T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 20-12-2011, n. 2428

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La società I. s.r.l. è titolare della concessione mineraria "Terme di Termini Imerese", che le consente l’utilizzo delle acque termali per la gestione dell’omonima azienda termale, cui è collegata anche la gestione dell’azienda alberghiera "Grand Hotel delle Terme", di proprietà del Comune di Termini Imerese.

In ragione di tale plurima attività imprenditoriale, sin da 2004, l’Assessorato regionale all’Industria rivendicava il pagamento di un canone che, ai sensi dell’art. 139, comma 44 della L.R. n. 4/03, avrebbe dovuto essere determinato con riferimento all’intero volume d’affari della società e non anche con riferimento al solo fatturato derivante dalla attività di gestione delle acque termali.

Conseguentemente, nonostante lo scambio di corrispondenza con la società che sollecitava una revisione dell’interpretazione sposata dalla Regione, il Dipartimento Corpo Regionale delle Miniere, Distretto Minerario di Palermo, con provvedimento prot. n. 4952 del 28 novembre 2006, richiedeva il pagamento della somma di Euro 451.073,53 per i canoni relativi agli anni 2003, 2004, 2005 e per l’integrazione di quanto dovuto per l’acconto del canone 2006.

Ritenendo illegittimo il criterio di calcolo che rapporta il canone all’intero volume di affari della società gestrice, quest’ultima ha notificato il ricorso in esame, deducendo la violazione e falsa applicazione della L.R. n. 10/99 ed in particolare dell’art. 19, comma 5, lett b), come sostituito dall’art. 139, comma 44, della L.R. n. 4/2003, nonché violazione e falsa applicazione dell’art. 2555 del codice civile.

Parte ricorrente, previa negazione della competenza del giudice speciale delle acque pubbliche – controvertendosi di determinazione del canone per la concessione nell’ambito di un’attività vincolata in materia mineraria – proprio in ragione del suddetto specifico oggetto, ha revocato in dubbio anche la giurisdizione del giudice amministrativo.

Più precisamente, pur ritenendo opportuna, per puro tuziorismo difensivo, l’impugnazione degli atti, la società concessionaria ha profilato la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di questione connessa a "indennità, canoni ed altri corrispettivi" riservata all’autorità giudiziaria in ragione di quanto disposto negli artt. 140144 del testo unico 11 dicembre 1933, n. 1775 (così l’art. 5, comma 2 della legge n. 1034/1971).

Nel merito il provvedimento sarebbe illegittimo perché frutto di un’erronea interpretazione della disposizione di legge, in ragione della quale, nonostante il legislatore si riferisca al fatturato delle aziende termali, il canone è stato quantificato con riferimento all’intero fatturato della società che gestisce, nel caso di specie, le acque termali. In tale modo l’Amministrazione non ha tenuto in alcuna considerazione la circostanza per cui, dato atto che le aziende non sono soggetti di diritto, ma meri strumenti attraverso cui le società esercitano le loro attività, il riferimento del legislatore al fatturato di quelle (aziende) termali dovrebbe essere letto come avente ad oggetto quella parte del fatturato annuo della società titolare della concessione riferito, però, alla sola specifica attività della gestione delle acque termali, facilmente individuabile dalla dichiarazione IVA, in quanto si tratterebbe della sola attività "esente" esercitata dalla società.

Con un primo ricorso per motivi aggiunti, la società ricorrente ha impugnato gli atti relativi alla richiesta di pagamento dei canoni riferiti agli anni dal 2008 al 2010, rappresentando, in primo luogo, come il fatturato complessivo della società comprenda anche quello relativo al bar gestito all’interno di una sala Bingo a Palermo, nonché ad alcune attività immobiliari.

In tale ricorso, avverso ai provvedimenti censurati, sono stati dedotti:

1. violazione degli artt. 3 e 10 della legge n. 241/90 e conseguente carenza di motivazione, essendo stata disposta, la censurata diffida al pagamento, senza alcuna replica all’istanza della ricorrente, datata 6 maggio 2010, con la quale la stessa aveva richiesto di rivalutare i parametri di riferimento per la determinazione del canone di concessione;

2. violazione e falsa applicazione della L.R. n. 10/99 ed in particolare dell’art. 19, comma 5, lett b), così sostituito dall’art. 139, comma 44, della L.R. n. 4/2003, come risulterebbe dimostrato dal fatto che anche la precedente versione dell’art. 19, comma 5, lett. b) della L.R. 10/99 agganciava, secondo la ricorrente, la determinazione del canone a parametri strettamente connessi con la gestione dell’azienda termale intesa in senso stretto e cioè al numero di litri di acqua prodotti, così superando la vecchia disciplina di cui all’abrogata L.R. 1 ottobre 1956, n. 4, che prevedeva il criterio della "partecipazione della Regione ai profitti dell’impresa", il quale poteva dar adito ad interpretazioni nel senso di agganciare la determinazione del canone al fatturato complessivo della società concessionaria.

Analoghe censure sono state riproposte con il secondo ricorso per motivi aggiunti, avente ad oggetto la richiesta del pagamento del saldo del canone relativo all’anno 2009 e l’acconto relativo all’anno 2010. Con tale ricorso, però, è stata formulata anche domanda incidentale per la concessione della misura cautelare della sospensione degli effetti dei provvedimenti impugnati.

Costituitasi in giudizio, la difesa erariale, con riferimento all’istanza cautelare ha, in primo luogo, sostenuto l’assenza di danno grave ed irreparabile. Nel merito essa ha eccepito l’infondatezza del ricorso, atteso che l’interpretazione sposata dalla Regione troverebbe il proprio fondamento nel fatto che la previgente normativa regionale prevedeva addirittura che il pagamento del canone fosse una mera alternativa rispetto alla compartecipazione degli utili dell’impresa titolare della concessione di sfruttamento delle acque termali e anche la nuova disposizione di cui alla L.R. 10/99, così come riformulata alla luce della L.R 4/2003, determinerebbe il canone in misura percentuale rispetto al fatturato annuo, in difformità da quanto previsto per la concessione di acque minerali (nel qual caso il canone è rapportato alla quantità di acqua prodotta). Ciò in ragione della diversa valenza economicocommerciale della concessione di sfruttamento di acque termali. Tali acque, infatti, solo in casi eccezionalissimi possono essere direttamente commercializzate come le acque minerali, perciò il loro sfruttamento è correlato alla gestione delle terme e delle attività di accoglienza ed ospitalità collegate a questa ed è per tale ragione che dovrebbe ritenersi ragionevole commisurare il canone anche all’indotto della risorsa termale.

Ne deriverebbe l’impossibilità di enucleare dal fatturato globale della società quello relativo al "complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa termale", anche in ragione del fatto che l’acqua termale non sarebbe, di per sé, da sola e per sua natura, suscettibile di sfruttamento economico, essendolo solo attraverso la complessa organizzazione dell’attività termale. Per tale ragione il legislatore fa riferimento, secondo la tesi di parte resistente, al fatturato delle "aziende termali" e non anche ai ricavi conseguenti alla attività termale.

Lo scorporo, dalla dichiarazione IVA, del solo importo relativo alle attività esenti (da utilizzare come base per l’applicazione della percentuale del 5 % prevista per il calcolo del canone) sarebbe non solo contrario alla legge, ma anche oggettivamente non probante della vera entità del dovuto.

A tale difesa ha replicato la ricorrente, richiamando quanto già dedotto nel ricorso e sostenendo la sussistenza di un pericolo grave ed irreparabile, connesso al fatto che il mancato pagamento del canone avrebbe determinato l’avvio di un’azione di inadempimento contrattuale.

Alla camera di consiglio del 21 aprile 2011 si è ritenuto di procedere alla fissazione della data per la tempestiva trattazione del merito della questione ai sensi dell’art. 55, comma 10 del nuovo C.P.A..

Nelle more le stesse censure dedotte con i precedenti ricorsi sono state introdotte anche con il terzo ricorso per motivi aggiunti, nel quale si ribadisce, ancora una volta, come il concetto di azienda sia diverso da quello di società, per cui una società può gestire contestualmente più aziende, intese come complesso di beni, fattori produttivi e strumenti organizzati per un determinato processo produttivo. Ne consegue che il "fatturato annuo delle aziende termali" non può che essere inteso, secondo parte ricorrente, che come il fatturato annuo della specifica attività di gestione delle acque termali.

Anche in questo caso la difesa erariale, oltre a revocare in dubbio la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo, ha ulteriormente ribadito la propria posizione in ordine all’estensione del fatturato da considerare anche all’indotto derivante dalla gestione dell’attività termale.

Alla camera di consiglio fissata per la trattazione dell’incidente cautelare, proposta con il primo ricorso per motivi aggiunti, il Collegio ha ritenuto di non ravvisare il presupposto del danno grave ed irreparabile, anche in considerazione della vicinanza dell’udienza pubblica fissata per la trattazione del merito.

In vista della pubblica udienza l’Amministrazione ha depositato una memoria, insistendo sull’assenza di giurisdizione del giudice amministrativo e sulla carenza di fondamento nel merito del ricorso per la ragione già sopra dette.

La ricorrente ha replicato ribadendo quanto già più volte esplicitato nella sequela di ricorsi oggetto di decisione.

Alla pubblica udienza del 7 dicembre 2011 la causa, su conforme richiesta dei procuratori delle parti, è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

Deve essere preliminarmente affrontata la questione relativa alla sussistenza della giurisdizione del giudice adito.

A tale proposito appare necessario ricordare che il comma 1, lett. b) dell’art. 133 del d. lgs. 104/2010, ha riprodotto, nella sostanza, l’art. 5 della legge T.A.R., attribuendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo "le controversie aventi ad oggetto atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni pubblici, ad eccezione delle controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle attribuite ai tribunali delle acque pubbliche e al Tribunale superiore delle acque pubbliche".

La prospettazione secondo cui anche la vicenda in esame esulerebbe dall’ambito della giurisdizione esclusiva non può essere condivisa, essendo oggetto principale del presente giudizio non un mero obbligo di pagamento (peraltro rimesso alla cognizione del Giudice Ordinario, nei termini in precedenza chiariti), ma l’apprezzamento discrezionale della pubblica Autorità, circa i parametri da applicare per la determinazione del canone concessorio nel caso di specie: un apprezzamento espresso poi in forma autoritativa e da contestare, come in effetti avvenuto, in sede di giudizio di legittimità innanzi al giudice amministrativo (in senso conforme Consiglio di Stato, sez. VI, 14 ottobre 2010, n. 7505, nella quale si legge: "Sussiste la giurisdizione dell’A.G.O. di cui all’art. 5, 2° comma della L. TAR sulle controversie in materia di concessioni di beni demaniali relative ad "indennità, canoni ed altri corrispettivi", nel caso in cui la controversia sia stata proposta non già avverso un provvedimento amministrativo di carattere generale, determinativo dell’obbligo di versamento del canone (nel qual caso, venendo in contestazione la stessa ratio essendi del potere impositivo, la giurisdizione sarebbe devoluta al Giudice amministrativo, configurandosi una contrapposizione di posizioni qualificabili come di "potere/interesse’), ma la pretesa sia comunque limitata entro l’ambito di una vicenda processuale incentrata su un singolo rapporto fondato sul binomio "obbligo/pretesa’. In tal caso, infatti, la corretta configurazione della struttura stessa dell’obbligo (secondo i modelli alternativi del canone meramente ricognitorio, ovvero del canone di merito) non attiene alla contestazione del potere impositivo in se inteso, quanto piuttosto all’esatta sussunzione del rapporto in questione nell’ambito del proprio paradigma legale, al fine di tutelare "il diritto soggettivo a pagare la misura di legge e non più del dovuto"".

Poiché, nel caso di specie, si controverte della interpretazione della legge operata dalla Regione con riferimento ad un profilo generale e cioè il criterio di determinazione della base di calcolo del canone (ovvero l’inclusione nella stessa dell’intero fatturato della concessionaria).

Oggetto sostanziale del ricorso, infatti, è, pur essendo impugnati, naturalmente, i concreti atti impositivi notificati alla ricorrente, la pretesa illegittima interpretazione della norma operata dalla Regione laddove per "fatturato annuo delle aziende termali", ha ritenuto dovesse essere inteso l’intero fatturato della società che gestisce l’azienda termale.

Ciò premesso, il ricorso appare solo parzialmente accoglibile.

La norma di riferimento è rappresentata dall’art. 19, comma 5, lett b), come sostituito dall’art. 139, comma 44, della L.R. n. 4/2003la lettera b) del comma 1 dell’art. l, il quale prevede: "Il canone annuo sostitutivo della partecipazione ai profitti d’impresa di cui all’articolo 25, lettera g), della legge regionale 1 ottobre 1956, n. 54, è determinato nei seguenti importi e secondo le seguenti modalità…omissis….b) per la concessione di acque termali il canone risulta determinato applicando l’aliquota del 5 per cento sul fatturato annuo delle aziende termali".

Dato il tenore letterale della norma e la ratio della disposizione che definisce il criterio forfetario descritto dall’elencazione che segue come sostitutivo della partecipazione ai profitti d’azienda, il Collegio ritiene che sia conforme alla legge una determinazione del canone in questione che tenga conto dell’intero fatturato delle aziende termali e non solo di quello strettamente connesso "alle acque", ma distinguendo lo stesso dal ricavo complessivo della società, comprendente anche quello derivato da rami aziendali completamente estranei allo sfruttamento delle acque termali (ed accessori).

Dall’affermazione di tale principio discende l’impossibilità di considerare il provvedimento dell’Amministrazione conforme alla disposizione di legge, laddove applica la percentuale del 5 % all’intero fatturato della società che gestisce le terme, ricomprendendovi anche il ricavato proprio di attività esercitate dalla medesima società, ma che nemmeno indirettamente risultano essere collegate alla gestione delle terme (come la gestione del bar all’interno della sala bingo ovvero le operazioni inerenti a diverse attività immobiliari).

Il comportamento dell’amministrazione non trova, quindi, riscontro nel dato normativo e, pertanto, i provvedimenti impugnati che ne sono frutto debbono ritenersi illegittimi e, conseguentemente, suscettibili di annullamento.

Ciononostante il ricorso non può essere integralmente accolto, in quanto, con riferimento alla determinazione della base cui applicare la percentuale del 5 % sopra citata, appare del tutto generico ed insufficiente il riferimento al regime di esenzione "dell’attività delle acque termali" proposto da parte ricorrente, posto che solo una parte delle attività connesse alla gestione delle acque termali sono esenti, mentre altra parte di esse sono senz’altro soggette ad IVA al 20 % (vedasi gli stabilimenti balneari).

Secondo l’art. 10 del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, infatti, sono esenti, solo "le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate, nonché da società di mutuo soccorso con personalità giuridica e da ONLUS compresa la somministrazione di medicinali, presidi sanitari e vitto, nonché le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali".

Come recentemente chiarito anche dalla Corte di Giustizia della Comunità europea, nella sentenza dell’1 dicembre 2005, relativa ai ricorsi C394/04 e C395/04, per godere dell’esenzione tali prestazioni/forniture debbono essere specificamente prescritte dal medico il quale le ritiene indispensabili per il raggiungimento degli scopi terapeutici a cui tali prestazioni sono finalizzate. Sono, invece, imponibili le prestazioni di accompagnatori o assistenti rese a soggetti diversi dai pazienti, i corrispettivi relativi a differenze di classe praticate dalle case di cura, il servizio bar, il telefono, la televisione in camera, il vitto e l’alloggio dell’accompagnatore.

Proprio il fatto che il Ministero nelle proprie circolari (ad es. 40/362756/83) e la Corte di giustizia abbiano ravvisato l’opportunità di specificare la non qualificabilità come operazioni esenti di tali prestazioni equivale, però, ad affermare la natura connessa all’attività termale che, quindi, ne rende opportuna l’inclusione nel novero del "fatturato annuo delle aziende termali".

Ne deriva che, contrariamente a quanto asserito da parte ricorrente il fatturato sulla base del quale calcolare la percentuale corrispondente al canone non può essere limitato al solo ammontare delle operazioni esenti da IVA: esso deve comprendere anche tutte quelle prestazioni erogate, in termini di cure termali e prestazioni accessorie, nei confronti dei pazienti e degli accompagnatori degli stessi, che pur non essendo esenti rientrano comunque nel novero dell’attività propria delle "aziende termali" e che, quindi, dovranno essere puntualmente individuate per l’imposizione del canone de quo.

Le spese del giudizio possono trovare compensazione tra le parti in causa, atteso il solo parziale accoglimento del ricorso.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti indicati in motivazione e per l’effetto annulla, per quanto di ragione, i provvedimenti impugnati, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti che l’Amministrazione intenderà adottare.

Dispone la compensazione delle spese del giudizio.
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