Cass. civ. Sez. II, Sent., 25-05-2012, n. 8355 Decreto ingiuntivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con decreto ingiuntivo del 18 dicembre 1996 il Pretore di Milano intimava alla signora D.M.G.A. di pagare, in favore di P.E., quale titolare dell’impresa individuale CTM, la somma di L. 23.625.667, a titolo di corrispettivo della fornitura di materiale e dell’esecuzione dei lavori di tinteggiatura e di posa in opera di tappezzeria e moquette nell’appartamento sito in v.

(OMISSIS), specificati nel preventivo del 27 giugno 1994 redatto su modulo di commissione non recante alcuna sottoscrizione della parte committente. A seguito di opposizione formulata dall’ingiunta ai sensi dell’art. 645 c.p.c., nel cui conseguente giudizio era stato chiamato in causa "iussu iudicis" il terzo G.D. (quale titolare dell’impresa individuale Edil casa Milano), peraltro non costituitosi, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 10886 del 2003, così provvedeva (dopo aver rigettato l’eccezione preliminare dell’opponente di inesistenza del contratto di appalto): 1) revocava il decreto ingiuntivo opposto perchè emesso per un importo superiore a quello ritenuto dovuto per il titolo dedotto in giudizio; 2) dopo aver detratto dal corrispettivo delle suddette opere, determinato sulla base della disposta c.t.u. in L. 13.254.980, la somma di L. 8.969.380, corrispondente al costo delle riparazioni necessarie per ripristinare le opere che presentavano dei vizi, così come eccepito dall’opponente, condannava quest’ultima al pagamento, in favore del P., della residua somma, espressa nella moneta attuale, di Euro 4.650,00, con gli interessi legali dalla domanda al saldo; 3) dichiarava interamente compensate tra le parti le spese di lite e quelle occorse per la c.t.u…

Interposto appello da parte del P., nella resistenza dell’appellata D.M. (che formulava, a sua volta, appello incidentale) e nella contumacia del G., la Corte di appello di Milano, con sentenza n. 3375 del 2008 (depositata l’11 dicembre 2008), confermava la revoca del decreto ingiuntivo opposto, rigettava integralmente la domanda di condanna della D.M.G. al pagamento del corrispettivo del contratto di appalto (o d’opera) proposta dal P. ed accolta parzialmente dal Tribunale di Milano in primo grado, condannando, conseguentemente, lo stesso P. alla restituzione, in favore della D.M., della somma di Euro 4.584,29, con gli interessi legali dalla data del pagamento al saldo ed a pagare alla stessa le spese di entrambi i gradi di giudizio, ponendo definitivamente a carico del medesimo P. le spese di c.t.u. come liquidate dal primo giudice; infine, la Corte territoriale dichiarava che il contratto di appalto avente ad oggetto le opere eseguite nell’appartamento sito in v. (OMISSIS) era stato stipulato tra la D.M., in qualità di committente, ed il G., titolare della Edil Casa Milano, in qualità di appaltatore, con l’accettazione da parte della prima del preventivo predisposto dal G. in data 24 settembre 1993, che prevedeva il corrispettivo di complessive L. 11.240.000 (pari ad attuali Euro 5.804,98), dichiarando, altresì, interamente compensate le spese dei due gradi di giudizio tra la D.M. e lo stesso G..

A sostegno dell’adottata decisione la Corte distrettuale rilevava, innanzitutto, la fondatezza della doglianza (siccome logicamente pregiudiziale) prospettata dalla D.M. in sede di appello incidentale (rispondente ai requisiti stabiliti dall’art. 342 c.p.c.) in ordine all’inesistenza del contratto di appalto con il P., non essendo emersi elementi certi circa la conclusione di tale convenzione tra dette parti e non essendo sufficiente, a tal fine, la semplice esecuzione delle opere, risultando, invece, che il contratto di appalto era, in effetti, intercorso con il G.. Da tale accertamento conseguiva, dunque, la restituzione della somma riconosciuta con la sentenza di primo grado in favore del P. così come non poteva trovare accoglimento la domanda di risarcimento dei danni proposta dalla D.M. nei confronti del P. per la cattiva esecuzione delle opere dedotte in controversia.

Avverso la menzionata sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il P.G. riferito a sette motivi, nei riguardi del quale entrambi gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, formulando, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. ("ratione temporis" applicabile), il seguente quesito di diritto:

"dica la Corte se, nel caso di specie, la Corte di appello, nell’esaminare la forma dell’appello incidentale di D.M.G., abbia fatto buon governo dei principi di specificità prescritti dall’art. 342 c.p.c., oppure se, come rilevato da esso ricorrente, li abbia disattesi attribuendo alla domanda dell’appellante incidentale un senso dal medesimo inespresso; in altre parole se, laddove il giudice abbia motivato l’accertamento della conclusione di un contratto d’opera, da un lato, sul comportamento negativo dell’appellante incidentale – che si limitava ad assumere di aver commesso ad un terzo l’opera senza neppure dedurre di aver pagato detto terzo – da altro lato sul comportamento concludente del medesimo appellante incidentale, che aveva beneficiato dell’esecuzione delle opere di cui trattasi, sia corretto e ragionevole attribuire il dovuto carattere di specificità alla generica affermazione dell’appellante incidentale circa la "insufficienza" di non meglio precisati elementi, con la sola aggiunta dell’osservazione "…quando l’esistenza stessa del rapporto è in contestazione, sebbene per la stipulazione del contratto di appalto sia richiesta la forma scritta quale requisito essenziale". 1.1. Il motivo è infondato poichè – alla stregua dello stesso esame dell’atto di appello della D.M. (consentito anche in questa sede in virtù della natura processuale del vizio denunciato) a cui corrispondono le conclusioni precisate all’esito del giudizio di secondo grado (per come riportate nella stessa sentenza impugnata) – appare evidente che l’appellante incidentale aveva specificamente inteso contestare il merito della pronuncia di primo grado con riguardo alla ricostruzione del complesso rapporto contrattuale dedotto in controversia, deducendo l’estraneità ad esso del P. e la correlata erroneità delle valutazioni operate dal primo giudice in ordine alla individuazione dell’appaltatore e all’oggetto del contratto di appalto, con la conseguente rideterminazione del "quantum" effettivamente dovuto in favore della ditta Edil Casa Milano di G.D. e la derivante condanna del P. alla restituzione, in suo favore, delle somme versate in esecuzione della sentenza di prime cure. Appare, pertanto, evidente che – come correttamente ritenuto dalla Corte territoriale – con il proposto gravame incidentale la D.M. aveva soddisfatto il requisito di specificità prescritto dall’art. 342 c.p.c.. Del resto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, essendo l’appello un mezzo di gravame con carattere devolutivo pieno, non limitato al controllo di vizi specifici, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito, il principio della necessaria specificità dei motivi – previsto dall’art. 342 c.p.c., comma 1, – prescinde da qualsiasi particolare rigore di forme, essendo sufficiente che al giudice siano esposte, anche sommariamente, le ragioni di fatto e di diritto su cui si fonda l’impugnazione, ovvero che, in relazione al contenuto della sentenza appellata, siano indicati, oltre ai punti e ai capi formulati, anche, seppure in forma succinta, le ragioni per cui è chiesta la riforma della pronuncia di primo grado, con i rilievi posti a base dell’impugnazione, in modo tale che restino esattamente precisati il contenuto e la portata delle relative censure (cfr., ad es., Cass. n. 21745 del 2006 e Cass. n. 15263 del 2007).

2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c, comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, chiedendo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c, a questa Corte "se, nel caso in esame, la Corte di appello, nei dichiarare non provata la conclusione del contratto d’opera, tra P. e D.M.G., abbia fornito una motivazione sufficiente ad incrinare il supporto logico-giuridico posto dal Tribunale a presidio del contrario avviso espresso nella sentenza di primo grado e se, conseguentemente, la Corte di appello, con considerazioni basate su rilievi che, come illustrato in narrativa, non sono conferenti alla ratio decidendi del giudice di prime cure, sia incorso, relativamente agli articoli citati, nel vizio di insufficiente motivazione relativamente al controverso, e certamente decisivo, accertamento della mancata conclusione di un contratto d’opera tra D.M.G. e P., relativamente ad opere da quest’ultimo eseguite nell’abitazione della prima". 2.1. Il motivo, così come prospettato e riferito ad un vizio di motivazione della sentenza impugnata, è da dichiarasi inammissibile per inidoneo assolvimento del requisito imposto dall’art. 366 bis c.p.c. ("ratione temporis" applicabile nella fattispecie, poichè la sentenza impugnata risulta depositata l’11 dicembre 2008).

Alla stregua della univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr, per tutte, Cass. nn. 4556 e 4589 del 2009) l’art. 366-bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, ovvero del motivo previsto dal n. 5 della stessa disposizione: nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a "dicta" giurisprudenziali su questioni di diritto di particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione. A quest’ultimo proposito si è ulteriormente chiarito che è inammissibile, alla stregua della seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., il motivo di ricorso per cassazione con cui, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la parte si limiti a censurare l’apoditticità e carenza di motivazione della sentenza impugnata, in riferimento alla valutazione d’inadeguatezza delle prove da parte del giudice del merito, in quanto la norma processuale impone la precisazione delle ragioni che rendono la motivazione inidonea a giustificare la decisione mediante lo specifico riferimento ai fatti rilevanti, alle prove contestate e alla loro incidenza rispetto alla decisione. In altri termini, si prospetta inammissibile, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., per le cause ancora ad esso soggette, il motivo di ricorso per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione qualora non sia stato formulato in modo adeguato il c.d. quesito di fatto, mancando la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, anche quando l’indicazione del fatto decisivo controverso e le ragioni di doglianza del percorso logico confutato siano rilevabili dai complesso della formulata censura. Nella specie difetta sia la prospettazione di una puntuale sintesi del vizio motivazionale con riguardo allo specifico fatto controverso sia l’esposizione, in forma autonoma ancorchè riassuntiva (all’esito dello svolgimento del motivo), delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rendeva inidonea a giustificare la decisione adottata.

3. Con il terzo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, chiedendo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a questa Corte "se, nel caso in esame, la Corte di appello potesse legittimamente accogliere la domanda dell’appellante incidentale – che chiedeva accertarsi che le opere effettuate nel suo appartamento erano state eseguite da P. su incarico di G., in ossequio ad un contratto datato 24/9/1993 – senza nulla argomentare in ordine alla ritenuta sussistenza del contratto 24/9/1993 (che non è riscontrato da alcun elemento in atti e non può essere stato riconosciuto dal presunto sottoscrittore G., rimasto contumace ed al cui interrogatorio formale D.M. ha rinunciato) e fondando l’accertamento sul solo sillogismo "mancata prova di autonomo successivo contratto tra P. e D.M. = lavori eseguiti da P. per conto di G.", senza dare alcun conto del fondamento di tale sillogismo e, soprattutto, senza dare conto dei motivi per cui venivano escluse altre possibilità, pur in presenza di evidenze inconfutabili, totalmente e/o parzialmente contrastanti con quanto ritenuto accertato, quali la mancata deduzione di alcun accordo tra P. e G., la mancanza di fatture di G. e di pagamento di D.M. a quest’ultimo, il maggior numero di opere eseguite oltre quelle indicate nel contratto 24/9/93, la distanza di tempo intercorsa tra l’accordo 24/9/93 e l’esecuzione dei lavori. Pertanto interroga questa Corte al fine di verificare "se, conseguentemente, con tale apodittica dichiarazione di accertamento, basata su un viziato sillogismo, inadeguato a motivare la decisione, la Corte di appello sia incorsa nella nullità della sentenza, relativamente agli articoli citati". 3.1. Anche questo motivo deve qualificarsi inammissibile perchè, sotto il profilo della deduzione di un vizio ricondotto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente ha inteso denunciare, in effetti, un ulteriore vizio motivazionale della sentenza impugnata, senza, però, strutturare adeguatamente il requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. nei necessari termini precisati con riferimento alle ragioni spiegate in ordine al secondo motivo. In ogni caso il supposto vizio di ultra od extrapetizione è insussistente dal momento che il giudice di appello si è pronunciato proprio sulla domanda formulata specificamente dalla D.M. indirizzata ad ottenere l’accertamento dell’esclusione della circostanza della conclusione di un apposito contratto con il P., sul presupposto che, invero, la convenzione circa l’esecuzione dei lavori nella sua abitazione era intercorsa con la ditta del G.D..

4. Con il quarto motivo il ricorrente ha dedotto la violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, chiedendo, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., a questa Corte: "se, nel caso in esame, la Corte d’appello potesse legittimamente accogliere la domanda dell’appellante incidentale – che chiedeva accertarsi che le opere effettuate nel suo appartamento erano state eseguite da P. su incarico di G., in ossequio ad un contratto datato 24/9/1993 – senza nulla argomentare in ordine alla ritenuta sussistenza del contratto 24/9/1993 (che non è riscontrato da alcun elemento in atti e non può essere stato riconosciuto dal presunto sottoscrittore G., rimasto contumace e al cui interrogatorio formale D.M. ha rinunciato) e fondando l’accertamento sul solo sillogismo mancata prova di autonomo successivo contratto tra P. e D.M. = lavori eseguiti da P. per conto di G., senza dare adeguato conto del fondamento di tale sillogismo e, soprattutto, senza dare conto dei motivi per cui venivano escluse altre possibilità, pur in presenza di evidenze inconfutabili, totalmente e/o parzialmente contrastanti con quanto ritenuto accertato, quali la mancata deduzione di alcun accordo tra P. e G., la mancanza di fatture di G. e di pagamenti di D.M. a quest’ultimo, il maggior numero di opere eseguite oltre quelle indicate nel contratto 24/9/1993, la distanza di tempo intercorsa tra l’accordo 24/9/1993 e l’esecuzione dei lavori, etc". A tal fine chiede "se, conseguentemente, con tale apodittica dichiarazione di accertamento, basata su un viziato sillogismo, inadeguato a motivare la decisione, la Corte di appello sia incorsa nel vizio di insufficiente motivazione, relativamente al controverso, e certamente decisivo, accertamento di un rapporto di sub committenza tra G. e P. relativamente alle opere da quest’ultimo eseguite nell’abitazione della D.M.". 6. Con il sesto motivo il ricorrente ha prospettato la violazione dell’art. 2697 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, corredando la doglianza con la formulazione del seguente quesito di diritto: "se, nel caso in esame, la Corte di appello potesse accogliere la domanda della parte appellante incidentale, che eccepiva all’appellante di nulla dovergli perchè obbligata verso un terzo cui attribuiva la realizzazione delle opere che l’appellante aveva dimostrato di avere reso nei di lui confronti, senza che l’appellante incidentale offrisse la prova di quanto eccepito, limitandosi a dimostrare un avvenuto risalente contratto con il terzo che prevedeva solo una parte dei lavori poi eseguiti dall’appellante, ma nulla provando in ordine alla successiva esecuzione degli stessi da parte del terzo e se, conseguentemente, accogliendo la predetta domanda, la Corte di appello sia incorsa nella violazione e falsa applicazione di legge relativamente all’art. 2697 c.c., comma 2". 5.1. Queste due censure (che appaiono ammissibili in relazione all’osservanza del requisito previsto dall’art. 366 bis c.p.c. e che possono essere trattate congiuntamente perchè strettamente connesse) sono destituite di fondamento.

Diversamente dalla ricostruzione del ricorrente, la Corte distrettuale, con motivazione logica ed adeguata, ha accertato che, nella controversia in questione, non era emersa la prova univoca che fosse intercorsa con la D.M. un’apposita convenzione con la quale il P. aveva assunto l’obbligo, dietro corrispettivo, di eseguire i lavori dedotti in sede monitoria presso l’abitazione della suddetta D.M., non potendosi desumere, in difetto di appositi riscontri documentali, tale circostanza dall’esito complessivo delle prove orali (risultando del tutto contraddittoria la deposizione resa da P.T. e non potendosi escludere la verosimiglianza della versione offerta dalla teste Go.La., alla stregua della quale era emerso che la madre aveva accettato il preventivo dei lavori predisposto dal G., che, peraltro, era risultato depositato in copia – non disconosciuta – nella produzione della stessa D.M. fin dal giudizio di primo grado). Del resto è risaputo che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perchè la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Pertanto, la Corte di merito, in presenza del complessivo quadro probatorio, non ha potuto che far applicazione del risolutivo principio generale in base al quale, non avendo l’assunto appaltatore provato il fatto costitutivo relativo all’effettiva conclusione del contratto di appalto, non avrebbe potuto pretendere l’adempimento della controprestazione (relativa al pagamento del prezzo) da parte di colei che riteneva fosse stata la committente dei lavori (cfr, ad es., facendo leva proprio sull’art. 2697 c.c., Cass. n. 13390 del 2007; v., altresì, per idonei riferimenti, Cass. n. 3752 del 2007).

6. Con il quinto motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando, in proposito, il seguente quesito di diritto: "se, nel caso in esame, la Corte di appello potesse accogliere la domanda della parte appellante incidentale, disattendendo le risultanze probatorie fornite dall’appellante ed in assenza di prove da parte dell’appellante incidentale a sostegno della propria domanda e se, conseguentemente, così facendo, la Corte di appello sia incorsa nella violazione e falsa applicazione di legge relativamente all’art. 115 c.p.c., comma 2". 6.1. Il motivo è palesemente inammissibile per assoluta genericità del quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c. (alla stregua dei principi precedentemente evidenziati), ponendosi in risalto, peraltro, come la Corte abbia adeguatamente risolto la controversia alla stregua del percorso logico-giuridico richiamato con riferimento al quarto ed al sesto motivo, come poc’anzi esaminati.

7. Con il settimo ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, adducendo a suo sostegno il seguente quesito di diritto: "dica la Corte se, nel caso in esame, omettendo di prendere in considerazione le domande di maggiore quantificazione del proprio credito, svolte nell’atto di appello, la Corte abbia realizzato una violazione dell’obbligo di cui all’art. 112 c.p.c. e se, conseguentemente, non provvedendo al riguardo, la Corte sia incorsa in error in procedendo". 7.1. Anche questa doglianza di prospetta inammissibile per genericità del quesito di diritto proposto, difettando di puntuali riferimenti alla domanda svolta nell’atto di appello e alla sua correlazione con la sentenza di secondo grado, con la quale, oltretutto, come visto, è stato escluso il raggiungimento di un’idonea prova circa l’avvenuta conclusione di un apposito contratto di appalto (o d’opera) tra la D.M. e lo stesso P., tanto è vero che quest’ultimo, in accoglimento dell’appello incidentale formulato dalla prima, è stato condannato alla restituzione di quanto indebitamente percepito in virtù dell’esecuzione provvisoria della sentenza di primo grado.

8. In definitiva, sulla scorta dell’inammissibilità (per una parte) e dell’infondatezza (per la residua parte) dei complessivi motivi formulati, il ricorso del P. deve essere integralmente respinto, senza che debba farsi luogo ad alcuna pronuncia sulle spese della presente fase poichè le parti intimate non hanno svolto alcuna attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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