T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 20-12-2011, n. 2429

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Nel ricorso, ritualmente notificato e depositato gli odierni ricorrenti espongono di essere proprietari di un lotto di terreno ricadente nella contrada Marausa, distinto al foglio mappa n. 83 del Comune di Trapani come particella n. 198 che, in base alle previsione del Piano di Fabbricazione in vigore fino al novembre 2006, ricadeva in parte in zona Z.T.O. e in parte in zona agricola. In ragione di ciò, per il suo sfruttamento edilizio, i proprietari ottenevano lo stacco, da parte del Comune, della concessione edilizia n. 381 del 19 dicembre 2005.

Il 20 gennaio 2006 gli stessi, nel rispetto dei termini indicati in concessione e dieci mesi prima dell’adozione del PRG, inviavano agli uffici competenti la comunicazione di inizio dei lavori, cui faceva seguito l’effettivo inizio degli stessi.

Il 28 novembre 2006 veniva adottata la rielaborazione parziale del nuovo PRG, prevedendo per l’area di proprietà dei ricorrenti una destinazione incompatibile con la già rilasciata concessione edilizia (attrezzature pubbliche, servizi di quartiere di interesse socio assistenziale e strada pubblica, oltre che zona agricola).

Avverso detta zonizzazione, peraltro adottata senza alcun coinvolgimento dei proprietari e senza adottare alcuna revoca della rilasciata concessione, gli stessi presentavano osservazioni, che, però, venivano rigettate affermando che "l’osservazione non evidenza un particolare interesse pubblico e propone in modo autoreferenziale la trasformazione della destinazione urbanistica di una proprietà dal sistema dei servizi e delle attrezzature a quello residenziale alterando direttamente i rapporti tra le superfici destinate ad opere di urbanizzazione e quelle vocate ad edilizia privata".

A seguito dell’approvazione regionale di tale modifica al PRG, i proprietari interessati hanno notificato il ricorso in esame, deducendo violazione dell’art. 19, comma 3, della L.R. 27 dicembre 1978, n. 71 e dell’art. 3 della legge n. 241/90, come recepita dalla L.R. 30 aprile 1991, n. 10, eccesso di potere e carenza di istruttoria, nonché violazione degli artt. 97, 32 e 41 della Costituzione.

Il suddetto art. 19, che disciplina le c.d. "clausole di salvaguardia" operanti a seguito dell’adozione del nuovo piano regolatore, prevede che "A richiesta del sindaco, e per il periodo suddetto, il prefetto, con provvedimento motivato da notificare all’interessato, può ordinare la sospensione dei lavori di trasformazione delle proprietà private che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l’attuazione del piano", stabilendo che le stesse non possano durare più di tre anni. Nel caso di specie il Comune non ha disposto la sospensione dei lavori ed il rigetto dell’osservazione, con cui i proprietari si sono fatti carico di rappresentare la realtà della situazione, è stato fondato sul parere rilasciato dall’Ufficio di Piano che, deve presumersi, non fosse stato informato della validità della concessione già rilasciata, avendo utilizzato una motivazione stereotipata.

Tale motivazione deve, secondo i ricorrenti, essere ritenuta inidonea a supportare la scelta urbanistica operata, seppur ampiamente discrezionale, in quanto non terrebbe nella debita considerazione gli interessi in conflitto ed in particolare l’aspettativa ingenerata nei proprietari in ragione della concessione edilizia rilasciata. Concessione in esecuzione della quale, medio tempore, sono stati edificati per la massima parte i manufatti autorizzati.

Parte ricorrente conclude, quindi, evidenziando, oltre al periculum in mora, anche il pregiudizio economico subito, per la reintegrazione del quale ha formulato apposita domanda, dando conto che gli stessi proprietari, per evitare più gravi danni, il 30 dicembre 2008 hanno depositato domanda di sospensione dei lavori.

Si è costituito in giudizio il Comune, eccependo, in primo luogo, la tardività del ricorso, che non è stato proposto contro l’adozione del piano regolatore e che, comunque, è stato proposto solo dopo l’approvazione formale da parte della Regione, nonostante la legge preveda termini per l’approvazione, decorsi i quali dovrebbe ritenersi formato il silenzio assenso e, perciò, dalla scadenza degli stessi dovrebbe ritenersi decorrere il dies a quo.

Nel merito il ricorso sarebbe infondato. Ciò in ragione del fatto che sarebbe inutilmente decorso il termine perentorio di tre anni per il completamento dei lavori, a nulla rilevando la comunicazione relativa ad una sospensione volontaria non prevista dalla legge ed effettuata solo venti giorni prima della scadenza del termine di legge e peraltro motivata con riferimento a "cattive condizioni atmosferiche tipiche del periodo invernale".

Per quanto attiene alla risposta alle osservazioni, la stessa sarebbe stata determinata dal fatto che gli odierni ricorrenti non hanno mai nè documentato, né attestato di aver dato inizio ai lavori, il che ha indotto l’Amministrazione a ritenere la concessione decaduta.

Anche l’Amministrazione regionale si è costituita in giudizio, ma senza dispiegare, con riferimento al ricorso introduttivo, alcuna specifica difesa.

Il 21 luglio 2010, l’istanza cautelare è stata rigettata.

Dopo essersi costituita con nuovo difensore, parte ricorrente ha, il 12 maggio 2011, depositato un ricorso per motivi aggiunti con cui i proprietari, a seguito della richiesta di trasposizione in sede giurisdizionale del ricorso straordinario al Capo dello Stato formulata dal Comune di Trapani, hanno riassunto la questione davanti al giudice amministrativo attraverso l’utilizzo, per l’appunto, dello strumento dei motivi aggiunti.

Con tale mezzo parte ricorrente dà atto di come, successivamente alla proposizione del ricorso, il Comune si sia comportato come se la concessione edilizia fosse ancora efficace, chiedendo ai proprietari di ottemperare alle obbligazioni assunte con l’atto unilaterale d’obbligo e di dimostrare la proprietà delle aree da cedere al Comune. Solo il 15 ottobre 2010 il Comune, improvvisamente, ha negato il completamento delle opere di finitura delle costruzioni realizzate, sostenendo che la concessione fosse decaduta.

Contro il provvedimento che ha dichiarato tale decadenza sono stati dedotti eccesso di potere e violazione dell’art. 15, comma 4 del DPR 6 giugno 2001, n. 380. Secondo parte ricorrente la decadenza non deriverebbe automaticamente, ma dovrebbe essere disposta con un’esplicita pronuncia. Pronuncia che avrebbe dovuto essere adottata in esito ad un’istruttoria nella quale sarebbe emerso che i lavori erano stati tempestivamente iniziati ed anche completati (essendo state realizzate le strutture in cemento e la tampognatura, con conseguente completamento del rustico), come sarebbe stato dichiarato dallo stesso Comune nella nota prot. n. 126243 del 23 agosto 2010.

A tali affermazioni ha replicato il Comune, sostenendo che non sarebbe stata fornita prova dell’avvenuta comunicazione dell’inizio dei lavori e comunque gli stessi non sarebbero stati puntualmente terminati nel termine assegnato, né è stata richiesta una proroga per il loro completamento. Ciò risulterebbe comprovato dalla stessa relazione tecnica depositata da parte ricorrente, che dà atto del solo completamento del rustico, per i lotti A e B, privi però di tramezze, di pavimenti, servizi e di tutte le finiture.

Il mero fatto del decorso del termine sarebbe, quindi, sufficiente a determinare la decadenza della concessione, non essendo a tal fine necessaria l’adozione di alcun provvedimento.

Con apposita, memoria, in vista dell’udienza di merito, la Regione ha eccepito l’infondatezza del ricorso, in quanto il mancato completamento dell’opera è ammesso nello stesso ricorso, sicchè, in mancanza di rituali istanze di proroga, verificata la decadenza della concessione, la cui dichiarazione non sarebbe necessaria, sarebbe pienamente legittima la sopravvenuta regolamentazione urbanistica.

Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente rigettata l’eccezione in rito introdotta dal Comune resistente. A tale proposito si deve, in primo luogo, precisare che il Collegio non ritiene fosse necessaria, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, la previa impugnazione dell’adozione del Piano regolatore. È pur vero, infatti, che laddove la previsione faccia scattare una clausola di salvaguardia, la stessa dovrebbe essere qualificata come immediatamente lesiva e dovrebbe essere tempestivamente impugnata. Nel caso di specie, però, essendo già esistente la concessione edilizia, la clausola di salvaguardia non poteva ritenersi effettivamente e concretamente lesiva, con la conseguenza che la posticipazione dell’impugnazione ad un momento successivo della definitiva approvazione non appare precludere l’ammissibilità del ricorso.

Ciò chiarito è regola generale (cfr TAR Palermo, sentenza n. 585/2007 e T.A.R. Catania, sez. I, 22 febbraio 2005, n. 289) che, in caso di impugnazione di Piano regolatore Generale, il termine di decadenza di giorni sessanta decorra, per principio assolutamente pacifico, dalla data di pubblicazione del provvedimento regionale di approvazione del P.R.G., in quanto atto a contenuto generale. L’eventuale formazione del silenzio assenso in relazione all’approvazione del Piano regolatore può produrre effetti nei confronti del Comune, ma non anche del singolo cittadino, il quale non può certo ritenersi a conoscenza del momento in cui il provvedimento di adozione è stato trasmesso o addirittura ricevuto dalla Regione.

Accertatane l’ammissibilità, il ricorso introduttivo, dopo un più approfondito esame, proprio della fase decisoria nel merito, appare suscettibile di positivo apprezzamento, diversamente da quanto ritenuto in sede cautelare. Esso è volto ad ottenere l’annullamento della previsione del nuovo piano regolatore generale che impone all’area di proprietà dei ricorrenti una destinazione incompatibile con la edificazione autorizzata con concessione edilizia regolarmente rilasciata dal Comune di Trapani.

È pur vero che, in sede di presentazione delle osservazioni gli odierni ricorrenti non hanno avuto l’accortezza di asserire esplicitamente l’intervenuto inizio dei lavori e tantomeno hanno fornito alcun principio di prova di tale evento. Essi, però, hanno puntualmente indicato i riferimenti propri della concessione e proprio in ragione di ciò l’Amministrazione avrebbe dovuto procedere ad una più attenta istruttoria, di cui la documentazione non reca traccia, al fine di accertare la efficacia della stessa. La totale assenza di un’adeguata istruttoria appare, peraltro, confermata dallo stesso tenore letterale della risposta alle osservazioni, che sono state intese come se parte ricorrente avesse rappresentato l’esigenza di imprimere all’area una nuova destinazione e non anche di conservare quella preesistente in ragione di un, già intervenuto, mutamento della situazione di fatto mediante l’inizio dei lavori oggetto di concessione.

La previsione del Piano Regolatore in questione, quindi, deve ritenersi priva di adeguata motivazione e, conseguentemente, illegittima e suscettibile di annullamento.

Per quanto attiene al successivo atto implicito di dichiarazione della decadenza della concessione edilizia, si ritiene opportuno premettere che, pur non essendo stato dimostrato l’effettivo, tempestivo, invio della comunicazione di inizio dei lavori, il comportamento del Comune, che ha consentito il completamento, almeno al rustico, di tutti gli edifici previsti, che ha incassato gli oneri concessori e che ha preteso, successivamente, la cessione delle aree da destinare ad opere di urbanizzazione, induce a ritenere che tale comunicazione vi sia effettivamente stata e sia stata in concreto ricevuta dal Comune. In caso contrario, infatti, si dovrebbe ritenere gravemente omissivo e comunque contradditorio l’agire dell’Amministrazione.

Con riferimento al rispetto dei termini di completamento dei lavori, invece, il Collegio ritiene di poter condivide la tesi di cui alla sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 10 maggio 2011, n. 2765, secondo cui: "se è vero che la decadenza stessa "avviene "di diritto" al verificarsi dei presupposti di legge (art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380 del 2001) e la pronuncia di decadenza ha natura ricognitiva con effetto retroattivo", resta comunque ferma la necessità dell’adozione di un atto formale dell’Amministrazione in proposito (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2007 n. 5228). Anche nel caso di specie, quindi, non può ritenersi in concreto intervenuta la dichiarazione di decadenza, con la conseguenza che il provvedimento impugnato, con cui il Comune ha negato la possibilità di proseguire i lavori, risulta fondato su di un presupposto, l’intervenuta decadenza della concessione edilizia, inesistente per carenza del provvedimento di formale accertamento della stessa e che, peraltro, non sembrerebbe comunque precludere il rilascio di un nuovo titolo legittimante il suddetto completamento.

Infatti, nonostante l’art. 36 della L.R 71/1978, stabilisca che "Per ultimazione dell’ opera si intende il completamento integrale di ogni parte del progetto confermato con la presentazione della domanda di autorizzazione per l’ abitabilità o agibilità" ed esso, al contrario dell’art. 4 della legge n. 10/77 non preveda che "Qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata", tale principio generale ben può ritenersi operante anche in Sicilia. Ciò anche in considerazione del fatto che non appare rispondere alla ratio della norma impedire il completamento di edifici nella loro sostanza già realizzati.

Il Collegio ritiene, quindi, che anche il diniego impugnato con ricorso per motivi aggiunti sia illegittimo e meriti annullamento.

Deve, invece, essere esclusa ogni ipotesi risarcitoria, atteso che, a prescindere dalle illegittimità rilevate, il mancato completamento dei lavori è sicuramente imputabile esclusivamente a parte ricorrente che non vi ha tempestivamente provveduto nel termine assegnato e non si è nemmeno preoccupata di richiedere la proroga del termine stesso.

Le spese del giudizio possono trovare integrale compensazione tra le parti in causa, in ragione della natura prettamente interpretativa della questione e del conseguente alterno andamento delle successive fasi processuali.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto annulla gli atti impugnati.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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