T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 21-12-2011, n. 9997

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente impugnava innanzi a questo Tribunale con ricorso n. 8606 del 2009 l’esito della partecipazione alle prove scritte del concorso notarile bandito con D.D.G. 10 luglio 2006, ove aveva riportato, all’esito della lettura dei tre elaborati, valutazione di non idoneità.

Con sentenza 21 luglio 2010, n. 27517, la Sezione, rilevato da incontroversi elementi che nel corso della correzione delle prove la commissione esaminatrice aveva modificato il metro di giudizio in relazione ad alcune ben individuate tematiche poste dalle tracce delle prove, e tenuto conto che il negativo giudizio avversato con il proposto ricorso era motivato anche con il riferimento a due delle predette tematiche, accertava l’illegittimità dell’impugnato giudizio e, per l’effetto, nel disporne l’annullamento, ed al fine di verificare se il giudizio di insufficienza conclusivamente espresso meritasse o meno conferma, ordinava la rivalutazione delle prove del candidato, da effettuarsi da parte di una sottocommissione in composizione diversa rispetto a quella che aveva reso il giudizio annullato.

Il 29 settembre 2010 veniva data esecuzione alla predetta sentenza, con esame da parte della commissione esaminatrice in diversa composizione degli elaborati di cinque candidati racchiusi in buste anonime, tra cui quelli del ricorrente.

All’esito della lettura del primo elaborato (atto mortis causa), il ricorrente veniva nuovamente valutato "non idoneo".

Il giudizio di inidoneità è stato dalla commissione esaminatrice racchiuso nella seguente valutazione:

"…essendo emerso un gravissimo errore laddove:

– nel testamento manca la previsione di qualsiasi meccanismo volto ad evitare che a Mevio possano pervenire beni ereditari;

– nella parte motiva il candidato afferma che i medesimi effetti di una clausola diseredativa potrebbero essere raggiunti attraverso la semplice preterizione di Mevio".

Con il ricorso all’odierno esame l’interessato ha impugnato il predetto giudizio di inidoneità, avverso il quale ha dedotto: violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 3 l. 241/90 – eccesso di potere per erroneità del presupposto e travisamento dei fatti – illogicità e irragionevolezza – disparità di trattamento – violazione dei criteri ai quali la commissione si è auto vincola in riferimento al giudizio di non idoneità a seguito della correzione di un unico elaborato.

Le doglianze racchiuse nelle predette censure possono essere suddivise in vari filoni argomentativi.

Con una prima linea assertiva, poi sviluppata nel prosieguo del gravame, il ricorrente afferma che l’atto mortis causa non può presentare le gravi carenze ed insufficienze rilevate, tenuto conto del fatto che il precedente giudizio aveva reso la valutazione di inidoneità dopo la lettura di tutti e tre gli elaborati. Il ricorrente stigmatizza anche che il giudizio di inidoneità sia stato reso a maggioranza e non all’unanimità

Con il secondo profilo di censura, sul quale si incentra la gran parte del gravame, rilevato che il giudizio di inidoneità si è fondato sulla asserita erronea applicazione di principi inerenti alla diseredazione, svolta una dotta e pregevole ricostruzione dottrinaria e giurisprudenziale dell’istituto, illustrante il dibattito, ancora aperto, relativo alla sua eventuale ammissibilità nel diritto vigente, così come risultante dalle tre prevalenti teoriche (inammissibilità; piena ammissibilità; ammissibilità limitatamente all’ipotesi di contestuale presenza di disposizione positiva testamentaria, a titolo universale o particolare, in favore di soggetti distinti dal diseredato), con dovizia di riferimenti bibliografici e richiami ad elementi ricavabili dal diritto positivo, afferma il ricorrente di aver illustrato compiutamente i tre indirizzi nella parte teorica, e di aver prescelto una soluzione che ha attuato compiutamente la volontà del testatore, esaurendo l’intero asse mediante istituzione di erede universale e disposizione di legati, ciò che ha scongiurato qualsiasi forma di attribuzione nei confronti del diseredato, seppur evitando una vera e propria clausola diseredativa, raggiungendo, comunque, i medesimi effetti mediante l’utilizzo dell’istituto della preterizione. Ciò mutuando teoriche fatte proprie dalla più autorevole dottrina e dalla Cassazione, con la prudenza resa necessaria dalla perdurante attualità del dibattito dottrinario e giurisprudenziale e dalla esigenza di evitare di incorrere nella nullità dell’atto testamentario.

Di talchè espone il ricorrente che il proprio elaborato non si presta alle gravi mende evidenziate dalla commissione esaminatrice, che, del resto, nella correzione di altri elaborati, ha valutato idonee soluzioni non dissimili, ed anche considerata la impercorribilità di altre soluzioni, fatta oggetto di analitiche doimostrazioni.

Secondo il ricorrente, il giudizio che l’elaborato contenga un errore gravissimo di diritto sarebbe, pertanto, conclusione illogica, oltre che del tutto travisata, tenuto conto che nella materia, in assenza di disciplina legislativa, non può parlarsi di errore in senso tecnico.

Quanto, invece, al rilievo effettuato dalla commissione sulla parte teorica, il ricorrente ritiene di aver ivi chiarito più che adeguatamente le ragioni sottostanti alle scelte effettuate nell’atto, con motivazioni che danno la misura e il senso della maturità professionale raggiunta.

Il ricorrente passa, poi, ad illustrare le ragioni in forza delle quali non ha utilizzato alcuno dei "meccanismi" volti ad evitare che al diseredato potessero comunque pervenire beni ereditari, la cui assenza è stata espressamente censurata dalla commissione, sostenendo, in particolare, che tali meccanismi (riportare comunque nell’atto notarile la clausola diseredativa; previsione infinita di sostituzioni ereditarie) non trovano adeguato fondamento dottrinario e, ove apposti, rivelando l’intento diseredativo illecito, determinerebbero la nullità del testamento.

Infine, con un terzo ordine motivazionale, il ricorrente, avendo appreso, mediante accesso agli atti, che altri candidati, valutati idonei, o non hanno contemplato nei propri elaborati i "meccanismi" di cui sopra ovvero li hanno previsti con modalità che rendono nullo l’atto, ovvero ancora hanno commesso altri gravissimi errori, denunzia la disparità di trattamento riservatagli dalla commissione.

Esaurita l’illustrazione delle illegittimità rilevate a carico degli atti impugnati, il ricorrente ne ha domandato l’annullamento, con conseguente adozione dell’ordine di riesame degli elaborati ad opera di una diversa commissione esaminatrice.

Si è costituita in resistenza l’intimata Amministrazione, domandando il rigetto del gravame, di cui sostiene l’infondatezza.

Con ordinanza 10 marzo 2011, n. 886, la Sezione ha respinto la domanda di sospensione interinale degli effetti degli atti impugnati, incidentalmente avanzata dalla parte ricorrente.

Nel prosieguo, il ricorrente ha affidato a memoria lo sviluppo delle proprie tesi difensive.

Il ricorso è stato indi trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 26 ottobre 2011.

Motivi della decisione

1. Si controverte nel presente giudizio in ordine alla legittimità della valutazione, effettuata in sede di riedizione del potere amministrativo conseguente a sentenza demolitoria della Sezione, di non idoneità conseguita dal ricorrente, all’esito della partecipazione al concorso notarile bandito con D.D.G. del 10 luglio 2006, sul primo elaborato oggetto di correzione (atto mortis causa), che ha determinato la mancata correzione delle altre prove scritte e la mancata ammissione del medesimo alle prove orali.

2. E’ bene anticipare immediatamente che le censure avanzate dal ricorrente non possono trovare favorevole considerazione da parte del Collegio, atteso che la maggior parte di esse sono state più volte affrontate e risolte dalla giurisprudenza amministrativa, anche della Sezione, che ha raggiunto conclusioni dalle quali non vi è qui motivo di discostarsi, non avendo parte ricorrente proposto utili elementi di rimeditazione, mentre il restante non rivela consistenza tale da invalidare il giudizio reso dalla competente commissione esaminatrice.

3. Le questioni denunziate in gravame attengono principalmente all’attendibilità del giudizio finale espresso dall’organo amministrativo.

In particolare, il ricorrente, non riscontrando nel proprio elaborato alcuno dei vizi rilevati dalla commissione, ed, in particolare, i gravi errori consistenti, vertendosi sull’istituto della diseredazione, nella mancata previsione di meccanismi volti ad evitare la possibilità che al soggetto da diseredare secondo la volontà del testatore potessero pervenire beni ereditari, nonché nella ritenuta equivalenza, quanto agli effetti, tra clausola diseredativa e preterizione, ed, anzi, premessa la correttezza e la maturità della soluzione proposta, confortata dal considerevole approfondimento delle sottostanti problematiche effettuato nella parte teorica, anche mediante riferimenti dottrinali e giurisprudenziali, denunzia l’erroneità, l’ingiustizia, il travisamento dei fatti, l’incongruenza, l’illogicità e la disparità di trattamento in cui sarebbe incorsa l’impugnata valutazione.

A sostegno di tali censure, il ricorrente, come emerge pianamente dalla impostazione del gravame, di cui si è cercato di dare conto in fatto, seppur con la necessaria sinteticità, confuta, in radice, la sostenibilità dell’impostazione logicogiuridica sottostante al giudizio reso dalla commissione esaminatrice, mediante il ripetuto richiamo, da un lato, all’assenza, nella materia, di norme di diritto positivo, dall’altro, al risalente vivace dibattito dottrinario e giurisprudenziale che connota la questione.

Un siffatto percorso argomentativo non può essere seguito dal Collegio.

E’ noto, infatti, che il giudizio di legittimità non può trasmodare in un pratico rifacimento, ad opera dell’adito organo di giustizia, del giudizio espresso dalla commissione esaminatrice (con conseguente sostituzione del primo alla seconda), di talchè trova applicazione alla fattispecie il principio per cui nella presente sede l’apprezzamento tecnico della commissione è sindacabile soltanto ove risulti macroscopicamente viziato da illogicità, irragionevolezza o arbitrarietà.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza, anche della Sezione, il giudizio della commissione esaminatrice, comportando una valutazione essenzialmente qualitativa della preparazione scientifica dei candidati, attiene alla sfera della discrezionalità tecnica, censurabile unicamente sul piano della legittimità e solo per evidente superficialità, incompletezza, incongruenza, manifesta disparità, se emergenti dalla stessa documentazione ed ove tali da configurare un palese eccesso di potere, senza che, con ciò, il giudice possa o debba entrare nel merito della valutazione (tra tante, C. Stato, IV, 17 gennaio 2006, n. 172).

Si dimostrano, pertanto, inammissibili e comunque infondate le censure che si limitano a proporre la correttezza della impostazione e della soluzione del tema oggetto di concorso.

Diversamente opinandosi, lo scrutinio giudiziale verrebbe a sovrapporsi alla valutazione tecnica effettuata dalla competente commissione, inverando la preclusa cognizione del merito della questione.

Indi, applicando i sopra enunciati criteri al caso di specie, l’apprezzamento tecnico svolto dalla commissione esaminatrice potrebbe essere scalfito solo dalla dimostrazione dell’esistenza di evidenti illogicità o manifeste ingiustizie.

E tali ipotesi non si inverano nella controversia in esame, nella quale, con ogni chiarezza, alla mera lettura delle osservazioni esposte dal ricorrente, le proposte censure si atteggiano esclusivamente come un – inammissibile – tentativo di sostituire il punto di vista della commissione valutatrice, come mutuato nella predisposizione dei criteri di valutazione ed applicato nella correzione delle singole prove, con quello dell’interessato, sottoposto alla valutazione.

Né miglior sorte possono avere le censure con le quali il ricorrente provvede ad una comparazione del proprio elaborato con quello di altri candidati valutati idonei.

Osta all’accoglibilità di un siffatto percorso non solo quanto sin qui argomentato, ma anche l’opinabilità delle questioni giuridiche sottese ai quesiti, spesso articolati e complessi, che connotano le prove d’esame del concorso notarile, che impedisce di esaminarle come se si trattasse di quiz rispetto ai quali la commissione sarebbe chiamata soltanto a verificare l’esattezza o meno delle risposte fornite, laddove invece il giudizio sulle soluzioni offerte dal candidato è spesso condizionato in modo determinante dal percorso logico e dalle argomentazioni che le sostengono, nell’ambito di una più generale valutazione sulla completezza e la logica interna dell’elaborato (tra tante, da ultimo, C. Stato, IV, 2 marzo 2011, n. 1350).

In altre parola, nella valutazione degli elaborati svolti in una procedura pubblica per l’accesso ad una professione a numero chiuso, volta alla selezione dei migliori e non già di tutti coloro che dimostrino di saper comunque giungere a conclusioni esatte, incidono non solamente l’esattezza delle soluzioni giuridiche formulate, ma anche la modalità espositiva e, non da ultimo, la complessiva delineazione del contesto nell’ambito del quale le soluzioni stesse vengono proposte, suscettibile di evidenziare la preparazione generale del candidato e la coerenza dell’andamento del percorso logicogiuridico seguito (tra tante altre, Tar Lazio, Roma, I, 21 luglio 2010, n. 27511; 25 giugno 2004, n. 6209).

4. Neanche le ulteriori censure risultano fondate.

Il Collegio non può, infatti, rinvenire alcuna illegittimità né nella circostanza che il giudizio di idoneità non sia stato reso all’unanimità, tenuto conto che la deliberazione a maggioranza è una tipica modalità di formazione, nella procedura concorsuale in esame, come in altre, delle determinazione degli organi collegiali, né nella circostanza che il precedente giudizio di inidoneità sia stato reso all’esito della valutazione di tutti e tre gli elaborati, tenuto conto del fatto che tale ultimo giudizio è stato annullato dalla sentenza della Sezione n. 27517 del 2010.

5. Le ulteriori argomentazioni difensive formulate dal ricorrente con memoria depositata in corso di giudizio nulla aggiungono alle questioni come sin qui trattate.

6. Per tutto quanto precede, il ricorso deve essere respinto.

Sussistono, nondimeno giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima)

definitivamente pronunciando sul ricorso di cui in epigrafe, lo respinge.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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