Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 29-09-2011) 16-11-2011, n. 42060 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto 15.7.2010 il Gip del tribunale di Udine ordinò il sequestro preventivo di immobili compresi nel c.d. (OMISSIS) nell’ambito di un procedimento penale a carico di G.S. ed altri per il reato di lottizzazione abusiva. Il Gip limitò il sequestro alle sole unità non ancora compravendute a terzi ed a quelle ancora in costruzione, in quanto la vendita avrebbe consolidato ulteriormente l’attività criminosa.

Con istanza 22.7.2010 il D. chiese la restituzione di una villetta di cui assumeva essere proprietario in forza di un contratto preliminare di vendita del 10.6.2010 per il quale aveva pagato l’intero prezzo. Egli aveva anche proposto domanda ex art. 2932 c.c., che però era stata trascritta dopo la trascrizione del sequestro preventivo.

Con provvedimento 28.7.2010 il Gip respinse l’istanza in quanto il contratto preliminare aveva prodotto solo effetti obbligatori e, non essendo stato trascritto, non era opponibile a terzi.

Il D. propose appello che il tribunale del riesame di Udine rigettò con l’ordinanza in epigrafe per il motivo che non vi era stato l’acquisto della proprietà da parte sua.

Il D. propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge e vizio di motivazione perchè il tribunale si è soffermato soltanto sull’esame del diritto di proprietà senza considerare che egli (come da allegata autocertificazione) è detentore qualificato dell’immobile e quindi legittimato alla restituzione.

2) violazione di legge perchè il diritto alla restituzione spetta non solo al proprietario ma anche al possessore del bene, anche se di mala fede, e nella specie egli era nel possesso dell’immobile anche a mezzo di un terzo, tale B.M.. Osserva quindi che egli è legittimato a proporre impugnazione ex art. 322 bis c.p.p. ed alla restituzione dell’immobile.

Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato oltre che aspecifico, perchè si limita a contestare punti che non hanno costituito le ragioni per le quali è stata respinta la sua istanza di restituzione del bene.

Il tribunale del riesame, invero, non ha affatto ritenuto che egli non fosse legittimato a chiedere la restituzione ed a proporre impugnazione avverso il provvedimento di rigetto, bensì perchè ha ritenuto che egli non avesse diritto ad ottenere la restituzione essendo pienamente legittime e valide le ragioni per le quali il Gip aveva imposto il vincolo anche sull’immobile in questione. Ed invero il Gip, avendo ritenuto sussistente il fumus della lottizzazione abusiva – che non viene contestato dal ricorrente – ha ritenuto altresì sussistente anche il periculum in mora in relazione a tutte le villette per le quali non era ancora avvenuto il definitivo passaggio di proprietà, per la plausibile e condividibile ragione che la eventuale stipula di un contratto definitivo di compravendita avrebbe consolidato ulteriormente l’attività criminosa. Una eventuale stipulazione di un contratto definitivo di vendita costituirebbe infatti una attività con cui verrebbe proseguito il reato, al quale concorrerebbe inevitabilmente anche l’acquirente, che non potrebbe certamente ormai qualificarsi di buona fede. Non può quindi mettersi in dubbio la sussistenza di valide e concrete esigenze cautelari, consistenti nella necessità di impedire che venga proseguita la realizzazione del reato (permanente), dal momento che lo stesso ricorrente ammette che egli ha di mira proprio questa finalità, da raggiungere attraverso un atto formale di compravendita o una sentenza ex art. 2932 c.c..

D’altra parte, quand’anche il sequestro preventivo fosse stato finalizzato non ad impedire la prosecuzione ed il perfezionamento del reato, ma la eventuale futura confisca degli immobili, il sequestro stesso – nonostante il Gip nella specie non lo abbia esteso agli immobili già compravenduti – non potrebbe essere impedito dal solo fatto che l’immobile sia stata acquistato da un terzo.

Ed infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, "In tema di reati edilizi ed urbanistici, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca di un immobile abusivamente lottizzato può essere adottato anche nei confronti del terzo acquirente, qualora egli non abbia assunto, deliberatamente o per trascuratezza, tutte le necessarie informazioni sulla sussistenza di un titolo abilitativo, nonchè sulla compatibilità dell’immobile con gli strumenti urbanistici. (Fattispecie in cui è stata esclusa la buonafede sul presupposto che la ricorrente non aveva proceduto con la dovuta diligenza alle necessarie verifiche, limitandosi, in base ai titoli rilasciati, ad una verifica solo parziale dello stato concessorio relativo all’immobile acquistato)" (Sez. 6, 23.11.2010, n. 45492, Murolo, 249215); "Il terzo acquirente di un immobile abusivamente lottizzato, pur partecipando materialmente con il proprio atto di acquisto al reato di lottizzazione abusiva, può subirne la confisca solo nel caso in cui sia ravvisabile una condotta quantomeno colposa in ordine al carattere abusivo della lottizzazione negoziale e/o materialeœ (Sez. 3, 29.9.2009, n. 42178, Spini, m. 245170); "Oggetto del sequestro preventivo può essere qualsiasi bene – a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato – purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti. (Principio enunciato con riferimento al sequestro preventivo, per il reato di lottizzazione abusiva, di un complesso immobiliare destinato a residenza turistico alberghiera). Conf. Sez. 3, n. 17866 del 2009, non massimata" (Sez. 3, 17 marzo 2009, n. 17865, Quarta, m. 243751).

Nella specie, appunto, non solo non è ravvisabile alcun elemento da cui possa desumersi la buona fede e la mancanza di colpa del ricorrente, ma la buona fede e la mancanza di colpa non sono state prospettate nemmeno dallo stesso ricorrente.

Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi.

In applicazione dell’art. 616 c.p.p., segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi che possano far ritenere non colpevole la causa di inammissibilità del ricorso, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma, che, in considerazione delle ragioni di inammissibilità del ricorso stesso, si ritiene congruo fissare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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