Cass. civ. Sez. V, Sent., 25-05-2012, n. 8343

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.A. impugnò una cartella di pagamento emessa dall’agenzia delle entrate di Parma a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione mod. unico 2002, contenente un recupero di imposte (Irpef e Irap) conseguente al disconoscimento di crediti tributari. L’adita commissione tributaria provinciale accolse il ricorso condividendo il rilievo di difetto assoluto di motivazione dell’atto.

La commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, sez. di Parma, con sentenza n. 102/23/2009, su appello dell’agenzia delle entrate, ha riformato la decisione considerando che il contribuente aveva aderito al condono di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 9; che quella attivata a mezzo della cartella era una semplice procedura di recupero di importi dal contribuente dovuti in base alla dichiarazione; che la cartella era stata adeguatamente motivata avendo precisato il presupposto normativo e il dettaglio della somme richieste e delle relative causali; che erano rimaste indimostrate le doglianze circa asserite responsabilità di un non meglio precisato intermediario per l’omessa presentazione della dichiarazione annuale relativa all’anno 2000. Per la cassazione di questa sentenza, il M. ha proposto ricorso affidato a otto motivi, ai quali l’amministrazione ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, commi 1 e 3, e della L. n. 241 del 1990, art. 3. Afferma che il fulcro della pretesa tributaria si era sostanziato nella rilevanza del condono, al quale il contribuente aveva aderito, quale causa ostativa al riconoscimento di esposti crediti fiscali; e che questo elemento non era stato evidenziato nella motivazione della cartella di pagamento, la quale aveva superato i confini della funzione liquidatoria dell’imposta per assurgere a vero e proprio atto impositivo. Sicchè aveva errato la commissione regionale nel riformare la sentenza di primo grado che aveva dichiarato l’illegittimità della cartella per difetto di motivazione.

Il primo motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza (non essendo riportato il contenuto della cartella di cui si discute) e perchè suppone un’indagine di merito non suscettibile di trovare ingresso in questa sede.

La Corte si limita a considerare che la commissione regionale ha accertato, con valutazione in fatto sottratta al sindacato di legittimità, se non sotto il profilo del controllo di logicità (qui non sollecitato) della motivazione, che la cartella aveva precisato la base normativa in relazione alla quale era stata emessa (appunto il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis) e specificamente indicato le somme richieste e il titolo reggente la pretesa.

2. – Il secondo motivo denunzia omessa motivazione su fatto controverso decisivo per il giudizio.

Si lamenta che il giudice di secondo grado abbia implicitamente rigettato, trattandosi di motivo di impugnazione proposto in via preliminare nel giudizio di primo grado, le argomentazioni del contribuente in ordine all’intervenuta decadenza del potere di accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis senza illustrare l’iter motivazionale seguito. Il secondo motivo è inammissibile in quanto indimostrato nel presupposto, non essendo sorretta da elemento alcuno l’affermazione previa, che cioè la sentenza avrebbe implicitamente rigettato un motivo di gravame del genere. Dalla sentenza non risulta che una simile doglianza sia stata invero riproposta in secondo grado ai fini di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56. Nè questo è affermato, in termini di autosufficienza, nell’odierno ricorso.

3. – Il terzo mezzo deduce eguale vizio di omessa motivazione in relazione all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che l’adesione del contribuente al condono tombale per gli anni dal 1997 al 2002 "preclude ogni indagine di merito circa le predette annualità".

Il motivo è inammissibile in quanto attinge una valutazione giuridica, e dunque un aspetto della motivazione in diritto, come tale estraneo al paradigma di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. 4. – Il quarto motivo deduce nullità della sentenza per omessa pronuncia ( art. 360 c.p.c., n. 4).

Secondo il ricorrente, il giudice di secondo grado avrebbe omesso di pronunciare in ordine a un motivo di impugnazione avverso la cartella, riproposto in sede di controdeduzioni all’appello. Tale motivo si sarebbe identificato nell’affermazione – dall’appellato opposta alla tesi dell’agenzia appellante circa l’insorgenza nell’anno 2000 del credito disconosciuto, anno per il quale la dichiarazione era stata omessa – secondo la quale la dichiarazione detta dovevasi in realtà considerare regolarmente presentata in quanto sottoscritta dall’intermediario incaricato della trasmissione telematica; mentre dovevasi ritenere irrilevante, perchè ascrivibile a colpa esclusiva dell’intermediario stesso, il fatto dell’omessa trasmissione.

Il motivo è infondato, giacchè la commissione regionale ha tratto la ratio decidendi da una diversa affermazione giuridica pregiudiziale e assorbente, concernente l’effetto del condono considerato preclusivo dell’accertamento circa l’effettività del credito esposto in relazione a una delle annualità da esso compresa.

Il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è configurabile allorchè manchi completamente l’esame di una censura mossa al giudice di primo grado. La violazione non ricorre nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che totalmente prescinda dalla censura (cfr. tra le tante Cass. n. 11756/2006).

5. – Egualmente infondato è il quinto mezzo.

In tal caso si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9. La tesi sostenuta è che una lettura sistematica della norma doveva portare a concludere che il credito, indicato nella dichiarazione presentata per l’anno 2001, non poteva essere disconosciuto proprio per l’esistenza di un condono tombale, nonchè per il fatto che l’omessa presentazione della dichiarazione relativa all’anno precedente era stata a sua volta condonata ai sensi del cit. art. 9, comma 8.

Osserva la Corte che, in verità, la tesi contraddice il testo della disposizione evocata, giacchè la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9 descrive gli effetti della dichiarazione automatica per gli anni pregressi nel seguente modo: "La definizione automatica, limitatamente a ciascuna annualità, rende definitiva la liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione con riferimento alla spettanza di deduzioni e agevolazioni indicate dal contribuente o all’applicabilità di esclusioni. Sono fatti salvi gli effetti della liquidazione delle imposte e del controllo formale in base rispettivamente al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 36-bis e 36-ter e successive modificazioni, nonchè gli effetti derivanti dal controllo delle dichiarazioni IVA ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 e successive modificazioni; le variazioni dei dati dichiarati non rilevano ai fini del calcolo delle maggiori imposte dovute ai sensi del presente articolo. La definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell’imposta sul valore aggiunto, nonchè dell’imposta regionale sulle attività produttive. La dichiarazione integrativa non costituisce titolo per il rimborso di ritenute, acconti e crediti d’imposta precedentemente non dichiarati, nè per il riconoscimento di esenzioni o agevolazioni non richieste in precedenza, ovvero di detrazioni d’imposta diverse da quelle originariamente dichiarate".

E’ ammesso nel motivo quanto dal giudice di merito accertato circa la mancata presentazione della dichiarazione relativa all’anno 2000, da cui sarebbe derivato il credito d’imposta.

E simile dato si rivela decisivo, posto che, secondo la giurisprudenza della Corte in tema di condono fiscale, alla quale il collegio intendere dare continuità, la previsione della L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 9 per il quale la definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti da dichiarazioni presentate, se comporta che nessuna modifica di tali importi può essere determinata dalla definizione automatica, non sottrae all’amministrazione il potere di contestare il credito (v.

Cass. n. 5586/2010), atteso che il condono fiscale elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti dell’erario, i quali restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio (v. Cass. n. 375/2009).

6. – Il sesto motivo, denunziante un ulteriore preteso vizio di motivazione della sentenza, è del tutto generico e privo di riferimenti al fatto controverso a base della censura.

7. – Il settimo motivo – nullità della sentenza per omessa pronuncia ( art. 360 c.p.c., n. 4) – è inammissibile perchè relativo non a una ragione di censura avverso la sentenza di primo grado, ma a un’argomentazione giuridica – affermata come già introdotta in primo grado (in una memoria di risposta alle controdeduzione dell’ufficio) e riproposta in appello – per di più generica, in quanto correlata a una non meglio precisata "produzione documentale (..) completa ed esauriente" asseritamente dimostrativa della spettanza del credito.

Laddove il giudice d’appello ha attinto la decisione dal diverso assorbente profilo, più sopra esposto, concernente gli effetti del condono preclusivi del consolidamento del credito d’imposta.

8. – L’ottavo motivo, pure denunziante il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione sul fatto controverso della subordinata non irrogabilità delle sanzioni, si palesa inammissibile per difetto di autosufficienza, non essendo indicato in quali termini una simile questione, non esaminata dal giudice di primo grado per assorbimento della decisione altrimenti favorevole al contribuente, sia stata riproposta, dal contribuente medesimo, in appello ( D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56).

9. – In conclusione il ricorso è rigettato. Le spese processuali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 4.500,00 oltre le spese prenotate a debito.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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