detenzione, in concorso con altri,di due armi comuni da sparo (di cui un revolver S & W cal. 38 Special) ;

(capo 10) tentata estorsione in danno di A.G. per farsi restituire un assegno bancario di Euro 50.000,00;

(capo 11) incendio aggravato di un autocarro di proprietà della ditta "Betonteam" s.r.l. di A.G. per eseguire il reato sub 10);

– A.R., in ordine al reato suo capo 22) per cessione di 12 grammi di cocaina a S. e Sc. e detenzione della medesima sostanza stupefacente a fini di spaccio, in concorso con i predettifritenuta l’attenuante del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5;

– R.B., in ordine al reato sub capo 26) per cessione, In concorso con C.P. (giudicato separatamente) di cocaina di non accertata quantità a B.A. e al reato sub capo 27) per cessione, in concorso con C.P. e C. S. (giudicati separatamente), di cocaina di non accertata quantità a B.A. ("(OMISSIS)").

Conseguentemente i tre venivano condannati alle rispettive pene di giustizia.

La prova della colpevolezza degl’imputati era desunta principalmente dal contenuto di plurime conversazioni telefoniche ed ambientali intercettate, dalle denunce di A.G. e dal riscontro di talune circostanze obbiettive.

Tale sentenza veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Milano che, con sentenza in data 14.2.2011, riduceva la pena inflitta a L.M.S. ad anni 2, mesi 6 di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa ed ad A.R. ad anni 2, mesi 6 di reclusione e Euro 10.000 di multa, confermando nel resto la sentenza impugnata (in particolare, quanto alla posizione di R.B. condannato, con attenuanti generiche, ad anni 3 di reclusione ed Euro 16.000,00 di multa).

Avverso tale sentenza della Corte milanese ricorrono per cassazione i tre imputati suddetti tramite i rispettivi difensori di fiducia.

Nell’interesse di L.M.S. e di R.B. si deducono il vizio motivazionale e la violazione di legge: si assume, al riguardo, che la Corte distrettuale non aveva addotto alcuna motivazione in ordine alla ritenuta decisività delle espressioni contenute nelle conversazioni intercettate.

Si criticano e contestano le argomentazioni e conclusioni decisionali e la sufficienza del dato probatorio in ordine ai singoli capi d’imputazione dei quali il L.M. e il R. sono stati ritenuti colpevoli nonchè le ricostruzioni fattuali ed interpretative di talune conversazioni intercettate e, quanto alla tentata estorsione in danno dell’ A., pur riconoscendosi la consegna a costui da parte del L.M. di un assegno di Euro 50.000,00, si rileva l’insufficienza probatoria circa l’elemento dell’ingiusto profitto che il predetto ricorrente avrebbe dovuto conseguire.

Nell’interesse del R., in particolare, si rappresenta la configurabilità dell’ipotesi attenuata" di cui al cit. D.P.R., art. 73, comma 5.

Nell’interesse di A.R., si deducono, ancora, il vizio motivazionale e la violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, artt. 62 bis e 69 c.p..

Si contesta la possibilità di valutare la natura e la qualità della sostanza stupefacente sulla scorta di una mera esclamazione dello Sc. ("minchia è buonissima") e che la sostanza in questione fosse proprio quella consegnatagli dall’ A..

Ci si duole, altresì, del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.

Motivi della decisione

I ricorsi sono inammissibili essendo le censure mosse aspecifiche, manifestamente infondate e non consentite in questa sede di legittimità.

E’ palese la sostanziale aspecificità delle censure mosse che hanno riproposto in questa sede le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale e da quel giudice disattese con motivazione ampia e congrua ed immune da vizi ed assolutamente plausibile.

Ed è stato affermato che "è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità" (Cass. pen. Sez. 4, 29.3.2000, n. 5191 Rv. 216473 e successive conformi, quale: Sez. 2, 15.5.2008 n. 19951, Rv. 240109; Sez. 6, n. 20377 del 11.3.2009, Rv. 243838).

Inoltre, quanto al dedotto vizio motivazionale, giova rammentare che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il novum normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto "travisamento della prova", finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere ad una inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no "veicolato", senza travisamenti, all’interno della decisione (Cass. pen. Sez. 5, n. 39048 del 25.9.2007, Rv. 238215). Nè risulta rispettato il principio di c.d. autosufficienza del ricorso, costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell’ambito penale, con la conseguenza che, quando si lamenti la omessa valutazione o il travisamento del contenuto di specifici atti del processo penale, è onere del ricorrente suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto degli atti medesimi o allegazione di copia integrale di essi in modo da rendere possibile il completo apprezzamento del vizio dedotto (cfr. Cass. pen. Sez. 4, 26.6.2008 n. 37982 Rv. 241023; Sez. 1, 22.1.2009, n. 6112, Rv.

24322). Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme, come nel caso di specie relativamente alla ritenuta penale responsabilità, il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass. pen., Sez. 2, 15.1.2008, n. 5994; Sez. 1, 15.6.2007, n. 24667, Rv. 237207; Sez. 4, 3.2.2009, n. 19710, Rv. 243636). La motivazione addotta dalla Corte di Appello è, invero, del tutto congrua e corretta avendo ampiamente risposto alle doglianze rappresentate con gli atti di gravame fornendo ineccepibili e logiche interpretazioni delle conversazioni intercettate per ribadire la colpevolezza di tutti gl’imputati in ordine a ciascuno dei reati loro rispettivamente ascritti: con i motivi di ricorso non si criticano, in realtà, la violazione di specifiche regole preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì si pretende la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile in sede di verifica della legittimità del percorso giustificativo della decisione, quando – come nel caso in esame – la struttura razionale della motivazione della sentenza ha una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa ed è saldamente ancorata alle risultanze del quadro probatorio.

Del resto, le argomentazioni addotte si sostanziano in deduzioni di puro fatto tese a sovrapporre una propria ricostruzione della vicenda rispetto a quella operata dai giudici di merito con interpretazioni del contenuto delle conversazioni che si saldano logicamente e temporalmente ad ulteriori emergenze fattuali.

Quanto all’ingiusto profitto di cui all’ultima censura del ricorso del L.M., non v’era alcuna necessità di esplicazione argomentativa, dal momento che si verte in ipotesi di tentativo di estorsione.

La minaccia del L.M. di bruciare tutti i camion e di sparargli se l’ A. non avesse ritirato l’assegno, poi concretizzata dall’incendio di un camion della Betonteam pianificato da S. e D. su incarico del L.M., implicava la realizzazione solo della costrizione tesa ad ottenere, per ignote ragioni comunque non rilevanti ai fini dell’integrazione della fattispecie criminosa, la dilazione non concordata del pagamento dell’assegno in precedenza consegnatogli: infatti, in tema di delitto di estorsione, la costrizione, che deve seguire alla violenza o minaccia, attiene all’evento del reato, mentre l’ingiusto profitto con altrui danno si atteggia a ulteriore evento, sicchè si ha solo tentativo nel caso in cui la violenza o la minaccia non raggiungono il risultato di costringere una persona al "tacere" ingiusto (Cass. pen. Sez. 2, n. 24068 del 10.6.2008, Rv. 240625).

Corretta ed esaustiva è la motivazione addotta dalla sentenza impugnata in ordine alla non riconoscibilità dell’attenuante di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, invocata nell’interesse del R., avendo considerato la continuatività e il carattere organizzato della cessione dello stupefacente e le modalità di vendita indicative di una certa professionalità, in tal modo adeguandosi alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui il giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa): dovendo, conseguentemente, escludere la concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di "lieve entità" (di recente, Sez. 4, n. 43399 del 12.11.2010 Rv. 248947), Peraltro è stato persi no affermato che non è qualificabile come fatto di lieve entità l’ipotesi di singolo spaccio di modesta quantità della sostanza, se esso costituisca l’apprezzabile reiterazione, antecedentemente programmata o meno, di altri simili atti. (Sez. 4, n. 10764 del 25.5.1992, Rv. 192325).

Quanto alle denegate circostanze attenuanti generiche di cui si duole l’ A., si osserva che la motivazione addotta dalla Corte territoriale al riguardo è del tutto esaustiva e corretta, avendole escluse a causa dei precedenti specifici dell’imputato e del suo arresto per detenzione di un quantitativo di stupefacente e la sua condizione di clandestinità (tale ultima circostanza, pur non integrando più una specifica aggravante, di cui all’art. 61 c.p., n. 11 bis, dichiarato incostituzionale, ben può essere presa in considerazione dal giudice di merito quale elemento negativo che, al pari ed unitamente ad altri, sia ritenuto ostativo della concessione delle circostanze attenuanti innominate).

Invero, la concessione delle attenuanti generiche risponde a una facoltà discrezionale, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere motivato nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo. Tali attenuanti non vanno intese come oggetto di una benevola concessione da parte del giudice, nè l’applicazione di esse costituisce un diritto in assenza di elementi negativi, ma la loro concessione deve avvenire come riconoscimento della esistenza di elementi di segno positivo, suscettibili di positivo apprezzamento (Cass. pen. Sez. 1, 4.11.2004 n. 46954 Rv.

230591; Sez. 6, 28.10.2010, n. 41365, non massimata nel CED).

Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in Euro 1.000,00, per ciascuno, in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della causa di inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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