Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-09-2011) 16-11-2011, n. 42045

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il GIP presso il Tribunale di Pistoia, con ordinanza del 10 dicembre 2010, ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di M.H.B. perchè indagato per il reato di cui all’art. 416 c.p., commi 1, 2 e 3, per essersi associato al fine di commettere più delitti e nello specifico, reati concernenti la clonazione e quindi la falsificazione di carte di credito e bancomat, previa attività di installazione di apparecchiature atte ad intercettare comunicazioni relative ad un sistema informatico.

Il Tribunale per il riesame di Firenze, con ordinanza del 16 febbraio 2011, ha respinto il reclamo proposto dall’indagato e ha confermato il provvedimento impugnato.

Avverso tale decisione ricorre per cassazione il difensore, deducendo i seguenti motivi:

a) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e); erronea applicazione degli artt. 8 e 9 c.p.p.; carenza e illogicità della motivazione sul punto.

Il ricorrente censura la motivazione con cui il TDL radica la competenza presso l’A.G. di Pistoia, ritenendo indimostrata la dedotta ubicazione della base logistica dell’associazione a (OMISSIS), e comunque censura l’adozione del criterio di cui all’art. 9 c.p.p., comma 3, utilizzato per individuare la competenza dell’A.G. di Pistoia, rispetto al fatto che i consociati sarebbero tutti residenti anagraficamente nella provincia di (OMISSIS);

b) Violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) in relazione all’art. 266 c.p.p..

Il ricorrente censura la legittimità delle intercettazioni telefoniche utilizzate, in quanto le stesse sarebbero state disposte quando ancora non era emersa la sussistenza di un reato di tipo associativo. c) Erronea applicazione dell’art. 273 c.p.p., comma 1 e art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c), ex art. 606 c.p.p., lett. b); Carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e).

Il ricorrente lamenta la ritenuta sussistenza di elementi concreti per affermare l’esistenza di dati di riscontro relativi all’ipotesi associativa; in particolare non a sarebbero state indicate le telefonate idonee a suffragare l’ipotesi accusatoria, nè tantomeno le ragioni in base alle quali tali elementi dovrebbero concretizzare l’ipotesi associativa e non il reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55; non sarebbero chiari i risultati delle indagini che corroborerebbero l’ipotesi accusatoria; in sostanza vi sarebbe una carenza indiziaria per ritenere sussistente una gravità tale in base alla quale applicare la custodia cautelare. Sarebbe stato limitato il tempo di osservazione dell’attività della presunta organizzazione, sarebbe irrilevante la comune provenienza degli indagati dalla stessa città o provincia; non sarebbero state accertate basi logistiche fuori del territorio milanese; non esisterebbe la affermata divisione dei compiti tra gli affiliati, nè l’uso disinvolto in più occasioni di documenti falsi, tranne i rari episodi accertati;

d) Erronea applicazione dell’art. 273 c.p., comma 1, ex art. 606 c.p.p., lett. b); carenza ed illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e).

Il ricorrente censura la valutazione operata dal Tribunale del riesame con riferimento alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Lamenta il mero riferimento al contenuto delle intercettazioni e ai limitati contatti accertati solo con tre degli indagati ( N., I. e S.) per desumere la sua consapevolezza in ordine alla natura dell’attività degli stessi. La correttezza di tale conclusione sarebbe indirettamente dimostrata dal fatto che gli era stata contestata in origine dal p.m. la partecipazione ad una diversa associazione dedita ai furti d’auto e ritenuta poi insussistente; l’unico elemento da cui trarre la configurabilità dell’ipotesi associativa a suo carico sarebbe basata sulle telefonate con N. ed I. ove però si parlava di furti d’auto.

Per altro per suffragare l’appartenenza all’ipotesi associativa dedita alla clonazione delle carte di credito poteva farsi riferimento solo alle sette telefonate con S. avvenute nell’arco di tre mesi. Assolutamente insufficienti per sorreggere l’ipotesi accusatoria, anche perchè di fatto ne sarebbe stata utilizzata solo una;

contesta poi la valenza indiziaria attribuita all’altro elemento a suo carico relativo al prestito dell’autovettura a S. e D., utilizzata allo scopo di recarsi a (OMISSIS) per porre in essere le azioni criminose.

In ogni caso anche a voler ammettere la consapevolezza dell’attività criminosa che i due avevano intenzione di realizzare, poteva essere configurato a suo carico il concorso nel reato di cui al D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 55.

Ha concluso pertanto chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO I motivi di ricorso sono fondati nei limiti e sensi più oltre chiariti.

Osserva preliminarmente la Corte che, nel caso di specie, con riferimento alle censure indirizzate con riferimento all’adeguatezza della motivazione, compito del giudice di legittimità rimane la valutazione unitaria sulla effettiva esistenza di una motivazione e sulla complessiva, conclusiva, logicità del provvedimento impugnato.

(Cass. sez. 4, 19.6.2006 n. 30057; Cass. sez. 3, 27.9.2006 n. 37006;

Cass. sez. 6, 26.9.2006 n. 38968; Cass. sez. 6, 17.10.2006 n. 37270;

Cass. sez. 6, 18.12.2006 n. 752; Cass. sez. 2, 11.1.2007 n. 7380).

Tale orientamento risulta, infatti, compatibile con le finalità proprie del giudizio di legittimità, e cioè di esame in diritto delle censure del ricorrente, la mancanza di motivazione, ovvero la motivazione contraddittoria o manifestamente illogica, che non consente di individuare ragioni coerenti poste a base della decisione adottata. Sulla base di queste premesse la Corte deve verificare la presenza delle ragioni giuridicamente significative che hanno determinato la sua adozione e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti "prima facie" dal testo del provvedimento impugnato, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento, (v. Cass., sez. 4, 06.07.2007 n. 37878).

Ciò premesso, a parere della Corte, le doglianze mosse dal ricorrente fanno riferimento al fatto che il provvedimento impugnato contiene una serie di valutazioni disancorate da una serie adeguata di precisi e concreti dati fattuali tali da non essere esente da vizi logici o giuridici.

Orbene, sotto questo profilo ritiene il collegio che il Tribunale, non abbia motivato in modo esaustivo in ordine alle ragioni, in punto di fatto, per le quali abbia ritenuto raggiunti i gravi indizi di colpevolezza; il provvedimento impugnato, infatti, illustra in modo ampio le ragioni in base alle quali è stato ritenuta sussistente l’associazione a delinquere contestata agli indagati; tuttavia nel momento in cui si sofferma ad illustrare la specifica posizione del M.H.B. all’interno del sodalizio criminoso fa riferimento al contenuto delle intercettazioni, per dimostrare la sua compartecipazione all’associazione a delinquere, al supporto logistico che avrebbe fornito agli altri associati, attraverso la fornitura di autovetture, e alla circostanza che sicuramente non avrebbe accettato di mettere a disposizione il mezzo ove non avesse aderito all’associazione. Su questi due elementi dunque deve fare riferimento l’analisi critica per verificare la correttezza del ragionamento posto alla base del provvedimento impugnato.

Orbene non appare alla Corte priva di significato la circostanza che nei confronti del ricorrente il p.m. avesse originariamente ipotizzato la partecipazione ad altra associazione a delinquere avente ad oggetto la commissione di reati fine (furti d’auto) diversi da quelli caratterizzanti l’associazione di cui si discute (clonazione di carte credito). E non appare priva di significato la circostanza che, al ricorrente è stata contestata la qualifica di concorrente esterno, pur ritenendo il Tribunale che allo stesso, in base agli elementi indiziari raccolti in sede di indagine, si sarebbe dovuta attribuire la qualità di partecipe all’associazione a delinquere. L’incertezza in ordine alla esatta collocazione all’interno del quadro ricostruttivo della vicenda in esame inevitabilmente, a parere della Corte, si riverbera sulla qualità degli elementi in base ai quali è stata affermata la gravità indiziaria nei suoi confronti in ordine al reato associativo contestato.

Questa conclusione trova riscontro nell’analisi specifica, ma non parcellizzata, degli elementi a carico del M.. In particolare l’affermata generica e rituale capacità di fornire agli associati il supporto logistico di autovetture in realtà è stata dimostrata in una sola occasione a favore di S. e D., il (OMISSIS), quando con il mezzo messo a loro disposizione dal M. si recarono a (OMISSIS) per porre in essere la loro azione criminosa attraverso la esecuzione di fraudolenti prelievi bancari. Questo è l’unico elemento certo, anche perchè il Tribunale non evidenzia, pur facendo genericamente riferimento ad esse, quali siano le intercettazioni da cui si possano ricavare elementi tali da cui desumere l’appartenenza all’associazione del ricorrente. Anche a voler ritenere provato il collegamento con componenti della comunità di origine, cittadini bulgari, provenienti dalla stessa città o area territoriale, tale elemento, in mancanza di altri legami qualificanti, e tali di per sè non possono essere ritenuti i rapporti derivanti dalla comune nazionalità per soggetti dimoranti in un paese straniero, non può assurgere di per sè a grave elemento indiziante dell’appartenenza ad una associazione a delinquere. Nè rende possibile ritenere pacìficamente, seppur non possa essere escluso in astratto, che il prestito dell’autovettura possa avere come unica giustificazione la consapevolezza dell’uso della medesima per l’esecuzione del reato fine. Nè vi sono elementi da cui emerga una dimostrata disponibilità verso altri connazionali da parte del M., a concedere in uso l’auto di sua proprietà.

La presenza di una sola circostanza appare dunque una base estremamente fragile perchè su di essa possa essere costruita la partecipazione all’associazione a delinquere contestata. Anche se qualificata con il riferimento al numero dei contatti telefonici, avuti peraltro solo con alcuni appartenenti all’associazione, per l’episodio in questione. E sotto questo profilo non appare irrilevante che le stesse conversazioni non siano sufficienti al Gip per accogliere l’ipotesi accusatoria formulata dal p.m. di partecipazione ad una diversa associazione. Peraltro, le telefonate intrattenute con un altro dei soggetti coinvolto nel reato de quo, S.D., secondo quanto afferma la difesa, circostanza che non trova smentita nel provvedimento del Tribunale del riesame, sono solo sette, in un arco di tempo di tre mesi, di cui solo una (13 luglio 2010, secondo l’assunto difensivo, che anch’esso non trova smentita nei generici riferimenti del TDL) viene riportata nell’OCC a sostegno dell’ipotesi accusatoria. Il quadro complessivo in cui si inserisce dunque il ruolo del ricorrente non sembra possa avere caratteristiche tali da assumere quel grado di qualità indiziaria in base alla quale giustificare la misura cautelare adottata.

L’impugnata ordinanza pertanto deve essere annullata proprio perchè allo stato la stessa appare contraddittoria tra il peso delle risultanze istruttorie evidenziate a carico del ricorrente e la reale portata e consistenza delle medesime a supporto dell’accusa di partecipazione ad una associazione a delinquere e non ad esempio, in una azione concorsuale limitata a all’esecuzione del reato fine.

Le motivazioni relative agli episodi sopra richiamati correttamente, a parere della Corte, non possono essere ritenute idonee a dimostrare il collegamento "qualificato" del prevenuto con l’organizzazione criminale; gli indizi emersi dall’esame del contenuto delle intercettazioni, così come valorizzati dal TDL, non sono indicativi della partecipazione all’associazione in quanto riguardanti attività oggettivamente utili a favorire altri associati ma non a sostenere l’intera vita del sodalizio criminale, in particolare se coordinati e apprezzati globalmente secondo logica comune, rispetto alla valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p..

E ciò nella consapevolezza della natura stessa degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni alternative, ma che comunque devono essere idonee a dimostrare il fatto se coordinate organicamente. (Cassazione penale, sez. 4, 04/03/2008, n. 15198).

In questo caso, dunque, le censure del ricorrente non propongono una valutazione alternativa delle prove, circostanza inammissibile atteso che in tema di misure cautelari personali, la valutazione del peso probatorio degli indizi è compito riservato al giudice di merito e, in sede di legittimità, tale valutazione può essere contestata unicamente sotto il profilo della sussistenza, adeguatezza, completezza e logicità della motivazione; viceversa, le censure sollevate investono, allo stato, la logicità e non contraddittorietà della motivazione, senza risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze già adeguatamente e compiutamente esaminate dal giudice di merito, tanto che l’iter argomentativo seguito dal giudice è carente sul piano logico, a parere della Corte, in modo evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi", senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali. (Cass. pen., sez. 4 12 giugno2008, n. 35318). Appaiono invece infondati i motivi concernenti l’incompetenza territoriale, non avendo gli elementi indicati dalla difesa caratteristiche e forza tali da far ritenere errata la scelta operata in base all’art. 9 c.p.p. ai fini del radicamento della competenza territoriale, mentre appare generico e comunque smentito dalla natura della contestazione ad alcuni coindagati, qualificati come promotori, la possibilità di utilizzazione delle intercettazioni, che risultano essere state effettuate per reati compatibili (appunto per i promotori dell’associazione a delinquere) con la previsione normativa.

Alla luce delle suesposte considerazioni deve essere annullata l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame. Si provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Annulla l’impugnata ordinanza con rinvio al Tribunale di Firenze per nuovo esame.

Si provveda a norma dell’art. disp. att. c.p.p..

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