Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-05-2012, n. 8356

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Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 15.9.03 G.P., proprietaria di un immobile destinato ad abitazione, sito in (OMISSIS), conveniva, in giudizio, innanzi al Tribunale della stessa città, la s.p.a. Omnia Plastica, proprietaria dell’immobile confinante, chiedendo l’abbattimento delle opere realizzate a distanza inferiore rispetto a quella legale, oltre al risarcimento dei danni derivanti da intollerabili immissioni rumorose. La convenuta si costituiva e chiedeva, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’intervenuta usucapione del diritto di mantenere in loco le opere contestate. Con sentenza 7.4.06 il Tribunale di Busto Arsizio, ritenuto che le opere realizzate dalla convenuta non fossero costruzioni soggette al rispetto delle distanze legali, che non fossero provate le immissioni rumorose e che non ricorressero i presupposti temporali per l’usucapione, rigettava la domande di entrambe le parti, compensando le spese di lite.

Avverso tale decisione la G. proponeva appello cui resisteva la s.p.a. Omnia Plastica chiedendo, con appello incidentale condizionato, l’accoglimento della sua domanda di usucapione.

Con sentenza depositata il 26.5.2010 la Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannava la s.p.a.

Omnia Plastica ad arretrare la piattaforma in calcestruzzo ed i silos di altezza non superiore a dieci metri,insistenti sulla sua proprietà, sino alla distanza di metri cinque dal confine con la proprietà della G. e ad arretrare i silos di altezza maggiore di dieci metri sino ad una distanza dal confine pari alla metà della loro altezza; rigettava, per difetto di prova,la domanda di risarcimento danni dell’appellante nonchè l’appello incidentale e la domanda di usucapione riproposta dalla s.p.a. Omnia Plastica;

condannava la Omnia Plastica alla rifusione delle spese dell’intero giudizio.

Rilevava la Corte di merito:

l’eccezione dell’appellata,d’inammissibilità dell’appello per asserita genericità dei motivi, andava disattesa; alla luce dei principi affermati dalla Suprema Corte e tenuto conto dell’esito della C.T.U. espletata in primo grado, sia i silos e sia la piattaforma su cui essi insistevano dovevano ritenersi soggetti al rispetto delle distanze legali siccome eretti ad una distanza dal confine con la proprietà della G. inferiore a quella stabilita dall’art. 7.3.29 delle NTA del P.R.G. del Comune di Busto Arsizio; non risultavano provati i presupposti necessari per la pretesa usucapione di cui all’appello incidentale della Omnia Plastica.

Per la cassazione di tale sentenza la Omnia Plastica s.p.a. propone ricorso affidato a cinque motivi illustrati da memoria.

Resiste con controricorso G.P..

Motivi della decisione

La società ricorrente deduce:

1) nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 329 c.p.c., comma 2 nonchè difetto e insufficienza di motivazione; la Corte d’Appello, nonostante l’acquiescenza della controparte alla parte della sentenza, laddove aveva statuito che la piattaforma non era soggetta alla disposizione di attuazione 7.3.29 del Comune di Busto Arsizio, aveva di ufficio, in violazione di dette norme, preso in esame la piattaforma, applicando l’art. 873 c.c. e le N.T.A.;

2) violazione dell’art. 115 c.c., comma 1 per disapplicazione delle N.T.A. del Comune di Busto Arsizio; difetto, insufficienza di motivazione nonchè mancata considerazione dei dati acquisiti tramite C.T.U., non contestati dalle parti; in particolare la C.T.U. aveva affermato che l’altezza o quota della piattaforma o cortile, "è di metri 0,10 se riferita al colmo della strada (come previsto dal capo quarto- art. 17 del P.R.G. vigente-all. 4) dalla quale ha l’accesso principale la Omnia Plastica; se tale altezza si vuoi riferire alla quota naturale di campagna retrostante la ditta e confinante con la Via (OMISSIS), essa risulta di metri 0,60"; la Corte di merito aveva immotivatamente dato rilievo alla seconda misura (cm. 60) e non alla prima (cm. 10) in violazione delle N.T.A. del Comune di Busto Arsizio e dell’art. 17 del P.R.G. che "imponevano di calcolare l’altezza dal colmo della strada e non dalla quota del piano di campagna" e senza considerare che l’art. 7.3.29 delle N.T.A. non era applicabile al caso di specie in quanto "fa eccezione per i riempimenti di terra non più alti di metri 1";

3) violazione dell’art. 873 c.c. e dell’art. 7.3.29 delle N.T.A. del Comune di Busto Arsizio nonchè dell’art. 115 c.p.c.; insufficienza di motivazione, laddove la Corte di Appello, in contrasto con quanto accertato dal C.T.U. anche quanto alla movibilità mediante dei "martinetti" dei silos, aveva affermato che doveva essere compresa nel concetto di costruzione qualsiasi opera non completamente interrata, avente carattere di solidità e immobilizzazione rispetto al suolo, escludendo dal rispetto delle distanze legali solo i manufatti completamente interrati;

4) difetto di motivazione e mancata applicazione degli artt. 1158 – 2729 c.c. e dell’art. 116 c.p.c.;

secondo le testimonianze acquisite e le indagini tecniche, era stato accertato che i silos più piccoli erano stati in loco per 20 anni",mentre quelli più grandi risalivano a qualche decennio sicchè doveva ritenersi usucapito il diritto di mantenere i silos alla distanza di m. 2,25 dal confine;

5) violazione degli artt. 91 -92 c.p.c.;

le conclusioni in grado di appello formulate dall’appellante dovevano intendesi dirette a "mantenere ferma la compensazione delle spese di primo grado" sicchè non poteva la Corte, di ufficio, attribuire le spese di primo grado, ivi comprese quelle di C.T.U., alla società appellata.

Va, innanzitutto,esclusa l’inammissibilità del ricorso, dedotta dalla resistente con riferimento alla omessa formulazione dei quesiti, ex art. 366 bis c.p.c., posto che la sentenza impugnata risulta depositata il 26.5.2010 e non ricade, quindi, nella disciplina di detta norma, abrogata ex L. n. 69 del 2009.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Non è, infatti, ravvisabile la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c., avendo la G., espressamente rilevato, nei motivi di appello, che i silos erano ancorati alla piattaforma in calcestruzzo con cui costituivano un "unicum"; la sentenza di primo grado è stata, quindi, impugnata in relazione alla struttura in questione nella sua interezza (silos e piattaforma di appoggio) senza che potesse configurarsi alcuna acquiescenza sul punto. Il secondo motivo di ricorso è infondato; la Corte di merito ha ordinato l’arretramento dell’intera costruzione (silos e piattaforma) alla distanza dal confine come sopra specificata, con argomentazioni esenti da vizi logici e giuridici, fondate sulle risultanze della C.T.U. e conformi al dettato dell’art. 7.3.29 delle N.T.A. del P.R.G.; la sentenza impugnata, peraltro, ha evidenziato che l’esattezza delle misurazioni effettuate dal C.T.U. non era stata contestata dall’appellata che, anzi, nella comparsa di costituzione d’appello, aveva invocato, in più punti, le risultanze della C.T.U. (pag. 7 sent. imp.). Priva di fondamento è pure la terza censura, avendo il giudice di appello incluso nel novero delle costruzioni i silos, tenuto conto del loro ancoraggio stabile al suolo, derivante dalla "enorme stazza che li inchioda stabilmente alla piattaforma su cui sono installati" ed avendo evidenziato, inoltre, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte, che la nozione di "costruzione" comprende qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica, indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa (Cass. n. 15972/2011; n. 4277/2011; n. 1217/2010). Nè la precarietà di un manufatto può logicamente desumersi dal più o meno complesso sistema di ancoraggio al suolo, ma dal fatto che essa sia destinata a soddisfare esigenze contingenti, profilo non dedotto dalla ricorrente. Va disatteso il quarto motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale respinto la domanda di usucapione, sulla base di un apprezzamento delle risultanze probatorie (C.T.U. e "vaghezza delle testimonianze"), sorretto da adeguata motivazione in ordine alla insussistenza dei requisiti soggettivi, oggettivi e temporali della pretesa acquisitiva, apprezzamento esulante, quindi, dal sindacato di legittimità.

Va, infine, rigettato il quinto motivo essendo state le spese processuali correttamente poste a carico della s.p.a. Omnia Plastica, in aderenza al criterio della soccombenza, ex art. 91 c.p.c..

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per spese oltre accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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