T.A.R. Sicilia Palermo Sez. II, Sent., 20-12-2011, n. 2418

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.Con ricorso notificato il 6 agosto 2007, P. P. ha esposto di gestire dal 2004, in uno stabilimento sito in Partanna, località San BiagioFontana, c.da Santa Lucia, l’attività di allevamento di ovini in precedenza esercitata, per circa quarant’anni, dal nonno, Luigi Lombardo.

La stalla collettiva ove è ubicata l’attività era stata costruita nel 1968 dopo il terremoto che aveva colpito la valle del Belice, e, a detta del ricorrente, era stata appositamente dotata dai precedenti gestori di box e tettoie per il ricovero di animali.

Costoro, tra cui il nonno del P., aveva utilizzato l’area a titolo di comodato precario a fronte di un contratto stipulato con la proprietaria originaria del terreno, Antonietta Emanuela, alla quale esso era stato espropriato dallo Stato nel 1971 ex art. 22 quater del DL 79/68, anche se il decreto di esproprio era stato trascritto solo nell’anno 2000 senza che né la proprietaria originaria né i comodatari né tantomeno il P., subentrato al nonno nell’attività di allevamento solo nel 2004, ne avessero conoscenza.

A seguito di sopralluoghi di tecnici ASL e tecnici comunali, al P. veniva notificata l’ordinanza impugnata, datata 4 luglio 2007, con la quale il Comune di Partanna ordinava, per motivi igienico sanitari, di abusivismo edilizio e di occupazione abusiva, il rilascio dell’area in questione, in quanto in essa non era possibile l’allevamento di bestiame (non trattandosi di zona E) e stante l’esistenza di diversi manufatti abusivi.

1.1. Avverso tale provvedimento il P. lamentava in primo luogo l’incompetenza dell’amministrazione procedente ed inoltre una serie di vizi di legittimità e precisamente: violazione dell’art. 7 L. 241/90 per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento; difetto di motivazione; carenza di potere in ordine alla intimazione di liberazione dell’area; assenza di opere abusive; mancato rispetto dei termini di ingiunzione e di notifica dell’ordinanza di cui alla l.r. 37/1985; irragionevolezza della motivazione per insussistenza di invasione arbitraria di bene pubblico; illegittimità dell’esercizio di autotutela possessoria; mancanza di interesse pubblico all’adozione dell’ordinanza n. 17 del 2007; infondatezza della motivazione in ordine alla contestazione di illegittimo esercizio di attività di allevamento.

2. Si costituiva il Comune di Partanna, chiedendo il rigetto del ricorso e confutando punto per punto le doglianze avversarie.

3. Alla camera di consiglio del 25 settembre 2007 questa Sezione accoglieva la sospensiva sotto il profilo del pregiudizio grave e irreparabile.

4. In vista dell’udienza pubblica, il Comune di Partanna depositava memorie e documenti.

5. All’udienza del 24 novembre 2011, il collegio tratteneva la causa in decisione.

Motivi della decisione

1. Il ricorso non può essere accolto e risulta manifestamente infondato, per le ragioni di seguito esposte.

Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di incompetenza dell’amministrazione comunale all’emissione dell’ordinanza di sgombero.

Secondo il P., poiché l’area in questione era stata espropriata dallo Stato ed acquisita al demanio nel 1971, a seguito dell’art. 22 quater del D.L. 79/68 seguito al noto terremoto della Valle del Belice, la competenza in ordine alla stessa non avrebbe potuto essere comunale ma sempre statale.

Non sarebbe applicabile al caso di specie l’art. 12 della L. 21/1970, che dispone l’acquisizione al demanio comunale delle aree espropriate man mano che la baracche sono eliminate, posto che la contrada in questione non sarebbe interamente sbaraccata, a nulla valendo la circostanza che il Genio Civile, nel 2000, avrebbe consegnato le aree suddette al Comune di Partanna, trattandosi di consegna in uso ma non in proprietà.

1.1. L’eccezione non ha pregio.

L’art. 12 della L. 5 febbraio 1970 n. 21 stabilisce che " Le aree espropriate ai sensi dell’articolo 22- quater del D.L. 27 febbraio 1968, n. 79, convertito, con modificazioni, nella L. 18 marzo 1968, n. 241, aggiunto dall’art. 2 della L. 29 luglio 1968, n. 858, sono acquisite gratuitamente dal comune di mano in mano che sono eliminate le baracche, sempre che non ne sia disposta l’utilizzazione per esigenze previste dallo stesso D.L. 27 febbraio 1968, n. 79, convertito, con modificazioni, nella L. 18 marzo 1968, n. 241, dalla L. 29 luglio 1968, n. 858, e dalla presente legge. Le aree anzidette sono consegnate al comune previa rimozione, da parte dell’ufficio del genio civile, delle baracche su di esse installate. "

La norma è chiarissima e non necessita di complesse interpretazioni: una volta che un’area adibita a baraccopoli post sisma venga privata delle costruzioni provvisorie, il Genio Civile provvede a consegnarla al Comune, che, di diritto, l’acquisisce al proprio patrimonio.

Nel verbale di consegna provvisoria del Genio Civile datato 10 luglio 2000 (doc. 5 prod. Comune di Partanna) è evidente che la fattispecie di cui sopra sia interamente perfezionata: il Genio Civile dà atto che sono " cessati i motivi che hanno determinato l’espropriazione di cui sopra " (n.d.r. allo Stato) e che quindi le aree in oggetto " possono essere consegnate all’Amministrazione comunale di Partanna ai sensi dell’art. 12 della Legge 21 del 5.2.1970"); le stesse aree vengono qualificate come " ex baraccopoli"; contestualmente si dà atto che ai Comuni viene trasferito " l’onere della manutenzione, vigilanza e quant’altro previsto dalla disposizione legislativa vigente" e che " l’Amministrazione Comunale assumerà ogni altra iniziativa utile per il risanamento ambientale delle aree e per ottenerne il completo utilizzo".

Quindi, posto che la zona in questione era pacificamente una ex baraccopoli, non si può fare questione, come invece fa il ricorrente, della esistenza di residui edifici per arrivare a ritenere che il passaggio al Comune non fosse completato.

In ogni caso, poichè il provvedimento del Genio Civile del luglio 2000 è a presupposto della attribuzione di competenza in capo al Comune, il ricorrente, per contestarlo sotto questo profilo, avrebbe dovuto impugnarlo se attributivo di una competenza illegittima, cosa che invece non ha fatto.

2. Con il secondo motivo di ricorso, il P. denuncia l’assenza di qualsivoglia comunicazione di avvio del procedimento relativo all’ordinanza di sgombero.

Il motivo è infondato, in quanto, secondo la giurisprudenza maggioritaria, i provvedimenti di sgombero, in quanto provvedimenti vincolati, non necessitano di previa comunicazione di avvio del procedimento, posto che l’eventuale contributo istruttorio dell’interessato risulterebbe del tutto inutile (cfr. T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 03 marzo 2003, n. 374).

Infatti, anche alla luce dell’attuale art. 21 octies della L. 241/90, ove l’atto sia di natura vincolata, la violazione delle norme sulla forma o di quelle procedimentali, ivi inclusa l’omessa comunicazione di avvio del procedimento, non determinano l’annullamento del provvedimento ove appaia palese che il contenuto di quest’ultimo non avrebbe potuto essere diverso.

In particolare, in presenza di occupazione abusiva di aree demaniali, la natura vincolata dell’ordine di sgombero renderebbe del tutto superflua la comunicazione di inizio del procedimento (T.A.R. Sardegna, sez. I, 20 aprile 2007, n. 709; sez. I, 20 giugno 2005, n. 1435).

Il collegio è chiaramente a conoscenza di una giurisprudenza che, proprio in relazione alle ordinanze (vincolate) di sgombero relative a aree demaniali abusivamente occupate, ha affermato che " laddove sia in contestazione proprio il presupposto del carattere demaniale dell’area l’amministrazione deve svolgere tale accertamento in contraddittorio con la parte privata previa comunicazione dell’avvio del procedimento." (Consiglio Stato, sez. VI, 02 febbraio 2009, n. 541).

Tuttavia, nel caso concreto, tale carattere non è mai stato in contestazione: il P. nel ricorso non ha mai prospettato di essere proprietario dell’area, bensì ha sostenuto in diritto che semmai la demanialità dell’area doveva ricondursi allo Stato e non al Comune (ma sempre di area demaniale si trattava). In fatto, il ricorrente ha tentato di giustificare una sorta di possesso di buona fede in capo al nonno e suo "dante causa" Luigi Lombardo, ben consapevole che invece con sentenza del 19 maggio 2000 n. 905 era stata sancita l’inoppugnabilità dell’ordinanza del Comune di Partanna n. 168 del 28.4.1994, con la quale era stato ordinato al Lombardo lo sgombero della stalla in questione.

In pratica, sulla base della incontestata ed incontestabile demanialità dell’area oggetto del provvedimento impugnato, il Comune non poteva che ordinare lo sgombero immediato prescindendo da qualsiasi comunicazione di avvio del procedimento, che, nel caso concreto, sarebbe risultata del tutto superflua.

3. Infondato è anche il terzo motivo, con il quale il ricorrente lamenta, a diverso titolo, una serie di vizi del provvedimento.

3.1. In primo luogo (3/A), egli deduce la contraddittorietà della motivazione dell’ordinanza impugnata nonché la carenza di potere dell’organo emittente nella parte in cui ordina lo sgombero per ragioni di tipo igienico sanitario, in quanto il Dirigente del IV Settore non risulterebbe per legge titolare del potere di ordinanza in ambito sanitario, che spetta unicamente al Sindaco.

A ciò si aggiunga che le condizioni igienicosanitarie del sito non sarebbero tali da giustificare l’emissione del provvedimento in questione.

3.1. 1.Il motivo è infondato.

Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, l’ordinanza impugnata non è stata emessa ai sensi degli artt. 50 e 54 del d.lgs. 267/2000 (artt. 125 e 679 del testo coordinato delle leggi regionali relative all’ordinamento degli enti locali pubblicato in GURS 9 maggio 2008 n. 20), i quali disciplinano rispettivamente le competenze del Sindaco come capo dell’ente locale e come ufficiale del Governo.

Tali norme fanno, infatti, riferimento ad emergenze di tipo sanitario o di ordine pubblico che determinano la necessità di emissione di ordinanze contingibili ed urgenti, come tali, per l’appunto, caratterizzate dall’indicazione delle ragioni di urgenza ed emergenza che ne hanno determinato l’adozione, intendendosi come tale l’urgente necessità di provvedere con efficacia ed immediatezza nei casi di pericolo attuale od imminente.

Si tratta, come noto, di provvedimenti utilizzabili solo per affrontare situazioni di carattere eccezionale ed imprevisto, costituenti concreta minaccia per la pubblica incolumità, per le quali sia impossibile utilizzare i normali mezzi apprestati dall’ordinamento giuridico in presenza di un preventivo accertamento della situazione che deve fondarsi su prove concrete e non sue mere presunzioni, anche se l’obiettivo può essere di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità dei cittadini (così T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 18 gennaio 2011, n. 255).

Tali ordinanze presentano anche il carattere della provvisorietà, intesa nel duplice senso di imposizione di misure non definitive e di efficacia temporalmente limitata. Sicché non si ammette che l’ordinanza in oggetto venga emanata per fronteggiare esigenze prevedibili e permanenti ovvero per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi permanenti ovvero per regolare stabilmente una situazione od assetto di interessi (in questo senso ex multis T.A.R. Campania Napoli, sez. V, 29 dicembre 2010, n. 28169).

Orbene, nel caso concreto l’ordinanza non solo era stata preceduta da accertamenti dettagliati e, quindi, emessa sulla base di attente valutazioni degli organi preposti, ma aveva lo scopo di regolare in maniera definitiva la situazione della cd. stalla comunale in contrada Santa Lucia, non potendosi ritenere neppure un’ordinanza afferente alla materia sanitaria, bensì più propriamente a quella dell’uso del territorio.

Pertanto, non vi sono dubbi sul fatto che la competenza in ordine alla emissione della stessa spetti pacificamente ai dirigenti ex art. 107 del d.lgs. 267/2000 (art. 275 del testo coordinato, cit), i quali hanno le competenze di " lett. g) tutti i provvedimenti di sospensione dei lavori, abbattimento e riduzione in pristino di competenza comunale, nonché i poteri di vigilanza edilizia e di irrogazione delle sanzioni amministrative previsti dalla vigente legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione dell’abusivismo edilizio e paesaggisticoambientale".

In relazione a questo, il IV Settore – Servizi alla Città del Comune di Partanna comprende, tra le varie attribuzioni, sia il servizio igienico ambientale, sia quello di gestione del patrimonio immobiliare (cfr. delibera n. 309 del 2005, doc. 11 prod. Comune). Pertanto il responsabile di tale Settore era perfettamente legittimato all’emissione dell’ordinanza alla stregua di un atto di autotutela del patrimonio immobiliare del Comune, avendo quale presupposto gli accertamenti condotti dalle autorità preposte alle materie in questione, dei quali l’ordinanza ha dato ampio conto nella sua parte motiva.

Si tratta di un’attività annoverabile tra quelle di autotutela sui beni pubblici, ai sensi dell’art. 823 c.c., che si sostanzia, nella generalità dei casi, negli ordini di riduzione in pristino stato dei luoghi occupati e, quindi, nello sgombero da tutto ciò che impedisce la fruizione del bene in base allo scopo cui è destinato.

Nel caso di specie, l’intera area, oltre che demaniale e quindi illegittimamente occupata dal P. al di fuori di qualsivoglia provvedimento concessorio, è destinata non a verde agricolo ma ad area " parco per lo sport".

Il Dirigente, pertanto, aveva tutto il diritto e la competenza per agire con le modalità utilizzate.

3.2. Con la seconda parte del terzo motivo (3/B) il P. lamenta il suo difetto di legittimazione passiva in relazione alle opere abusive rinvenute sui luoghi oggetto delle rilevazioni della polizia comunale e, quindi, dell’ordinanza di sgombero. Tali opere potrebbero essere state costruite o dal precedente possessore (il nonno, Lombardo Luigi), o dal vicino concessionario di un allevamento di cavalli, Marinesi Filippo.

Si tratterebbe, in ogni caso, di opere pertinenziali non demolibili ma sanabili previo pagamento di una sanzione pecuniaria.

3.2.1. Anche questo motivo è infondato.

Il Comune ha condotto, e documentato, una minuziosa istruttoria sui fabbricati in questione (cfr. nota del Comando di Polizia municipale prot. 950/E del 12.5.2008 nonché relazione dell’ufficio tecnico comunale prot. 21119 del 1 ottobre 2007, sulla cui scorta è stata emanata la diffida del 25 luglio 2008, impugnata dal P. avanti a questa Sezione, che ha nuovamente ingiunto la demolizione, e che è tuttora efficace in quanto la domanda di sospensione della medesima è stata respinta da questa sezione con ordinanza 1250/2008 (ricorso n. 2123/08), che ha dato atto dell’assenza di titolo abilitativo).

A parte questo, nella assoluta incontestabilità della detenzione dell’allevamento di ovini da parte del ricorrente sul fondo in questione, e senza alcun titolo abilitativo, deve applicarsi la giurisprudenza, ormai costante, che l’ordine di demolizione debba essere rivolto non solo contro l’autore dell’opera abusiva ma anche contro colui che risulta proprietario delle opere o comunque le detenga e ne abbia la disponibilità (cfr. recentissima Consiglio Stato, sez. IV, 12 aprile 2011, n. 2266, secondo cui in materia di abusi edilizi, destinatario dell’ordine di demolizione è quel soggetto che abbia la disponibilità dell’opera, indipendentemente dal fatto che l’abbia concretamente realizzata, circostanza, questa, che potrebbe rilevare sotto il profilo della responsabilità penale, ma non ai fini della legittimità dell’ordine di demolizione).

3.2.2. Per ciò che concerne la lamentata eccessività della demolizione in alternativa a sanzioni più blande, va ricordato che ai sensi dell’art. 35 del D.P.R. 380/2001 ("Interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici") "1. Qualora sia accertata la realizzazione, da parte di soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 28, di interventi in assenza di permesso di costruire, ovvero in totale o parziale difformità dal medesimo, su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, il dirigente o il responsabile dell’ufficio, previa diffida non rinnovabile, ordina al responsabile dell’abuso la demolizione ed il ripristino dello stato dei luoghi, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo. (omissis..)…..3bis. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche agli interventi edilizi di cui all’articolo 22, comma 3, eseguiti in assenza di denuncia di inizio attività, ovvero in totale o parziale difformità dalla stessa".

Ciò significa che la sanzione adottata era l’unica possibile alla luce del regime pubblicistico del suolo sul quale gli abusi sono stati realizzati.

3.3. Con la terza parte del terzo motivo (3/C), il ricorrente lamenta l’inosservanza del termine di legge per la notifica dell’ordinanza di demolizione e la mancata notifica all’ente proprietario del suolo.

3.3.1. Anche questo motivo è da respingere.

Il Consiglio di Stato ha ribadito in più occasioni (da ultimo 2266/2011, cit.) che dall’art. 14 l. n. 47/1985 (attualmente art. 35 D.P.R. 380/2001) – il quale prevede, per le opere abusive eseguite su suoli del demanio o del patrimonio dello Stato o di enti pubblici, che i dirigenti responsabili ordinino la demolizione, dandone comunicazione all’ente proprietario del suolo – risulta con chiarezza che la comunicazione all’ente proprietario del suolo abbia una mera funzione conoscitiva, per rendere edotto l’ente delle vicende relative al bene di cui esso ente è proprietario. In alcun modo si può ritenere che tale comunicazione sia un requisito di legittimità dell’ordine di demolizione.

Quanto ai novanta giorni che per legge (art. 31 D.P.R. 380/2001) dovrebbero essere concessi al privato per provvedere da sé alla riduzione in pristino, essi non valgono quando si tratta della speciale disciplina della demolizione su suolo pubblico.

Infatti, l’art. 35 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 detta una disciplina ad hoc con riferimento ai manufatti abusivi realizzati su suolo di proprietà di enti pubblici che non prevede la necessaria concessione di un termine di novanta giorni, ma solo una previa diffida non rinnovabile al responsabile dell’abuso, di procedere alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi. Tale disciplina, differente rispetto a quella ordinaria dettata dall’art. 31 del T.U. dell’edilizia e che non provvede l’irrogazione di sanzioni pecuniarie, trova la sua giustificazione, nella peculiare gravità della condotta sanzionata, che riguarda la costruzione di opere abusive su suoli pubblici (T.A.R. Abruzzo Pescara Sez. I, 14012010, n. 23).

3.4 Con la quarta parte del terzo motivo (3/D) il P. sostiene di aver preso in consegna i capi di bestiame che si trovavano allocati nella stalla, gestita dal nonno, il quale, a sua volta, riteneva di detenere il fondo sulla scorta di un titolo apparentemente valido, ossia il contratto di comodato stipulato con le precedenti proprietarie. Proprio questo fatto del possesso uti dominus esercitato prima dal nonno, poi dal nipote, renderebbe del tutto illegittima l’accusa di arbitraria invasione di beni.

3.4.1. Il motivo è manifestamente infondato, sulla scorta di quanto già affermato in ordine alla assoluta mancanza di titolo possessorio in capo al dante causa del ricorrente, sig. Lombardo, nei cui confronti questo Tribunale (sentenza del 19 maggio 2000 n. 905) aveva già sancito l’inoppugnabilità dell’ordinanza del Comune di Partanna n. 168 del 28.4.1994 con la quale era stato ordinato al Lombardo lo sgombero della stalla in questione.

3.5. Con la quinta parte del terzo motivo (3/E) e con il quarto motivo il ricorrente contesta l’esercizio dell’autotutela possessoria in quanto non vi sarebbe interesse pubblico allo sgombero dell’area, posto che tale interesse sarebbe venuto meno in ragione del notevole tempo passato dall’impossessamento (prima del nonno sig. Lombardo, poi del nipote, odierno ricorrente); inoltre, l’impossessamento non avrebbe privato la collettività del godimento del bene pubblico e non avrebbe modificato una situazione preesistente; infine, non sussisterebbero i requisiti del 1168 c.c., richiesti anche per l’esercizio dell’autotutela possessoria su beni pubblici.

3.5.1. Anche tale doglianza è infondata.

E’ pacificamente assodato e costantemente ribadito in giurisprudenza che la demanialità è un bene indisponibile da parte della stessa Amministrazione, che può rinunciarvi solo attraverso l’apposito procedimento previsto dalla legge (sul punto cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 17 marzo 2010, n. 1566) ma non in via di fatto, al punto che il mancato rinnovo di una concessione demaniale o la mancanza di un provvedimento di sgombero non implicano sdemanializzazione implicita.

Nel caso concreto, in assenza di qualsivoglia concessione, vi era stato già nei confronti del Lombardo un primo provvedimento di sgombero, poi ribadito nei confronti del nipote.

L’interesse pubblico dell’Amministrazione comunale a rientrare in possesso del fondo appare dunque implicito nella natura del bene.

Né appare calzante la doglianza che pretenderebbe, anche in tale contesto, la ricorrenza dei presupposti per l’esperibilità delle azioni possessorie ex art. 1168 cc: infatti, l’esercizio del potere di autotutela demaniale non incontra limiti temporali in alcuna disposizione legislativa, nè un tale limite (un anno dal sofferto spoglio) può essere desunto in via analogica dagli art. 1168 ss. c.c., che disciplinano la tutela possessoria di diritto privato, stante l’eterogeneità degli istituti posti in comparazione (ex multis T.A.R. Sicilia Palermo, sez. II, 15 novembre 2002, n. 3896).

Tutto ciò è sufficiente a giustificare l’ordinanza di sgombero, a prescindere da quella che è la situazione sanitaria dell’area, determinata dalla presenza di decine di ovini in strutture non idonee ad ospitarli conformemente alle leggi vigenti (cfr. documentazione attestante l’inesistenza di idonei scarichi per lo smaltimenti dei reflui).

4. Alla luce delle motivazioni sopra esposte, il ricorso presentato appare manifestamente destituito di fondamento, trattandosi di una situazione di fatto sostanzialmente incontestata ed in ordine alla quale il ricorrente ha prospettato questioni di diritto pacificamente infondate e non suscettibili di accoglimento.

Non può tralasciarsi anche la circostanza che egli abbia ripetutamente affermato di godere di una situazione possessoria pacifica ed incontestata, ereditata da quella del nonno, laddove costui è risultato destinatario di un provvedimento di sgombero, nel 1994, divenuto inoppugnabile.

Sussistono dunque ragioni di manifesta infondatezza tali da consentire la revoca del gratuito patrocinio (disposto con provvedimento di questo Tribunale del 4 settembre 2007) ai sensi del combinato disposto degli artt. 74 e 136 del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.

Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Seconda) respinge il ricorso in epigrafe.

Dispone la revoca del gratuito patrocinio concesso con provvedimento di questoTtribunale del 4 settembre 2007.

Condanna P.P. al pagamento delle spese processuali in favore del Comune di Partanna in persona del Sindaco p.t., che liquida in complessivi Euro 1500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA, Cap ed accessori di legge.

Manda alla Segreteria di curare il recupero del contribuito unificato non versato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *