Cons. Stato Sez. VI, Sent., 21-12-2011, n. 6773

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. I venticinque ricorrenti in epigrafe – in esito alla notifica, in data 16 marzo 2010, all’Amministrazione resistente DigitPA (già Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione – C.N.I.P.A., a sua volta subentrato all’Autorità per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione – A.I.P.A.), di atto di diffida rimasto inevaso – agiscono per l’ottemperanza al giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale civile di Roma, Sezione Lavoro, n. 20216 del 2004, confermata in appello e passata in giudicato, la quale aveva statuito come segue: "accerta il diritto dei ricorrenti al trattamento economico previsto per il personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e, per l’effetto, condanna la parte convenuta al pagamento delle differenze retributive maturate, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo, e al versamento dei relativi contributi" (v. così, testualmente, la parte dispositiva della sentenza ottemperanda). La sentenza ottemperanda si fonda sull’art. 42, comma 3, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (intitolata "Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali"), recante la previsione dell’applicazione ai dipendenti in questione del trattamento economico previsto per il personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.

2. Questa Sezione, con decisione 5 luglio 2010, n. 4262, accoglieva il ricorso per ottemperanza, ordinando a DigitPA di dare integrale esecuzione all’azionato giudicato civile, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione della decisione (ovvero dalla sua notificazione, se antecedente), e nominando, per il caso di persistenza dell’inottemperanza, il commissario ad acta nella persona del Ragioniere generale dello Stato.

La citata decisione si basa sulla seguente testuale motivazione:

"…2. La DigitPA ha depositato in giudizio, l’11 maggio 2010, memoria difensiva in cui richiama che il contenzioso di cui qui si tratta è scaturito da quanto disposto dall’art. 42, comma 3, della legge n. 675 del 1996, recante la previsione dell’applicazione ai dipendenti in questione del trattamento economico previsto per il personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sulla cui base si è pronunciato il giudice ordinario accogliendo il relativo ricorso; si afferma poi che, pendente il contenzioso, è stata approvata la legge 23 dicembre 2005, n. 266, il cui art. 1, comma 225, dispone che "Ai fini della definizione delle situazioni pendenti, l’articolo 42, comma 3, della legge 31 dicembre 1996, n. 675 per il periodo della sua vigenza si interpreta nel senso che l’applicazione del trattamento economico previsto dal terzo periodo è subordinata alla previa definizione del trattamento giuridico ed economico e dell’ordinamento delle carriere del personale dell’Autorità per l’informatica nella pubblica amministrazione mediante il regolamento previsto dal primo periodo. Dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino alla definizione del regolamento di cui al precedente periodo è sospesa qualsiasi procedura esecutiva relativa a pronunce giurisdizionali non passate in giudicato concernenti l’applicazione del suddetto trattamento economico".

Da ciò consegue, si sostiene, l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso in epigrafe, risultando chiaro dalla norma citata che la sospensione delle procedure esecutive delle pronunce giurisdizionali si deve applicare a quelle non passate in giudicato all’atto dell’entrata in vigore della legge.

Non potendosi affermare, si soggiunge, che a seguito dell’approvazione del d.lgs. n. 177 del 2009 ("Riorganizzazione del Centro Nazionale per l’informatica nella pubblica amministrazione, a norma dell’articolo 24 della legge 18 giugno 2009, n. 69") siano state soddisfatte le condizioni poste dall’art. 1, comma 225, della legge n. 266 del 2005, poiché nel detto d.lgs. è previsto che la definizione del trattamento economico e giuridico del personale è subordinata alla stipulazione del CCNL del comparto, non essendo stati approvati, inoltre, neppure i regolamenti sull’ordinamento dell’Ente, di cui all’art. 6 del medesimo d.lgs., ugualmente necessari ai fini di cui qui si tratta.

La sentenza del giudice ordinario non può perciò essere eseguita né, d’altro lato, è eseguibile, non costituendo titolo esecutivo, ai sensi dell’art. 474 c.p.c., poiché reca una condanna generica, essendo perciò necessario un ulteriore giudizio per la quantificazione del dovuto.

3. Le deduzioni della DigitPA non possono essere accolte.

Infatti,

– la questione dell’applicazione dell’art. 1, comma 225, della legge n. 266 del 2005 non è stata sollevata o comunque esaminata nel corso della vicenda giurisdizionale sopra richiamata, essendo stata pronunciata la sentenza in appello il 26 agosto 2008, dopo più di due anni dall’entrata in vigore della norma, ed essendo stato dichiarato improcedibile il ricorso per cassazione;

– il giudicato si è perciò formato su quanto statuito come regola del caso in controversia dalla sentenza del Tribunale civile di Roma – Sezione Lavoro n. 20216 del 2004, né, coprendo il giudicato il dedotto ed il deducibile, il contenuto della sentenza può essere posto in discussione deducendo successivamente questioni non proposte o esaminate nel processo;

– di conseguenza l’esecuzione della sentenza non è condizionata alla stipulazione del CCNL del comparto o all’approvazione dei regolamenti sull’ordinamento dell’Ente, essendo peraltro precisato nella sentenza il trattamento economico cui equiparare quello dovuto ai ricorrenti, con la sua specifica individuazione, in applicazione della legge, nel trattamento previsto per il personale dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;

– non potendosi, per lo stesso motivo, definire generico, e quindi non eseguibile, il dettato della sentenza stessa.

4. Il ricorso per l’esecuzione del giudicato deve perciò essere accolto ed ordinata l’esecuzione della sentenza del Tribunale civile di Roma – Sezione Lavoro n. 20216 del 2004.

Si deve quindi disporre la completa esecuzione da parte di DigitPA di quanto statuito nella detta sentenza a favore dei ricorrenti…".

3. In esito a tale decisione, DigitPA con deliberazione del Direttore generale n. 21 del 5 agosto 2010 ha istituito un gruppo di lavoro con il compito di svolgere le operazioni per la quantificazione delle spettanze dei ricorrenti e di reperire le risorse finanziarie necessarie per l’esecuzione, ottenendo con ordinanza n. 446 del 10 dicembre 2010 di questa Sezione proroga fino al 23 gennaio 2011 per la liquidazione delle differenze stipendiali.

A conclusione dei lavori (i cui risultati sono stati comunicati al Commissario ad acta), DigitPA con delibera dirigenziale n. 8 del 21 gennaio 2011 autorizzava l’emissione degli ordinativi di pagamento in favore di ventiquattro ricorrenti (mentre, con riferimento alla posizione di Merini Alessandro, escludeva la sussistenza di crediti in favore del dipendente), sulla base dei calcoli effettuati dal gruppo di lavoro, per un importo complessivo di euro 985.616,50. I ventiquattro ordini di pagamento venivano emessi in pari data.

4. Detti ventiquattro ricorrenti, con istanza del 2 maggio 2011 (notificato il 3 maggio 2011 al Commissario ad acta e depositata il 13 maggio 2011), assumevano la natura non satisfativa dell’esecuzione del giudicato e l’applicazione di erronei criteri di quantificazione, sotto i seguenti profili:

A) decorrenza, in quanto DigitPA aveva limitato il calcolo alle spettanze maturate successivamente al 23 luglio 1998 (data di entrata in vigore del regolamento AGCOM del 16 giugno 1998), mentre i ricorrenti pretendono le spettanze dal 1° gennaio 1997, data di entrata in vigore dell’art. 42 l. n. 675 del 1996;

B) posizione retributiva iniziale, in quanto DigitPA, secondo l’assunto dei ricorrenti, avrebbe loro attribuito una classe di stipendio inferiore a quella dovuta (gli stessi, infatti, reclamano l’equiparazione iniziale dei dirigenti al livello 16, dei funzionari al livello 18, degli operativi alla fascia retributiva C8, e degli esecutivi alla fascia retributiva C6);

C) termine finale, in quanto DigitPA aveva limitato il calcolo fino al 29 luglio 2003 (data di entrata in vigore del d.lgs. n. 196 del 2003, abrogativo del citato art. 42), rispettivamente fino alla data di deposito del ricorso ex art. 414 c.p.c. dinanzi al giudice del lavoro (25 settembre 2003), sul presupposto che la sentenza ottemperanda facesse riferimento alle "differenze retributive maturate" (e non anche a quelle future maturande), mentre i ricorrenti sostengono che il trattamento economico reclamato fosse loro riconosciuto anche pro futuro, in via permanente e irreversibile;

D) progressione economica, in quanto DigitPA, secondo l’assunto dei ricorrenti, diversamente dal trattamento applicato al personale AGCOM, avrebbe omesso di applicare la progressione annuale del livello retributivo;

E) voci retributive accessorie (quali il premio annuale, l’indennità di funzione, il premio di presenza, la retribuzione di posizione, l’indennità di collaborazione, l’indennità di cassa), secondo l’assunto dei ricorrenti erroneamente non riconosciute da DigitPA;

F) oneri previdenziali e assicurativi, in quanto DigitPA illegittimamente avrebbe trattenuto la quotaparte delle ritenute a carico dei dipendenti, mentre tali ritenute non potrebbero essere applicate ex post nei casi di recupero di differenze retributive arretrate (con richiamo a Cass. n. 10437/2000);

G) rivalutazione monetaria e interessi, in quanto DigitPA avrebbe versato i soli interessi legali sulle somme nette, mentre la sentenza ottemperanda aveva riconosciuto "interessi legali e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze al saldo".

5. All’udienza camerale del 14 giugno 2011 la causa veniva rinviata al 19 luglio 2011, per consentire la regolare instaurazione del contraddittorio anche nei confronti dell’Amministrazione resistente, la quale si costituiva (patrocinata dall’Avvocatura generale dello Stato) con memoria del 28 giugno 2011, eccependo l’irritualità/irricevibilità dell’avversaria istanza e contestandone comunque la fondatezza nel merito, avendo l’Amministrazione dato piena esecuzione al giudicato.

6. In esito all’udienza del 19 luglio 2011 questa Sezione pronunciava l’ordinanza n. 4750 del 2011, del seguente tenore letterale:

"Ritenuto che, a fronte delle questioni sollevate dagli odierni ricorrenti nell’istanza del 2 maggio 2011 con riguardo alla liquidazione delle differenze retributive loro dovute sulla base della sentenza n. 20216/2004 del Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, passata in giudicato, quale effettuata nella more da DigitPa in esito alla decisione n. 4262/2010 di questa Sezione, s’impone la necessità di incaricare il già nominato Commissario ad acta (in persona del Ragioniere generale dello Stato, o dirigente da lui delegato) di redigere una relazione, in cui lo stesso prenda posizione sulle singole questioni sollevate dai ricorrenti nell’istanza del 2 maggio 2011, e precisamente: (i) decorrenza (sub lett. A. dell’istanza); (ii) posizione retributiva iniziale (sub lett. B.); (iii) termine finale (sub lett. C.) (iv) progressione economica (sub lett. D.); (v) voci retributive accessorie (sub lett. E.); (vi) oneri previdenziali e assicurativi (sub lett. F.); (vii) rivalutazione monetaria e interessi (sub lett. G.);

precisato al riguardo sin d’ora che il Commissario ad acta, nella sua presa di posizione, dovrà tener conto della statuizione della decisione n. 4262/2010 di questa Sezione, secondo cui la questione dell’applicazione dell’art. 1, comma 225, l. n. 266 del 2005 è ormai preclusa nella presente fase esecutiva e "l’esecuzione della sentenza non è condizionata alla stipulazione del CCNL del comparto o all’approvazione dei regolamenti sull’ordinamento dell’Ente" (v. così, testualmente, la citata decisione);

riservata all’esito del deposito della relazione commissariale ogni ulteriore decisione di questo Collegio;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), pronunciando in via interlocutoria in ordine all’istanza del 2 maggio 2011, assegna al Commissario ad acta termine di 50 giorni dalla comunicazione della presente ordinanza per il deposito della relazione di cui in motivazione e degli eventuali allegati presso la Segreteria di questa Sezione;

ordina che a cura della Segreteria gli atti del presente giudizio siano trasmessi in copia alla Ragioneria generale dello Stato, in persona del Ragioniere generale;

fissa per l’ulteriore trattazione l’udienza camerale del 25 ottobre 2011".

7. Il Commissario ad acta, in puntuale esecuzione dell’ordinanza, il 10 ottobre 2011 depositava una relazione, nella quale prendeva posizione sulle singole questioni, ritenendo condivisibile l’operato di DigitPA, ad eccezione della questione relativa agli oneri previdenziali e assicurativi (sub lett. F dell’istanza dei ricorrenti), in quanto la giurisprudenza della Corte di Cassazione escluderebbe il diritto di rivalsa nei confronti dei lavoratori per la quota a carico di questi ultimi.

8. All’udienza del 25 ottobre 2011, il Collegio ai sensi dell’art. 73, comma 3, Cod. proc. amm. sottoponeva al contraddittorio delle parti l’eventuale questione di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 2 lettera c), Cod. proc. amm. – nella parte in cui, mantenendo fermo l’istituto del giudizio di ottemperanza al giudicato civile, attribuisce al giudice amministrativo poteri di accertamento o costitutivi di diritti soggettivi spettanti, per loro natura, al giudice ordinario -, con riferimento ai parametri costituzionali costituiti dagli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost.

9. All’udienza camerale del 25 ottobre 2011 la causa veniva riservata per la decisione, e passava in decisione alla camera di consiglio del 12 dicembre 2011.

DIRITTO

10. L’istanza del 2 maggio 2011, di cui sopra sub 4., va qualificata alla stregua di richiesta di provvedere ai sensi dell’art. 114, comma 4, Cod. proc. amm. sulle questioni relative all’esatta ottemperanza dell’Amministrazione al giudicato civile azionato in giudizio, in esito all’emissione degli ordinativi di pagamento sub 3., di cui i deducenti contestano la piena valenza satisfativa, sicché l’istanza medesima – non già proposta ad impugnazione di atti del Commissario ad acta, il quale, a fronte del pagamento eseguito da DigitPA, correttamente soprassedeva all’adozione di ogni ulteriore attività liquidatoria, con conseguente insussistenza di atti commissariali da impugnare entro termini perentori – deve ritenersi ammissibile sotto uno stretto profilo procedurale. In esito all’integrazione del contraddittorio nei confronti di DigitPA è, altresì, rimasto superato l’iniziale difetto d’integrità del contraddittorio per essere l’istanza in un primo momento stata notificata al solo Commissario ad acta.

L’eccezione d’irricevibilità/inammissibilità, sollevata dalla difesa erariale sotto gli evidenziati profili, è dunque destituita di fondamento.

11. Posta con ciò la rituale costituzione del rapporto processuale, osserva il Collegio che l’istanza deve, invece, declinarsi in rito sotto il profilo, pure trattato dalle parti, dell’inammissibile devoluzione al giudice dell’ottemperanza di questioni di natura cognitoria, essendo l’azione volta all’attuazione di un giudicato del giudice ordinario.

11.1. Affrontando in via preliminare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 2 lett. c), Cod. proc. amm., nella parte in cui devolve il giudice amministrativo il giudizio di ottemperanza al giudicato ordinario formatosi nei confronti della p.a., per contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 113 Cost., sottoposta alla trattazione delle parti all’udienza camerale del 25 ottobre 2011, ritiene il Collegio che la stessa, all’esito di una disanima più approfondita, non superi il vaglio della non manifesta infondatezza per un duplice ordine di considerazioni:

(i) il giudizio di ottemperanza è un rimedio facoltativo e non obbligatorio, rispetto allo strumento di attuazione del giudicato civile costituito dall’ordinario procedimento di esecuzione forzata proponibile dinanzi al giudice ordinario, sicché i due rimedi possono integrarsi e completarsi a vicenda (a seconda della concreta fattispecie processuale e sostanziale dedotta in giudizio), e l’eventuale incompletezza e/o inadeguatezza dello strumentario di tutela nell’ambito di uno dei due rimedi è, in ogni caso, neutralizzata dalla facoltà dell’avente diritto di ricorrere all’altro (v., sul punto, in fattispecie analoga, Corte Cost. n. 406 del 1998, dichiarativa dell’infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 37 l. n. 1034 del 1971, 27, comma 1 n. 4, r.d. n. 1054 del 1924, e 90 e 91 r.d. n. 642 del 1907, sollevata in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 Cost.), per cui una sua eventuale espunzione dall’ordinamento finirebbe per diminuire, anziché aumentare, l’effettività della tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione;

(ii) secondo consolidato orientamento del Consiglio di Stato "nel quadro del giudizio di ottemperanza al giudicato ordinario, rientra nelle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo l’interpretazione della decisione oggetto di tale giudizio, per cui la deduzione di eventuali errori commessi nella attività interpretativa non investe i limiti esterni delle attribuzioni giurisdizionali del giudice amministrativo, e a nulla rileva che l’interpretazione fatta in sede di ottemperanza incida su diritti soggettivi, se è conseguenza del fatto che oggetto del giudizio di ottemperanza è un giudicato civile: infatti, siffatto giudicato concerne diritti soggettivi, onde ogni attività di interpretazione dello stesso non può non incidere anche su tali diritti (Cass., SS. UU., 2 dicembre 2009, n. 25344): ne consegue che nel processo amministrativo l’oggetto del giudizio di ottemperanza è rappresentato dalla puntuale verifica, da parte del giudice dell’ottemperanza stessa, dell’esatto adempimento dell’amministrazione dell’obbligo di conformarsi al giudicato per far conseguire concretamente all’interessato l’utilità o il bene della vita già riconosciutogli in sede di cognizione; detta verifica, che deve essere condotta nell’ambito dello stesso quadro processuale che ha costituito il substrato fattuale e giuridico della sentenza di cui si chiede l’esecuzione, comporta da parte del giudice dell’ottemperanza una delicata attività di interpretazione del giudicato al fine di enucleare e precisare il contenuto del comando, attività da compiersi esclusivamente sulla base della sequenza petitumcausa petendimotividecisum (Cons. Stato, IV, 19 maggio 2008, n. 2312)" (v. così, testualmente, Cons. Stato, VI, 18 ottobre 2010, n. 7563), con la conseguenza che non è ravvisabile neppure la violazione delle norme e dei principi costituzionali in materia di riparto di giurisdizione.

11.2. Per completezza argomentativa, pare il caso di rilevare che, storicamente, il giudizio di ottemperanza al giudicato ordinario è nato come necessario complemento a una tutela giudiziale dei diritti soggettivi, che il giudice ordinario da solo non era in grado di assicurare se non parzialmente, dovendosi limitare ad emettere sentenze dichiarative dell’illegittimità dell’atto amministrativo, magari disapplicandolo quando non conforme a legge e quindi fonte di ingiusti effetti lesivi, mentre ogni altra misura, ancorché necessaria per rendere effettiva la restaurazione della situazione soggettiva qua ante, era rimessa alla concreta disponibilità di quella stessa amministrazione autrice dell’atto che aveva ingenerato la contesa. Ne è sorta l’esigenza di forgiare, per tali casi, un adeguato strumento di tutela, apprestato dalla l. 31 marzo 1889, n. 5992, con la previsione del giudizio di ottemperanza, con formula testuale riprodotta pedissequamente in tutta la legislazione successiva, in particolare nell’art. 27, comma 1 n. 4, r.d. n. 1054 del 1924, al quale si è poi fatto ricorso tutte le volte in cui si è poi – sino all’attualità (v. art. 112, comma 1 lett. c), Cod, proc. amm.) – voluto descrivere il contenuto dei poteri del giudice di ottemperanza.

Ciò, tuttavia, ad avviso del Collegio non toglie che, per ricondurre a razionalità il sistema ed evitare che di una stessa vicenda contenziosa siano chiamati ad occuparsi giudici appartenenti a diversi plessi giurisdizionali (nella specie, il giudice ordinario in sede cognitoria e il giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza), in una prospettiva de iure condendo sia auspicabile l’attribuzione allo stesso giudice ordinario di uno strumento assimilabile al giudizio di ottemperanza (rilevatosi come strumento di particolare efficacia, malleabile in relazione alle concrete esigenze di tutela del creditore nei confronti della pubblica amministrazione), atto a vincere l’inerzia della pubblica amministrazione nell’attuazione del giudicato ordinario, qualora sia necessario porre in essere – in via complementare, aggiunta e/o alternativa al procedimento espropriativo del codice di procedura civile, a scelta del creditore – operazioni materiali e/o atti giuridici (quali attività di liquidazione ed emissioni di ordinativi di pagamento), oppure, con riferimento a singole specifiche fattispecie dedotte in giudizio, sin’anche attività provvedimentali.

Peraltro, già nell’attuale assetto ordinamentale non è infrequente l’attribuzione al giudice ordinario di poteri di "giurisdizione di merito" (in senso processualamministrativistico) nei confronti della pubblica amministrazione (a titolo esemplificativo, valga il richiamo ai poteri attribuiti al giudice in sede di giudizio di opposizione a ordinanzaingiunzione irrogativa di sanzioni amministrative, ex art. 23, comma 11, l. 24 novembre 1981, n. 689).

Siffatta soluzione non soltanto non contrasterebbe col sistema di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo disegnato dalla Carta Costituzionale, ma vi sarebbe maggiormente coerente, riconducendo a unità il sistema di tutela – cognitoria ed esecutiva – dei diritti soggettivi nei confronti della pubblica amministrazione, in via generale riservata al giudice ordinario, e al contempo aumentandone l’effettività con l’auspicata eliminazione del doppio binario "giudizio di cognizione riservato al giudice ordinariogiudizio di ottemperanza riservato al giudicato ordinario", connotante l’attuale assetto di tutela risalente a ormai remota fonte legislativa.

Concludendo sul punto, trattasi ad ogni modo di scelta rimessa alla discrezionalità del legislatore, che non appare vagliabile in termini di incostituzionalità dell’attuale disciplina del giudizio di ottemperanza al giudicato ordinario, la cui espunzione dall’ordinamento – senza correlativa introduzione di analogo strumento di tutela esperibile dinanzi al giudice ordinario – per le esposte ragioni diminuirebbe la tutela del creditore nei confronti della pubblica amministrazione, anziché rafforzarla.

11.3. Scendendo all’esame della fattispecie sub iudice, osserva il Collegio, in linea di diritto, che secondo consolidato orientamento della Corte di Cassazione in materia giuslavoristica e previdenziale, la sentenza, con la quale il giudice abbia dichiarato il diritto del lavoratore o dell’assicurato a ottenere spettanze retributive o pensionistiche e abbia condannato il datore di lavoro o l’ente previdenziale al pagamento dei relativi arretrati "nei modi e nella misura di legge" oppure "con la decorrenza di legge", senza precisare in termini monetari l’ammontare del credito complessivo già scaduto o quello dei singoli ratei già maturati, deve essere definita generica e non costituisce valido titolo esecutivo (per difetto del requisito di liquidità del diritto portato dal titolo esecutivo ex art. 474 c.p.c.), qualora la misura della prestazione spettante all’interessato, non suscettibile di quantificazione mediante semplici operazioni aritmetiche eseguibili sulla base di elementi di fatto contenuti nella medesima sentenza, debba essere effettuata per mezzo di ulteriori accertamenti giudiziali previa acquisizione dei dati istruttori all’uopo necessari, non potendo il creditore in tal caso agire in executivis, ma dovendo esso richiedere la liquidazione in un distinto successivo giudizio dinnanzi al giudice munito di giurisdizione (v. in tal senso, ex plurimis, Cass. Sez. Lav. 29 ottobre 2003, n. 16259; Cass. Sez. Lav. 23 aprile 2009, n. 9693; Cass. Sez. Lav. 11 giugno 1999, n. 5784).

È ciò, che si è verificato – quanto meno in parte – nel presente giudizio, dove è stata posta in esecuzione una sentenza a contenuto in parte generico (v. sopra sub 1.), e dove, per affrontare le questioni sollevate dai ricorrenti nell’istanza del 2 maggio 2011 (v. sopra sub 4.), occorre procedere a nuove valutazioni in fatto e in diritto su questioni mai specificamente dedotte e trattate nel giudizio definito con la sentenza ottemperanda, in parte qua da qualificare generica ai sensi innanzi esposti.

Né tale conclusione appare in contrasto con la precedente decisione n. 4262 del 2010 assunta da questa Sezione nel presente giudizio di ottemperanza (v. sopra sub 2.), essendo le questioni di natura cognitoria state sollevate dai ricorrenti solo dopo la pronuncia di tale decisione, e dopo che, in sua attuazione, la sentenza ottemperanda ha avuto parziale esecuzione (con successiva correlativa verifica da parte del Commissario ad acta, a ciò incaricato con l’ordinanza sub 6.). Ciò, per un verso, dimostra la correttezza della menzionata decisione n. 4262 del 2010, attesa l’idoneità parziale della sentenza ottemperanda ad essere azionata in sede esecutiva – ossia, per la parte non controversa effettivamente attuata, ricavabile in via interpretativa (ai sensi innanzi precisati) da una combinata lettura della parte motiva e della parte dispositiva della sentenza ottemperanda, quale confermata in appello -, e, per altro verso, evidenzia i limiti del contenuto precettivo della sentenza ottemperanda con riguardo alle questioni sollevate dagli odierni ricorrenti, non specificamente trattate e/o decise nel giudizio civile (e dunque esulanti dai limiti oggettivi del relativo giudicato), per la prima volta sollevate dai ricorrenti nell’istanza del 2 maggio 2011.

Orbene, involgendo tutte le questioni ivi sollevate accertamenti in diritto o in fatto implicanti il rinnovato esercizio di poteri cognitori, onde determinare i criteri di quantificazione delle residue spettanze retributive reclamate dagli istanti, la relativa deduzione è inammissibile nella presente sede, dovendo le parti adire il giudice della cognizione, munito di giurisdizione. Infatti, come sul punto di recente, in fattispecie analoga, statuito da questa Sezione (con sentenza 5 aprile 2011, n. 2757), il giudizio di ottemperanza in relazione ai giudicati del giudice ordinario secondo la testuale previsione dell’art. 112, comma 2 lett. c), Cod. proc. amm. è attivabile unicamente "al fine di ottenere l’adempimento dell’obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato", e cioè per dare esecuzione a specifiche statuizioni rimaste ineseguite, e non anche per introdurre nuove questioni di cognizione, per di più riservate alla giurisdizione del giudice ordinario.

11.4. Per le esposte ragioni, va dichiarata l’inammissibilità dell’istanza del 2 maggio 2011 con riferimento alle questioni ivi sollevate, esulanti dall’ambito di giurisdizione del giudice amministrativo in sede di giudizio di ottemperanza (compresa la questione sub 2.F, impedendo la carenza di giurisdizione ogni valutazione del merito), non senza rammentare che, tenuto conto della complessiva vicenda processuale sopra delineata e trattata, i ricorrenti in esito al loro ricorso in ottemperanza comunque hanno trovato soddisfazione quanto meno parziale delle loro pretese.

12. Considerata ogni circostanza connotante la presente controversia, si ravvisano i presupposti di legge per dichiarare le spese relative alla presente fase, successiva all’istanza del 2 maggio 2011, interamente compensate tra le parti (mentre le spese relative alla fase precedente sono già state regolate con la decisione n. 4262 del 2010).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’istanza del 2 maggio 2011, proposta nell’ambito del ricorso per ottemperanza di cui in epigrafe, la dichiara inammissibile ai sensi di cui in motivazione; dichiara le spese relative alla presente fase interamente compensate tra le parti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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