Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-05-2012, n. 8363 Azioni a difesa della proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 15.5.2001 la Fondazione ENASARCO, quale proprietaria di un immobile occupato da D.M., lo citò al giudizio del tribunale di Roma, al fine di sentirlo condannare al relativo rilascio, in quanto detenuto senza titolo. Costituitosi il convenuto, resisteva alla domanda, segnatamente ed in via preliminare eccependo il proprio difetto di legittimazione, essendo egli figlio convivente del conduttore dell’alloggio, D.P..

Espletata prova testimoniale, la domanda venne accolta dall’adito Tribunale con sentenza n. 1826/04, confermata, con condanna dell’appellante alle ulteriori spese, da quella in data 16.9.09- 20.7.10 della Corte d’Appello di Roma, che ribadiva la legittimazione passiva del convenuto e la relativa detenzione senza titolo dell’alloggio, essendo stato questo abbandonato dal padre conduttore, da anni trasferitosi altrove.

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il D., deducendo quattro motivi, cui resisteva l’ENASARCO con controricorso.

Con relazione ex art. 380 bis c.p.c. il consigliere designato per l’esame preliminare proponeva la reiezione del ricorso per manifesta infondatezza, ma il collegio, non ravvisando le condizioni per la definizione in sede camerale, con ordinanza del 13/22.12.11 disponeva la trattazione in pubblica udienza. Vi è una memoria per il controricorrente.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente censura, per violazione dell’art. 948 c.p.c., la decisione impugnata, per avere affermato la legittimazione passiva del convenuto, nonostante egli fosse convivente con il padre ed avesse opposto la locazione stipulata da quest’ultimo.

Con il secondo motivo si deduce omessa ed insufficiente motivazione, lamentandosi che la corte di merito non avrebbe preso in adeguata considerazione la validità e persistenza del contratto di locazione di cui sopra.

Con il terzo motivo si deduce contraddittorietà della motivazione, con riferimento all’affermazione dell’intervenuta cessazione della locazione intercorrente con il padre del convenuto e l’abbandono dell’appartamento, circostanze che sarebbero smentite dalla stessa richiamata dichiarazione testimoniale e dalle prove documentali.

Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c., per avere il giudice posto a base del proprio convincimento unicamente una dichiarazione testimoniale, peraltro incompleta, immotivatamente ignorando le prove documentali.

I motivi vanno tutti respinti.

Per quanto attiene al primo, va osservato che la legittimazione passiva sia nell’azione reale di rivendicazione, sia in quella personale di rilascio per detenzione senza titolo, compete al soggetto che, secondo la prospettazione attorea, sia di fatto ed illegittimamente nel possesso o nella detenzione del bene preteso.

Nel caso di specie la domanda rivendicativa era stata proposta nei confronti di D.M., sostenendosi che il medesimo detenesse, senza titolo alcuno, l’immobile di proprietà dell’ente attore, pretendendone, per tale ragione il rilascio, sicchè, poco o punto rilevando la qualificazione della domanda in termini reali (come, peraltro, correttamente ritenuto dai giudici di merito) o personali, identificandosi comunque il convenuto nel destinatario di tale pretesa, riguardando le ragioni opposte con l’eccezione la sussistenza di un rapporto, asseritamente giustificante detta detenzione, ogni relativa questione atteneva al merito della controversia e non alla legittimazione passiva.

Il secondo motivo è manifestamente infondato, deducendo una insussistente carenza di motivazione, avendo i giudici di merito fornito adeguata spiegazione delle ragioni, secondo cui l’intervenuta cessazione del rapporto locatizio tra l’attore ed il padre del convenuto, a seguito dell’abbandono e del trasferimento altrove del conduttore, non consentiva al secondo di permanere nel godimento dell’alloggio, ratio decidendi esauriente e logicamente coerente, che, non attaccata sotto il profilo dell’eventuale violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, risulta esente in questa sede da censure ai sensi del n. 5 dell’articolo citato.

Il terzo e quarto motivo,la cui connessione ne comporta l’esame congiunto, sono palesemente inammissibili, poichè si risolvono in censure in fatto, avverso la valutazione della prova compiuta dal giudice di merito, deducendone l’insufficienza e l’inadeguata valutazione, senza tuttavia riportarne, sia pure nelle parti ritenute favorevoli alla propria tesi, il contenuto, altresì incorrendo in analogo difetto di autosufficienza, nel generico riferimento ai documenti (auotocertificazione, lettere raccomandate, autorizzazione della Questura) che i giudici di merito non avrebbero valutato, senza neppure precisare la rilevanza specifica ai fini della dedotta tesi della perduranza del rapporto locatizio paterno.

Il ricorso va, conclusivamente, respinto. Le spese, infine, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali in favore del resistente,che liquida in complessivi Euro 2.200,00 di cui 200,00 per esborsi.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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