Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 04-10-2011) 16-11-2011, n. 42084 Poteri della Cassazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di S.G. avverso la sentenza emessa in data 12.11.2010 dalla Corte di Appello di Firenze che confermava quella del Tribunale di Firenze in data 7.4.2009, con la quale il ricorrente era stato riconosciuto colpevole del reato di cui al D.L. n. 285 del 1992, art. 186, comma 2 (commesso l'(OMISSIS)) e condannato, con circostanze attenuanti generiche, alla pena di giorni venti di arresto ed Euro 400,00 di ammenda oltre alla sospensione della patente di guida per la durata di giorni 45.

La Corte rilevava che, in assenza di qualsiasi specifica allegazione, non vi era motivo di dubitare della correttezza del funzionamento dello strumento utilizzato per l’accertamento del tasso alcolemico (pari, nei due test, a 2,20 g/l e 1,17 g/l) come espressamente indicato nel verbale, ed osservava che, in base a quanto emerso in sede testimoniale, l’imputato era apparso in evidente stato di ebbrezza, allorchè, a seguito del sinistro subito, intervenne sul luogo la Polizia di Stato, disattendendo la tesi sostenuta dall’imputato secondo la quale aveva ingerito alle ore 1,30 del 22.2.2007 una bevanda alcolica successivamente al verificarsi del sinistro, in quanto offertagli dal teste D.F., terzo trasportato. Il ricorrente deduce i motivi di seguito sinteticamente riportati.

1. La violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine ai criteri di valutazione della prova, poichè la Corte non aveva preso in considerazione le dichiarazioni del teste D., che scagionavano il S., che riconduceva la causazione del sinistro al fenomeno dell’"aquaplanning" e riferiva che l’assunzione della bevanda alcolica da parte del S. fu successiva ad esso, contestando le argomentazioni opposte dalla Corte in proposito e dolendosi che il giudice a quo non avesse rispettato il canone introdotto dalla L. n. 46 del 2006 del "ragionevole dubbio". 2. La violazione di legge in relazione all’art. 186 C.d.S., comma 2 e all’art. 2 c.p. nonchè il vizio motivazionale, contestando la ritualità dell’accertamento e ribadendo la mancanza di prova circa l’omologazione dell’apparecchio adoperato, della verifica e dei controlli del suo regolare funzionamento, rappresentando la carenza ed illogicità della motivazione addotta al riguardo dalla Corte territoriale.

Assume, inoltre, che, attesa a seguito della modifica del D.L. 117 del 2007, art. 186 con l’introduzione delle tre distinte fattispecie contravvenzionali a seconda del crescente tasso alcolemico verificato, si doveva, a causa dell’accertamento strumentale illegittimo, applicare, ai sensi dell’art. 2 c.p. e volendo ritenere la validità dei dati sintomatici riferiti dal teste C., la più favorevole ipotesi di cui all’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a) e, quindi, ai sensi della novella di cui alla L. n. 120 del 2010, addivenire all’assoluzione perchè il fatto non più previsto dalla legge come reato.

3. L’inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 133 e 163 ss., art. 175 c.p. e della L. n. 689 del 1981, art. 53, ed il relativo vizio motivazionale, contestando la correttezza della motivazione addotta in ordine alla valutazione di adeguatezza delle pena inflitta in primo grado.

Rileva, altresì, l’arbitrario diniego della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna solo sulla base della mancanza di alcuna considerazione specifica da parte del S..

Analoga doglianza viene prospettata in relazione al mancato accoglimento della richiesta della sostituzione della pena detentiva ex L. n. 689 del 1981, art. 53 con quella pecuniaria, con l’ulteriore notazione che, a seguito della novella di cui alla L. n. 120 del 2010, dovrà essere disposta l’applicazione della sanzione sostitutiva del lavoro di pubblica utilità introdotto dalla citata Legge, art. 9 bis.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato e dev’essere respinto.

E’ palese l’aspecificità dei primi due motivi che ripropongono pedissequamente quelle medesime doglianze rappresentate dinanzi al giudice di appello che le ha disattese con motivazione ampia, congrua ed assolutamente plausibile. Ad ogni modo dette censure risultano palesemente infondate.

Invero, la Corte ha fornito adeguata e corretta motivazione laddove ha rilevato il dato di fatto, ammesso anche dalla difesa, della recente assunzione della bevanda alcolica (rhum) da parte del ricorrente e la sintomatologia tipica dello stato di ebbrezza percepita dal teste e verbalizzante C..

Così anche è stato rilevato che nel verbale di accertamenti urgenti della Polizia Stradale era stato dato espressamente atto della regolarità della procedura di omologazione relativa allo strumento (etilometro) utilizzato nè vi era motivo di dubitare che esso fosse stato sottoposto a verifiche di corretto funzionamento, evidenziando persino che l’etilometro adoperato era concepito in modo tale da verificare ed attestare la correttezza del proprio funzionamento. Al riguardo, deve ritenersi che, allorquando l’alcoltest risulti positivo, la difesa dell’imputato deve fornire una prova contraria a tale accertamento, quale, ad esempio, la sussistenza di vizi dello strumento utilizzato, oppure l’utilizzo di una errata metodologia nell’esecuzione dell’aspirazione, non limitandosi a richiedere il deposito della documentazione attestante la regolarità dell’etilometro (cfr. Cass. pen., sez. 4, 15.3.2011, n. 14689, non massimata nel CED).

Quanto alla riprospettazione della tesi difensiva dell’assunzione del rhum successivamente al sinistro, la Corte ha anche a tal riguardo fornito una congrua motivazione, laddove ha rilevato che il teste D. non era stato esaminato circa l’assunzione da parte del S. di bevande alcoliche in un momento anteriore all’incidente prima di porsi alla guida o nel corso del viaggio, evidenziando come l’elevato tasso alcolemico accertato con lo strumento apposito, confortato dalla corrispondente sintomatologia riferita dal verbalizzante, mal si conciliava con un estemporaneo sorso di rhum.

Nè il S., come ben avrebbe potuto, si era peritato di rappresentare l’assunzione dell’alcol post-sinistro alla Polizia Stradale e di valorizzare adeguatamente tale circostanza in sede difensiva.

Del resto, giova rammentare che il nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo" (nel caso di specie, nemmeno allegati, in violazione del principio di "autosufficienza del ricorso" costantemente affermata, in relazione al disposto di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, dalla giurisprudenza civile, ma che trova applicazione anche nell’ambito penale), non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 38424), giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen. Sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv.

239533; conformi: n. 27518 del 2006 Rv. 234604, n. 30440 del 2006 Rv.

236034, n. 4675 del 2007 Rv. 235656). Tale possibilità, peraltro, varrebbe nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme (in cui le sentenze di primo e secondo grado s’integrano completamente a vicenda in un unicum inscindibile, come nel caso di specie), il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (cfr. Cass. pen., sez. 4, 3.2.2009, n. 19710;

conformi: n. 5223 del 2007 Rv. 236130, n. 24667 del 2007 Rv. 237207).

L’accertamento strumentale, dunque, conserva il suo pieno valore probante, sicchè, nonostante la modifica apportata dal D.L. n. 117 del 2007 (conv. in L. n. 160 del 2007) con l’introduzione delle tre fasce di autonomi reati progressivamente più gravi in corrispondenza dei diversi e sempre più elevati tassi alcolemici indicati, non si può ritenere la sussistenza della residuale e minore (e più favorevole, in assenza di elementi di misurazione certi) ipotesi dell’art. 186 C.d.S., comma 2, lett. a), ora depenalizzata per effetto della L. n. 120 del 2010.

Infondata è altresì l’ultima censura relativa alla misura della pena inflitta, dal momento che la valutazione dei vari elementi per quanto riguarda in generale la dosimetria della pena, rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio, se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p., è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Evenienza che qui deve senz’altro escludersi avendo il giudice argomentato con riferimento alla gravità del fatto, tenendo conto, altresì, del sinistro stradale, del percepibile stato di alterazione psicofisica e del non modesto livello alcolemico. Inoltre, si ritiene sufficiente ed adeguata la motivazione con cui il Giudice a quo ha giustificato il rigetto dei benefici della sospensione condizionale e della non menzione della condanna avendo rilevato che la richiesta di tali benefici non era stata accompagnata da alcuna allegazione specifica ad opera del S.. Inoltre, nel fornire, come sopra anticipato, adeguata motivazione circa la congruità della pena inflitta e l’opportunità della conferma "in toto" della sentenza impugnata, la Corte territoriale ha evidentemente inteso disattendere ogni altra istanza formulata con i motivi d’appello, come quella della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria nonchè la odiernamente rappresentata sostituzione della pena con il lavoro per pubblica utilità (prevista dal D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 54) di cui all’art. 186 C.d.S., comma 9 bis, introdotto, nelle more del giudizio di appello, dalla L. 29 luglio 2010, n. 120, art. 33.

Invero la concessione di tutti i benefici suddetti non costituisce certo un obbligo per il giudice di merito ma è solo rimessa alla sua facoltà.

Orbene, il giudice di appello al quale sia dalla legge attribuito un potere discrezionale deve fornire adeguata motivazione nella sentenza solo se eserciti tale potere o non lo eserciti nonostante sia stato motivatamente sollecitato a farlo dall’imputato o dal difensore:

insomma occorre pur sempre che il ricorrente indichi gli elementi di fatto in base ai quali il giudice avrebbe potuto ragionevolmente e fondatamente esercitarlo (Cass. pen. Sez. 6, n. 12358 del 3.11.1998, Rv. 212325 ed altre successive conformi): ma a tanto non risulta aver provveduto il ricorrente che si limitò ad invocare detti benefici senza addurre la benchè minima ragione a sostegno del loro accoglimento.

Il ricorso va pertanto rigettato, ed a tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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