Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-05-2012, n. 8351

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 21/01/09, depositata il 9.10.09, la Commissione Tributaria Regionale della Liguria rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Genova (OMISSIS) ed accoglieva l’appello proposto dalla Edil 90 s.n.c. di De Agostino Antonio avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso della società contribuente limitatamente all’avviso di accertamento emesso ai fini IRAP ed IVA per l’anno di imposta 2000, mentre era stato rigettato il ricorso proposto dalla medesima avverso il diniego di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9.

2. La CTR considerava, invero, perfezionato il condono richiesto dalla contribuente, per avere quest’ultima versato l’importo minimo di Euro 6.000,00 richiesto per il perfezionamento dell’estinzione della pendenza fiscale, e – di conseguenza – riteneva illegittimi sia il diniego di condono, che il susseguente avviso di accertamento per le maggiori somme dovute.

3. Per la cassazione della sentenza della n. 21/01/09 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Entrate, articolando tre motivi, ai quali la società Edil 90 s.n.c. ed i soci D.A.A. e M. C. hanno replicato con controricorso.

All’udienza del 4.4.2012, la Corte – profilandosi la rilevabilità d’ufficio della questione relativa alla disapplicazione, nella materia oggetto del processo, del diritto nazionale confliggente con il diritto comunitario – ha concesso termine per controdeduzioni su tale questione ex art. 384 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con tutti e tre motivi di ricorso – che, per tale ragione, vanno esaminati congiuntamente – l’Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione, sotto profili diversi, della L. n. 289 del 2002, art. 9, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. Avrebbe, invero, errato la CTR – a parere dell’amministrazione ricorrente nel ritenere perfezionato il condono per avere la contribuente versato un importo superiore ad Euro 6.000,00 (precisamente Euro 6.096,00), costituente l’importo minimo necessario per il conseguimento del beneficio in questione, ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12. Il giudice di appello non avrebbe, infatti, tenuto conto dell’inapplicabilità della "sanatoria" di cui alla norma succitata nelle ipotesi in cui il contribuente – come nel caso concreto – abbia erroneamente calcolato gli importi dovuti per la definizione automatica della pendenza fiscale. Nella specie, pertanto, essendo la somma da corrispondere superiore (Euro 7.744,00) a quella versata (Euro 6.096,00) dalla Edil 90 s.n.c., la CTR non avrebbe potuto ritenere – ad avviso dell’Agenzia delle Entrate – perfezionato il condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9.

1.2. Inoltre, a parere della ricorrente amministrazione, la suindicata disposizione dell’art. 9, comma 12 si applicherebbe nella sola ipotesi in cui il contribuente opti per il pagamento rateale, e non in un’unica soluzione, dell’importo minimo necessario per il perfezionamento del condono, ancorchè inferiore a quanto effettivamente dovuto. E sempre che il pagamento di tale importo di Euro 6.000,00 venga effettuato per ciascun anno di imposta, e non – come ritenuto dalla CTR – complessivamente per tutti gli anni oggetto del condono.

2. Premesso quanto precede, e passando all’esame del merito del ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate, ritiene la Corte che debba anzitutto operarsi una distinzione tra le due imposte in contestazione, ossia l’IVA e l’IRAP. 2.1. Per quanto concerne la prima, invero, va osservato che il ricorso dell’amministrazione si palesa fondato, per una questione che la Corte ritiene di dover rilevare d’ufficio, e che è stata portata a conoscenza delle parti nella pubblica udienza, con concessione alle stesse di un termine ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 3.

2.1.1. Rileva, infatti, la Corte che – in tema di condono fiscale, limitatamente all’IVA – le misure clemenziali che comportano una rinuncia definitiva dell’amministrazione alla riscossione di un credito già accertato contrastano con la 6^ direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio, in data 17.5.77, così come interpretata dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 17.7.08, in causa C-132/06.

Secondo tale decisione, invero, la Repubblica Italiana è venuta meno agli obblighi di cui agli artt. 2 e 22 della predetta sesta direttiva del Consiglio, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri in materia di IVA, per avere previsto, con la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, una rinuncia generale ed indiscriminata all’accertamento delle operazioni imponibili effettuate nel corso di una serie di periodi di imposta, così pregiudicando seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’imposta sul valore aggiunto.

2.1.2. Da tali affermazioni di principio della Corte di Giustizia discende, pertanto, che va disapplicato, per contrasto con il menzionato diritto comunitario cogente, sebbene con riferimento alla sola IVA, la L. n. 289 del 2002, art. 9 che – consentendo di definire una controversia evitando, come effetto automatico dell’adesione al condono, qualsiasi accertamento fiscale, nonchè il pagamento di sanzioni connesse al ritardato od omesso versamento del tributo – comporta una rinuncia definitiva, in tutto o in parte, all’imposta accertata ed alle sanzioni. Queste ultime, invero, ancorchè non ricomprese nella lettera della 6^ direttiva, per il loro carattere dissuasivo, oltre che repressivo, vengono ad incidere significativamente sul corretto adempimento dell’obbligo di pagamento del tributo principale; per il che la rinuncia definitiva alle stesse si traduce, del pari, in un palese contrasto con il suindicato diritto comunitario cogente (cfr. Cass. 22250/11, 19546/11).

Nè può dubitarsi del fatto che la disapplicazione del diritto nazionale confliggente con le succitate norme del diritto comunitario debba essere operata, pure d’ufficio, anche nel presente giudizio di legittimità, onde assicurare la piena applicazione delle norme comunitarie aventi un rango preminente rispetto a quelle del singoli Stati membri. A tanto induce, invero, il principio di effettività, enunciato nell’art. 10 del Trattato CE, che comporta l’obbligo per il giudice nazionale di applicare il diritto comunitario in qualsiasi stato e grado del processo, senza che possano ostarvi preclusioni procedimentali o processuali, o – nella specie – il carattere chiuso del giudizio di cassazione (Cass. S.U. 26948/06, Cass. 19546/11).

2.1.3. Per tutte le ragioni suesposte, pertanto, vertendosi, nel caso concreto, in ipotesi di omesso pagamento dell’IVA per l’anno 2000, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate – pur tenendo conto di quanto dedotto dai resistenti nella memoria ex art. 384 c.p.c. – non può che essere accolto, in relazione all’imposta in parola, dovendo essere disapplicata la disposizione della L. n. 289 del 2002, art. 9, sulla quale la società contribuente ha fondato il proprio diritto all’estinzione della pretesa fiscale a-zionata nei suoi confronti.

2.2. Diverso discorso va fatto, invece, per quanto concerne l’IRAP, alla quale non si applicano, invero, le suesposte preclusioni al condono derivanti dal diritto comunitario. Per quel che attiene all’imposta in questione, ritiene, peraltro, la Corte che le doglianze dell’amministrazione ricorrente – diversamente da quanto si è detto per l’IVA – non siano fondate e non meritino accoglimento.

2.2.1. Ed invero, dall’esame della disposizione di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12 – che si assume violata, o falsamente applicata dalla CTR – si desume chiaramente che la definizione automatica della pendenza fiscale non diviene inefficace, contrariamente a quanto sostenuto dall’Agenzia delle Entrate, in conseguenza del mancato versamento delle eccedenze, rispetto all’importo minimo stabilito dalla stessa norma (per le persone giuridiche) in Euro 6.000,00.

In siffatta ipotesi, infatti, la stessa disposizione si limita a fare carico all’amministrazione di procedere al recupero di dette somme in eccedenza rispetto all’importo minimo suindicato, mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 14 nonchè di provvedere all’applicazione della sanzione amministrativa prevista dallo stesso L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12. Per il che nessuna sanzione di decadenza può intendersi comminata da detta disposizione a carico del contribuente, per il solo fatto dell’omessa corresponsione delle eccedenze rispetto al minimo previsto dalla norma stessa, fatto salvo il recupero di tali somme in eccedenza all’Erario, con le modalità suindicate.

2.2.2. Neppure è dato in alcun modo desumere dall’esame della suddetta norma che l’applicazione della "sanatoria" ivi prevista sia limitata come assume l’Agenzia delle Entrate – alla sola ipotesi di versamento rateale, e non in unica soluzione, del predetto importo minimo, sebbene inferiore a quello dovuto per il condono. E tanto meno può affermarsi che la fattispecie in esame si attagli – come preteso dall’amministrazione ricorrente – al solo caso in cui il contribuente abbia correttamente calcolato le somme dovute per il condono, e non anche in quello in cui tale calcolo sia errato.

Nessuna delle suindicate limitazioni all’applicabilità dell’ipotesi di "sanatoria" in oggetto è, invero, in alcun modo desumibile dall’esame del testo della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12.

2.2.3. Il tenore letterale della norma, che nessun riferimento in tal senso opera, induce, infine, ad escludere che la somma minima di Euro 6.000,00, sia da intendersi come dovuta per ciascuna annualità di imposta, e non complessivamente per tutti gli anni oggetto di condono.

In tal senso depone – per vero — il chiaro disposto della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 12, laddove prevede che "qualora gli importi da versare (.,,) eccedano complessivamente la somma di (…) 6.000,00 Euro (per le persone giuridiche), gli importi eccedenti possono essere versati in due rate di pari importo", entro determinate scadenze fissate dalla stessa norma. Nessun riferimento all’eccedenza di detti importi per ciascuna singola annualità, è contenuto, quindi, nella norma succitata.

2.2.4. In definitiva, dunque, dall’esame del tenore letterale della disposizione in parola non può che inferirsi, a giudizio della Corte, che in tutte lo ipotesi in cui le somme da versare per il condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9 eccedano "complessivamente" i limiti minimi previsti dal comma 12 da tale disposizione (Euro 3.000,00 per le persone fisiche od Euro 6.000,00 per gli altri soggetti), il versamento di detti importi minimi impedisce la decadenza del contribuente dal condono. E ciò, sia che le somme in parola vengano corrisposte ratealmente, sia che vengano pagate in unica soluzione, ed abbia – o meno – il contribuente calcolato correttamente le somme dovute per la definizione automatica della pendenza.

Tale conclusione si palesa – per vero – coerente con la stessa finalità del condono L. n. 289 del 2002, ex art. 9, che è quella di agevolare la definizione transattiva della controversia, precludendo, per un verso, all’amministrazione – una volta corrisposto dal contribuente l’importo previsto dalla legge – qualsiasi ulteriore accertamento, per altro verso, impedendo al contribuente medesimo la possibilità di ottenere, proseguendo la controversia nei modi ordinari, l’eventuale rimborso delle somme indebitamente versate (cfr. Cass. S.U. 14828/08).

3. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso dell’amministrazione va accolto in relazione all’IVA per l’annualità di imposta in contestazione, mentre va disatteso in relazione all’IRAP per la medesima annualità. L’accoglimento della suindicata censura comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la Corte, nell’esercizio del potere di decisione nel merito di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, accoglie il ricorso introduttivo del contribuente limitatamente all’IRAP per l’anno di imposta 2000.

4. La novità e complessità delle questioni – per alcune delle quali non vi sono precedenti giurisprudenziali, per altre la giurisprudenza sul punto si è consolidata in epoca successiva alla proposizione del ricorso – inducono la Corte a compensare integralmente le spese di tutti i gradi del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE accoglie il ricorso dell’Agenzia delle Entrate limitatamente all’IVA per l’anno di imposta 2000; cassa l’impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo proposto dal contribuente, limitatamente all’IRAP per l’anno di imposta 2000; compensa integralmente le spese di tutti i gradi del giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 4 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 25 maggio 2012

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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