Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 16-11-2011, n. 42149

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con ordinanza 11 gennaio 2011 il Tribunale del riesame di Milano ha respinto l’appello presentato da B.M.P.P. avverso l’ordinanza del 4 novembre 2010 emessa dal Tribunale di Milano, Sez. 4^ penale, che aveva ripristinato, a norma dell’art. 307 cpv. c.p.p., lett. b) la custodia cautelare in carcere, in relazione ai delitti di truffa continuata aggravata in danno dello Stato, falso in atto pubblico ed ottantuno delitti di lesioni personali dolose aggravate, realizzati nell’ambito della sua attività professionale di primario del reparto di chirurgia toracica della Casa di Cura Santa Rita di Milano, convenzionata con il S.S.N., in merito ai quali era stato condannato da quel Tribunale con sentenza in data 28 ottobre 2010 alla pena di anni quindici e mesi sei di reclusione.

Il prevenuto era stato originariamente attinto da ordinanza datata 6 giugno 2008 applicativa della custodia cautelare in carcere, dichiarata poi estinta per scadenza dei termini di fase il 16 luglio 2009.

Ad avviso del Tribunale, pur non essendo elemento sufficiente da sola a descrivere l’attualità del pericolo di fuga, la condanna alla severa pena detentiva ben si sarebbe potuta valutare unitamente ad altri elementi per affermare la concretezza dell’esigenza di cautela.

Al proposito, il giudice d’appello si è rifatto alle plurime valutazioni già effettuate in sede cautelare nel procedimento in questione e nell’altro collegato, sempre a carico del prevenuto, per truffa, falso, lesioni ed omicidio volontario, con cui era stato osservato come non potesse riporsi nel prevenuto la minima fiducia, rilevante nella valutazione di adeguatezza di forme di cautela la cui efficacia è sostanzialmente rimessa alla volontà del soggetto sottoposto, ed ha valutato che l’esito del procedimento penale e in particolare l’entità della pena inflitta e di quella infliggenda, la personalità dell’imputato, la natura e il contesto in cui erano maturati i gravissimi delitti per cui è processo, rendessero allo stato concreto il pericolo che l’imputato facesse perdere le proprie tracce, dandosi alla fuga e rendendosi irreperibile, anche per la dotazione di mezzi e le sue indubbie potenzialità di svolgere l’attività al di fuori del contesto locale.

Esigenza cautelare contenibile solo con la misura cautelare in esecuzione, giacchè l’altra cautela custodiale (invocata dalla difesa in via subordinata) si sarebbe rivelata, anche nella forma che prevede l’ausilio di strumenti elettronici di controllo, inadeguata ad inibire la concreta capacità operativa dell’imputato anche con riguardo ad una fase organizzativa (preparazione e predisposizione anche logistica) oltre che a quella strettamente concretizzante la fuga e latitanza. Ricorre per cassazione il prevenuto sulla base di tre motivi.

Con il primo motivo deduce mancanza di motivazione in relazione alla prospettazione dell’appello in cui si era evidenziato come non avesse alimentato la ragionevole probabilità di voler far perdere le proprie tracce, per il periodo dei sei mesi nel quale il titolo custodiale era divenuto inefficace per decorrenza dei termini ed il secondo titolo custodiale, medio tempore emesso, era stato revocato dal Giudice per le indagini preliminari, nonchè sul fatto che da libero, una volta avuta notizia della conferma della decisione di legittimità di riordinarne la carcerazione, si era costituito presso la Casa Circondariale di "San Vittore" non aspettando neppure l’arresto. Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione in quanto il Tribunale, non avrebbe individuato quegli elementi che, unitamente all’entità della pena inflitta con la sentenza di primo grado, avrebbero dovuto convincere dell’attualità del pericolo di fuga, non trattandosi di persona con precedenti, nè con frequentazioni criminali, nè adusa ad altri comportamenti, indicativi di una proclività a delinquere, mentre avrebbe ignorato invece comportamenti di segno opposto. Incongruo poi il riferimento alle caratteristiche di trasgressività della sua personalità quale uno degli elementi che aveva determinato l’applicazione in primo grado di una pena molto severa, anche in ragione della natura delle imputazioni, in quanto il pericolo di fuga sarebbe dimostrato, in base a tale impostazione del giudice di merito, ancora solo dalla gravità della sanzione applicata; nè avrebbe rilevanza il riferimento all’inaffidabilità del prevenuto che il Tribunale vorrebbe ricondurre alla linea difensiva adottata nel procedimento.

Non sarebbero poi elementi indicativi di un pericolo di fuga, nè la possibilità di ripresa dell’attività professionale, in ambienti professionali che, incogruamente e ragionando per congetture, il Tribunale definisce "paralleli" a quelli ufficiali, nè la pendenza dell’altro procedimento per gravi reati, peraltro in fase di chiusura di indagine, così che il giudice di merito avrebbe fatto riferimento alla pena inflitta ed infliggenda illegittimamente, posto che in materia non rileverebbero eventi processuali diversi da quelli di competenza del giudice che procede. Con il terzo motivo deduce mancanza della motivazione sulla subordinata richiesta di applicazione della misura degli arresti domiciliari, anche con l’applicazione dei dispositivi elettronici di controllo.

Il Tribunale avrebbe argomentato il rigetto in modo generico senza affrontare le questioni circa una valutazione di adeguatezza della misura che si intendeva ripristinare, avendo poi dato per scontato il fatto che la misura degli arresti domiciliari non avrebbe potuto ostacolare la preparazione o l’attuazione di una fuga, senza spiegare come tale ipotesi si sarebbe potuta attuare. Il ricorso non appare fondato.

Il Tribunale nell’accogliere la richiesta di nuova applicazione della misura cautelare, ha fatto corretta applicazione dell’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) ed il giudice del gravame altrettanto legittimamente ne ha confermato l’ordinanza.

E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato – come nel caso di specie – per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga, che non può essere ritenuta, per quel che rileva nel presente procedimento, per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, va individuata con riferimento ad elementi e circostanze attinenti alla persona, idonei a definire la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce, che la giurisprudenza ha esemplificato (S.U., sent. n.34537 dell’11 luglio 2001, Sez. 1, sent. n. 22188 del 31 maggio 2005) nella valutazione della personalità, della tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, del pregresso comportamento, delle abitudini di vita, delle frequentazioni, della natura delle imputazioni, dell’entità della pena presumibile o concretamente inflitta, idonee a definire nel caso specifico non la certezza, ma la probabilità che l’inquisito faccia perdere le sue tracce. Senza che l’indicazione sia esaustiva e senza che sia necessaria l’attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o anche solo a un tentativo iniziale di fuga.

Così, se è vero che non è possibile fondare il ripristino della custodia cautelare esclusivamente sull’entità della pena inflitta, è altrettanto vero che quello è uno dei parametri di riferimento su cui, assieme agli altri più specificamente concernenti il soggetto, calibrare una valutazione sulla sussistenza del pericolo di fuga.

Come è stato ritenuto dalla giurisprudenza, le specifiche caratteristiche del fatto, tali da connotare la particolare propensione della persona a violare la legge ed a sottrarsi ai suoi rigori, sono elementi legittimamente valutabili al fine della decisione in esame e non è corretto quel che sostiene il ricorrente, che una tale valutazione si risolverebbe nell’attribuire ulteriore rilievo all’entità della pena inflitta.

E’ l’astratta valutazione dell’entità della pena che di per sè non può esser ritenuta indice di un pericolo di fuga, se non viene collegata a specifiche caratteristiche della personalità del condannato, caratteristiche di personalità qualificate anche dalle modalità di realizzazione degli illeciti e dal comportamento processuale, elementi tutti che, seppur concorrano a guidare nella valutazione ex art. 133 c.p. per la determinazione della pena, sono, come visto, legittimamente valutabili per dedurne la concretezza dì un pericolo di fuga.

Il Tribunale di Milano nell’emettere la misura ha evidenziato come le caratteristiche del fatto costituito da attività illecite protrattesi per anni e connotate da particolare intensità del dolo sia per la scarsa considerazione delle persone, di età avanzata, su cui la sua attività incideva anche con crudeltà, sia per la sua particolare univoca direzione verso il profitto economico, configurassero un quadro di personalità allarmante, se valutato anche in relazione all’esistenza di altro procedimento per fatti analoghi (e più gravi) correttamente considerato in quanto precedente giudiziario estremamente significativo, così che non pare illegittimo il riferimento anche alla pena che potrebbe essere presumibilmente inflitta in quel contesto (cfr. S.U. citate).

Altrettanto correttamente vengono sottolineati gli aspetti negativi della personalità con riferimento al comportamento successivo alla consumazione dei delitti, e non certo con riguardo a legittime decisioni di strategia difensiva processuale, ma in relazione ai plurimi e documentati tentativi di inquinamento di prove per l’azione (cfr. al proposito precedenti decisioni di questa Corte: Sez. 5, sent. n. 17986 del 2009; Sez. 1, sent. n. 29897 del 2009, in materia cautelare cui ha fatto riferimento il provvedimento impugnato) su collaboratori perchè distruggessero dati compromettenti contenuti nella memoria del computer; e su pazienti da cui cercar di ottenere a posteriori il consenso all’intervento, tutti comportamenti indicativi di una peculiare disinvoltura nel considerare i propri doveri di lealtà processuale, ed il ricorso, che se esattamente evidenzia come nel caso non si tratti di ambienti di malavita organizzata cui son tipici certi comportamenti, dimentica tuttavia come taluni comportamenti extra processuali del prevenuto abbiano assunto inquietanti aspetti di inquinamento di prove, ben segnalati nei diversi provvedimenti che ne hanno contrappuntato la vicenda cautelare, connotandone in senso negativo la personalità e l’affidabilità. Nè pare al Collegio infondato il riferimento alle possibilità economiche e di ottenere appoggi anche all’estero di cui il prevenuto potrebbe usufruire, posto che fra gli elementi qualificanti il concreto ricorrere di un pericolo di fuga correttamente vengono individuate, in tutti gli arresti giurisprudenziali al proposito, le connessioni e le situazioni ambientali che la potrebbero favorire. Quindi, il riferimento fatto dai giudici del riesame alla personalità dell’imputato, nei termini di cui sopra, soddisfa l’obbligo di motivazione concernente il pericolo di fuga, essendo stati apprezzati per formulare la relativa prognosi plurimi elementi sintomatici, idonei e riferiti a dati concreti.

Non sembra poi fondata la doglianza del ricorrente sul non esser stato considerato che, per un non irrilevante periodo di tempo, si era trovato in stato di libertà durante lo sviluppo del procedimento, senza con ciò tentare la fuga neppure a fronte del ripristino della custodia carceraria a seguito di accoglimento dell’impugnazione del Pubblico Ministero avverso un provvedimento di scarcerazione.

I giudici del merito hanno entrambi evidenziato come il pericolo di fuga andasse valutato, sulla base di corretti indici di pericolosità, nel momento della decisione sul ripristino della misura custodiate avvenuto nell’immediatezza – ed in considerazione dell’emissione – di una pronuncia di condanna ad anni quindici e mesi sei di reclusione, ed una tale motivazione pare al Collegio adeguata se si considera che la condizione del soggetto nei cui confronti sia stata emessa una sentenza di condanna nel merito suscettibile di divenire definitiva è ben diversa da quella di chi si trovi ancora in fase preliminare o dibattimentale e, in caso di sottoposizione a misura detentiva, possa avere la ragionevole aspettativa di usufruire delle limitazioni di legge del periodo di custodia. Certune rigidità motivazionali del provvedimento impugnato non inficiano la complessiva correttezza del ragionamento sviluppato al proposito dai giudici del merito quale desumibile dall’integrarsi delle relative argomentazioni.

Il provvedimento impugnato ha anche affrontato la doglianza relativa al rigetto della richiesta di applicazione dì una misura cautelare meno afflittiva con una motivazione che, rifacendosi a quanto più volte rilevato circa l’inaffidabilità dell’imputato e dei suoi comportamenti e ritenendo l’insufficienza di modalità custodiali rimesse in sostanza, anche se integrate dall’uso di apparati elettronici di controllo, alla volontà di un soggetto particolarmente dotato di mezzi organizzativi, pare al Collegio logica ed adeguata nella valutazione delle risultanze processuali.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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