Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-05-2012, n. 8358 Distanze legali tra costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

C.A., con atto di citazione del 3 giugno 1992 conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Patti G.G. e M.W. deducendo che gli stessi stavano costruendo un manufatto a distanza illegale rispetto al loro fabbricato sito nella frazione (OMISSIS), recando pregiudizio al loro diritto di veduta, luce ed aria, chiedeva che il Tribunale, dichiarata l’illegittimità dei lavori eseguiti, condannasse i convenuti alla riduzione in pristino dei luoghi, vietando l’esecuzione di ulteriori opere a distanza illegale ed al risarcimento dei danni che sarebbero stati provati in corso di causa.

Si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda e il risarcimento per la sospensione dei lavori.

Il Tribunale di Patti con sentenza n. 3313 del 2001 dichiarava l’illegittimità delle opere realizzate perchè a distanza inferiore a dieci metri dalla parete finestrata dell’attrice. Condannava i convenuti a pagare all’attrice a titolo di risarcimento danni la somma di L. 42.000.000.

Avverso tale sentenza interponeva appello G.G. e M.W., chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria proposta da C.A., in subordine di limitare il risarcimento alla diminuzione di valore del fabbricato C., o ancora alla somma corrispondente alla diminuzione di valore del fabbricato e alle spese di demolizione non sostenute dagli appellanti.

Si costituiva C.A. chiedendo il rigetto dell’appello principale, e proponeva appello incidentale per la condanna di G.G. e M.W. alla demolizione della parte del loro fabbricato costruito in violazione delle norme sulle distanze. In subordine, chiedeva di quantificare il danno subito in Euro 50.000,00.

La Corte di Appello di Messina con sentenza n. 466 del 2007 rigettava l’appello proposto ed, in accoglimento dell’appello incidentale, condannava G.G. e M.W. a demolire la parte di fabbricato di loro proprietà, arretrando la costruzione fino a m. 10 dalla parete fronte stante finestrata del fabbricato di proprietà C.. A sostegno di questa decisione la Corte messinese osservava:

a) il fabbricato degli appellanti essendo stato costruito in zona B3 ed essendo vietate in detta zona chiostrine avrebbe dovuto rispettare la distanza minima di m. 10 prevista nella zona anzidetta tra pareti finestrate. b) E’ pacifico che in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile o dalle norme integrative dello stesso quali i regolamenti edilizi comunali al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria.

La cassazione della sentenza della Corte messinese è stata chiesta da G. e M. con atto di ricorso affidato a tre motivi, illustrati con memoria; C.A. ha resistito con controricorso, formulando, altresì, un doppio ricorso incidentale condizionato ciascuno affidato ad un motivo.

G.G. e M.W. hanno resistito al ricorso incidentale con controricorso, illustrato con la memoria di cui si è già detto.

Motivi della decisione

A.= Ricorso principale.

1.= Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione di legge: art. 872 c.c., L.R. n. 21 del 1973, art. 28 con riferimento al decr. Regione Siciliana 01 luglio 1981, n. 244/81 che approva il P.R. generale del Comune di Patti, nonchè alle norme tecniche del P.R. del Comune di Patti e al Regolamento edilizio del Comune di Patti del 24 febbraio 1982 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè l’omessa e/o insufficiente motivazione su fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti, la Corte messinese nell’aver applicato al caso di specie l’art. 8 delle norme di attuazione del piano regolatore generale di Patti che vieta nelle zone B3 la realizzazione di cortile e chiostrine, avrebbe erroneamente interpretato l’art. 5 delle stesse norme di attuazione al regolamento urbanistico, le quali prevedono, in palese deroga, alle ulteriori norme urbanistiche vigenti, che in tutte le zone B siano consentiti, mediante singole concessioni, interventi di nuove costruzioni in lotti di terreno, aventi una superficie non superiore a mq. 120, con densità edilizia fondiaria massima di 9 mc/mq e altezza massima di 11 metri. E di più, sostengono i ricorrenti, il divieto contenuto nell’art. 8 delle norme tecniche di attuazione di realizzare cortile e chiostrine "non può avere rilevanza in questa sede processuale perchè "in ogni caso la realizzazione della chiostrina è precedente alla realizzazione della norma di cui si tratta". Secondo i ricorrenti, la Corte messinese non si sarebbe dato carico, neppure,, di verificare la fondatezza o meno delle contestazioni sollevate dalla difesa degli odierni ricorrenti in ordine alle valutazioni che caratterizzano la consulenza tecnica di ufficio. E sarebbe questa un’omissione rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per il fatto che si è assunta come fondamento della decisione una situazione oggettiva, che non ha tenuto conto della preesistenza della chiostrina rispetto alla normativa ritenuta applicabile.

1.1 .= Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

1.1.a).= a) E’ inammissibile, per novità della domanda e, comunque, per mancanza degli estremi di autosufficienza, laddove si censura la decisione impugnata per non aver rilevato la preesistenza della chiostrina rispetto alle norme di attuazione del PRG, considerato che i ricorrenti non indicano quando e con quale atto abbiano eccepito la preesistenza della chiostrina rispetto alle norme di attuazione del PRG. In proposito, è appena il caso di ribadire il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel giudizio di cassazione, a parte le questioni rilevabili di ufficio (sulle quali non si sia formato il giudicato), non è consentita la proposizione di doglianze che, modificando la precedente impostazione difensiva, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito e prospettino, comunque, questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti e, quindi, non trattate nella sentenza impugnata. I motivi del ricorso per cassazione devono infatti investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non dedotti nella fase del merito, nè rilevabili d’ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (tra le tante, sentenze 29.05.2007; n. 12506; 10.5.2005 n. 9765; 9.1.2002 n. 194).

1.1.b).= Il motivo è infondato, relativamente alla parte in cui censura la sentenza impugnata per aver applicato il divieto di "costruire cortili e chiostrine" previsto dall’art. 8 delle norme di attuazione del PRG del Comune di Patti, senza aver tenuto conto, secondo i ricorrenti, che quel divieto non era applicabile al caso in esame in ragione della deroga prevista dall’art. 5 delle stesse norme e, comunque, senza aver tenuto conto che la parte non aveva contestato che la realizzazione della chiostrina fosse illegittima, perchè le deroghe previste dall’art. 5 della norme di attuazione del PRG del Comune di Patti, non ricomprendono anche il divieto di costruire "cortili e chiostrine" in ordine agli edifici ricadenti nella sottozona B3, e, perchè la domanda avanzata dall’attrice denunciando la violazione delle prescrizioni del PRG comprendeva non soltanto la violazione sulle distanze tra fabbricati con pareti finestrate ma, anche, ogni altra violazione delle norme edilizie.

1.1.b.1). E’ giusto il caso di evidenziare che la zona del territorio comunale, indicata, dalle norme di attuazione del PRG del comune di Patti, con il segno grafico "B", è disciplinata dagli artt. 5 -8 di dette norme di attuazione. Questa normativa, intanto la norma generale di cui all’art. 5, distingue tre ipotesi:

1) una prima ipotesi riguarda la demolizione e ricostruzione di un edificio esistente. Per questa ipotesi la norma stabilisce che sono consentire le trasformazioni per singoli edifici mediante demolizione e ricostruzioni, sopraelevazioni ed ampliamenti nel rispetto di alcuni parametri;

2) una seconda ipotesi riguarda l’attività edilizia relative ad aree libere (sempre della zona B) già dotate di opere di urbanizzazione primaria. Per questa ipotesi viene stabilito: a) che sono consentite, mediante singole concessioni, le costruzioni, con la specificazione, però b) che se la nuova costruzione insiste su lotti la cui superficie non è superiore a 120 mq deve rispondere ad un indice di edificabilità pari 9 mc/mq e può avere un’altezza massima di 11 metri, e b.1) se le nuova costruzione, insiste su lotti la cui superficie è superiore a 120mq., ma inferiore a mq 200, deve rispondere ad un indice di edificabilità di me 1000, ferma restando l’alterezza massima di 11 mt.;

3) una terza ipotesi riguarda le aree inedificate (e ovviamente per esclusione, non provviste di opere di urbanizzazione primaria) e per esse si stabilisce che l’attività edilizia è subordinata alla preventiva approvazione dei piani di lottizzazione (…) redatte in conformità a quanto previsto negli articoli successivi e, cioè, negli artt. 6, 7 e 8. In particolare, l’art. 8 nel disciplinare l’attività edilizia relativa alla sottozona B3 prevede tra l’altro il divieto di costruire cortili e chiostrine.

Ed infine, lo stesso articolo prevede per l’intera zona B la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistante.

1.1.b.2).= Ora, nel caso in esame la Corte messinese ha affermato che la costruzione oggetto di causa apparteneva alla zona B3, cioè, per quel che abbiamo detto, alla sottozona caratterizzata dal fatto di non essere dotata di opere di urbanizzazione primaria, e tale affermazione non sembra sia stata smentita dai ricorrenti. Sicchè la normativa, che andava applicata e, che la Corte messinese correttamente ha applicato, è quella di cui all’art. 8 delle norme di attuazione del PGR del Comune di Patti che prevede il divieto di costruire cortili o chiostrine.

2= Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione o falsa applicazione di legge: art. 2058 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 c.p.c. omessa motivazione su fatto decisivo: art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di appello di Messina nel ritenere non applicabile l’art. 2058 cod. civ. affermando che la norma in esso contenuta non sarebbe riferibile all’ipotesi di violazione di diritti reali. Vero è, specificano i ricorrenti che questa Corte con la sentenza n. 112221 del 1997 si è orientata nel senso indicato dalla Corte di Appello di Messina, tuttavia, sembra potersi proporre un riesame della problematica dovendosi ritenere che la natura del diritto reale leso, conseguente alla violazione delle distanze, non sia incompatibile con il principio fissato dall’art. 2058 cod. civ., comma 2. Per altro, non essendo oggetto di contestazione che nel caso di specie la parziale demolizione dell’immobile, di proprietà degli odierni ricorrenti, oltre che eccessivamente onerosa, risulterebbe estremamente pericolosa, in quanto potrebbe determinare il crollo dell’intero edificio, la comparazione degli interessi contrapposti anche in considerazione del limitato danno patrimoniale conseguente alla pretesa illegittimità dell’opera sembra consentire la prevalenza del diritto di proprietà e del correlativo diritto di abitazione rispetto al diritto reale violato per effetto della pretesa violazione di norme urbanistiche sulle distanze.

Il capo della decisione in esame, risulterebbe, sempre a dire dai ricorrenti, illegittimo per omessa motivazione su un fatto decisivo.

La Corte messinese, fuorviata dall’erronea interpretazione dell’art. 2058 cod. civ. ha omesso di operare quel rapporto tra gli interessi contrapposto dal cui contemperamento avrebbe dovuto verificare se ricorressero o meno le condizioni d’applicabilità dell’art. 2058 cod. civ., comma 2. E di più, la Corte avrebbe totalmente omesso di valutare le conseguenze che la demolizione, anche parziale, determinerebbe.

2.1.= Il motivo è infondato e non può essere accolto perchè la Corte messinese ha correttamente interpretato l’art. 2058 c.c. e ha fatto buon uso della norme di riferimento accogliendo, per altro, un consolidato orientamento di questa Corte.

2.1.a).= Va qui osservato che – come è stato chiarito da questa Corte l’art. 2058 c.c., comma 2, che prevede la possibilità di ordinare il risarcimento del danno per equivalente anzichè la reintegrazione in forma specifica, in caso di eccessiva onerosità di quest’ultima, non trova applicazione nelle azioni intese a far valere un diritto reale la cui tutela esige la rimozione del fatto lesivo, come quella diretta ad ottenere la riduzione in pristino per violazione delle norme sulle distanze, atteso il carattere assoluto del diritto leso (ex multis Cass. N. 11744 del 1 agosto 2003). Il che esclude qualsivoglia accertamento circa l’eccessiva onerosità della demolizione a carico del proprietario; onerosità che nel caso in esame, il proprietario, sollecitando un ulteriore accertamento al riguardo, poggia prevalentemente su un principio di solidarietà sociale, derivato dalla lettura di norme ordinarie (art. 2933 c.c., comma 2) e costituzionali (artt. 42 e 47 Cost.). Epperò, è stato ribadito, in proposito, che le norme del codice civile sulle distanze tra edifici e quelle, ivi richiamate, dei regolamenti edilizi locali, fondano e riconoscono, nelle controversie tra privati, il diritto soggettivo, di colui che si ritenga danneggiato dalla violazione al risarcimento del danno ed alla riduzione in pristino ovvero allo spostamento della costruzione alla distanza prescritta dalle dette parti normative, senza che possa in contrario rilevare il disposto dell’art. 2933 c.c. e l’ivi previsto divieto di distruzione pregiudizievole per l’economia nazionale (Cass. S.U. 14 luglio 1994 n. 6582).

2.1.a.1).= D’altra parte, la norma di cui al capoverso dell’art. 2933 cod. civ., che limita la eseguibilità in forma specifica degli obblighi di non fare nel senso di vietare la distruzione che sia di pregiudizio all’economia nazionale, deve intendersi riferibile "alle sole fonti di produzione e di distribuzione della ricchezza dell’intero paese, e, quindi, al sistema produttivo della nazione", e non anche, come nella fattispecie, allo spostamento della costruzione alla distanza prescritta dalle norme in materia, la cui persistenza, invece, comporta pregiudizio di, pur rilevanti, interessi individuali.

3.= Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2043 c.c. e segg. e art. 2058 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. omessa e/o insufficiente motivazione su fatto decisivo della controversia: art. 360 c.p.c., n. 5. Avrebbe errato la Corte di appello di Messina per non aver disposto la restituzione della somma, liquidata dal Giudice di primo grado, già percepita dalla C. a titolo di risarcimento per equivalente ex art. 2058 cod. civ..

Specificano i ricorrenti che ove dovesse passare in giudicato la statuizione della corte messinese nel senso della demolizione dell’opera, appare di intuitiva evidenza che costituendo tale effetto risarcimento in forma specifica, esso sarebbe incompatibile con il risarcimento per equivalente già acquisito.

3.1.= La censura è fondata e va accolta considerato che le forme di risarcimento danno per equivalente e in forma specifica sono forme alternative e non cumulative.

3.1a).= Va qui osservato che, ai sensi dell’art. 2058 cod. civ., il danneggiato può essere sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli che gli siano derivate da un evento dannoso scaturente da un illecito extracontrattuale, attraverso il risarcimento per equivalente, ovvero quello in forma specifica. Il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica si esplica in una riparazione in natura, consistente nella remissione in pristino, vale a dire nell’eliminazione di quanto illecitamente fatto Viceversa, laddove la reintegrazione in forma specifica non sia possibile, ovvero risulti eccessivamente onerosa, il risarcimento del danno dovrà avvenire per equivalente, cioè mediante un equivalente monetario della perdita subita e del mancato guadagno. Quanto al rapporto tra la domanda di risarcimento mediante reintegrazione in forma specifica e quella per equivalente, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che la seconda costituisce un minus rispetto alla prima, del quale rappresenta il sostitutivo legale mediante la prestazione dell’eadem res debita.

3.1.a.1).= Ora, considerato che il Tribunale aveva già disposto il risarcimento per equivalente sul presupposto dell’eccessiva onerosità della stessa e in applicazione dell’art. 2058 cod. civ., comma 2, la Corte messinese, avendo riformato questo capo della sentenza, disponendo per il risarcimento in forma specifica, avrebbe dovuto disporre l’annullamento di quel capo della sentenza e dunque, la restituzione della somma corrispondente al risarcimento per equivalente se e in quanto medio tempore percepita dall’originaria attrice (signora C.) e/o comunque avrebbe dovuto disporre che la somma di cui si dice non era dovuta dagli attuali ricorrenti.

B.= Ricorso incidentale.

4.= Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato C. A. avanza la richiesta che venga riconosciuto, in applicazione dell’art. 2058 c.c., il diritto al risarcimento per equivalente in un ammontare, che tenga conto del deprezzamento e del pregiudizio patito dalla resistente a seguito della realizzazione a distanza irregolare del fabbricato e connesso alla mancanza di luce e aria del fabbricato di quest’ultima, alla privazione del diritto di veduta di cui godeva fino a quando non è stato realizzato il manufatto di che trattasi, nonchè alla perdita irreversibile dei requisiti di abitabilità della casa della resistente e alla pericolosità che ne deriva per gli immobile e per la stessa incolumità personale di quest’ultima, considerato anche che l’immobile ricade in una zona di elevatissimo rischio sismico.

4.1.= Il motivo, qualificato dalla stessa ricorrente come condizionato all’esito del ricorso principale, rimane assorbito dai motivi del ricorso principale.

5.= Con il secondo motivo del ricorso incidentale C.A. lamenta la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 8972 c.c. dell’art. 8 delle NTA del PRG del Comune di Patti e degli artt. 2043 e 2058 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Secondo la sig.ra C. la Corte messinese pur avendo affermato correttamente che in materie di violazione delle distanze previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito sia quella risarcitoria non ha poi statuito in coerenza.

Pertanto posto che la C. ha richiesto oltre che alla riduzione in pristino anche il risarcimento del danno patito, la Corte avrebbe dovuto disporre il risarcimento del danno patito dall’odierna resistente.

5.1.= Il motivo è inammissibile, sia perchè che la domanda di risarcimento del danno nella fase dell’appello è stata proposta come subordinata, con la conseguente determinazione del superamento per effetto dell’accoglimento della domanda principale (la riduzione in pristino). Nè risulta che in fase di appello l’attuale resistente abbia avanzato autonoma domanda di risarcimento del danno subito in ordine alla violazione delle norme edilizie. Non vi è dubbio che in materia di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, e determinando la suddetta violazione un asservimento di fatto del fondo del vicino, il danno deve ritenersi "in re ipsa", senza necessità di una specifica attività probatoria.

Tuttavia tale domanda presente nel giudizio di primo grado non è stata riproposta in appello, e sulla stessa si è formato il giudicato interno.

In definitiva va accolto il terzo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri motivi del ricorso principale e il ricorso incidentale. La sentenza impugnata, pertanto, va cassata in relazione al motivo accolto e il processo rinviato ad altra sezione della Corte di Appello di Messina, la quale provvederà al regolamento delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia il processo ad altra sezione della Corte di Appello di Messina alla quale è rimesso, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., il regolamento delle spese anche per il presente giudizio di cassazione.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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