Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-07-2011) 16-11-2011, n. 42135 Formule di proscioglimento il reato è estinto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 novembre 2009 il Giudice di pace di Ancona dichiarava R.F., R.R. e M.M. colpevoli dei reati di ingiuria e minaccia in danno di B.L. e Mo.Ma.Gr. e, per l’effetto, li condannava alle pene ritenute di giustizia nonchè al risarcimento dei danni in favore delle persone offese, costituitesi parti civili.

Pronunciando sui gravami proposti dagli imputati, il Tribunale di Ancona, con la sentenza indicata in epigrafe, dichiarava non doversi procedere in ordine ai reati in questione perchè estinti per intervenuta prescrizione e, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., confermava le statuizioni civili, con consequenziali determinazioni.

Avverso la pronuncia anzidetta il difensore degli imputati ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con unico motivo d’impugnazione, parte ricorrente denuncia mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità di motivazione con riferimento alla conferma delle statuizioni civili della pronuncia di primo grado. Si duole, in particolare, che la sentenza impugnata sia del tutto priva di motivazione, essendosi limitata alla declaratoria di prescrizione senza esaminare i motivi di appello ed il corredo documentale che avrebbero consentito di riconoscere la possibilità di un più favorevole proscioglimento nel merito e che, ad ogni modo, avrebbero dovuto essere apprezzati ai fini delle statuizioni civili, apoditticamente confermate dal giudice a quo.

2. – La censura è senz’altro fondata. Ed infatti, il giudice di appello – chiamato, a mente del menzionato art. 578 c.p.p. – a decidere sull’impugnazione ai soli effetti civili, contestualmente alla declaratoria d’intervenuta prescrizione, ha liquidato l’obbligo motivazionale in merito alle statuizioni civili con il mero assunto di doverle confermare nella totalità per l’evidente loro rispondenza alle situazioni di fatto e di diritto che le hanno determinate e quindi per la sostanziale giustizia delle disposizioni date.

Si tratta, in tutta evidenza, di proposizioni meramente assertive, che, nella loro perentoria laconicità ed assoluta aspecificità, non assolvono certamente all’onere giustificativo, rappresentandone, anzi, plateale elusione.

Era, invece, ineludibile compito di quel giudice esaminare compiutamente i motivi di gravame in funzione del giudizio di responsabilità, sia pure ai soli riflessi civilistici afferenti alla determinazione dell’an debeatur ai fini del giudizio di risarcimento del danno reclamato dalla parte civile, Nell’assolvimento di tale compito, lo stesso giudice a quo era tenuto a dare analitico conto delle deduzioni difensive, non potendo limitarsi a dare conferma alla condanna (anche solo generica) al risarcimento del danno in ragione della mancanza di prova dell’innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129 c.p.p., comma 2, (cfr. Cass. sez. 5, 24.3.2009, rv. 243343; id. sez. 6, 9.3,2004, n. 21102; rv. 229023).

La carenza di motivazione reclama, allora, l’annullamento in parte qua della sentenza impugnata.

Si pone, a questo punto, il quesito relativo alla formula di annullamento, se con rinvio o senza rinvio. Quesito di agevole soluzione, non potendo condividersi l’isolato precedente di questa Corte di legittimità (cfr. Cass. sez. 5, 9.6.2006, n. 26061, rv.

231914) in favore dell’annullamento senza rinvio, posto che tale soluzione interpretativa non sembra trovare conferma nel dettato normativo ed appare anzi in palese dissonanza con la stessa logica del sistema, secondo cui la riscontrata esistenza, in sede di legittimità, di un vizio di motivazione incidente sulla validità della decisione impugnata non può non implicare l’individuazione da parte dello stesso giudice di legittimità della via per porvi rimedio attraverso una successiva pronuncia giudiziale (così, Cass. n. 1422/2009 cit).

Non resta, allora, che affrontare l’ulteriore profilo problematico, consistente nello stabilire quale debba essere il giudice del rinvio:

se il giudice civile competente per valore in grado di appello, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., ovvero il giudice penale.

La quaestio iuris ha avuto contrastanti soluzioni nella giurisprudenza di questa Corte di legittimità, in favore ora dell’una ora dell’altra ipotesi ermeneutica.

Ai fini di una ragionata opzione per l’una o per l’altra tesi occorre ovviamente prendere le mosse dalle coordinate normative di riferimento, rappresentate, fondamentalmente, proprio dalle due norme processuali sopra menzionate.

L’art. 578 dispone, come è noto, che, in ipotesi di riforma di una sentenza che abbia condannato l’imputato alle restituzioni od al risarcimento dei danni derivati da reato in favore della parte civile, il giudice di appello e la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per amnistia o per prescrizione, decidono sull’impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

L’art. 622, rubricato annullamento della sentenza ai soli effetti civili, dispone che fermi gli effetti penali della sentenza, la corte di cassazione, se ne annulla solamente le disposizioni o i capi che riguardano l’azione civile ovvero se accoglie il ricorso della parte civile contro la sentenza di proscioglimento dell’imputato, rinvia quando occorre al giudice civile competente per valore in grado di appello anche se l’annullamento ha per oggetto una sentenza inappellabile.

Con riferimento a tale ultima disposizione, è indiscussa affermazione di principio che essa postuli o il già definitivo accertamento della responsabilità penale o l’accoglimento dell’impugnazione proposta dalla sola parte civile avverso sentenza di proscioglimento (cfr. Cass. sez. 3,27.2.2008, n. 15653, rv.

239865).

La locuzione fermi gli effetti penali sta a significare, nel suo perspicuo tenore letterale, che quella di riferimento è l’ipotesi che sia stato positivamente affermato il giudizio di penale responsabilità o che tale profilo, in mancanza di ricorso della parte pubblica avverso una sentenza di proscioglimento impugnata dalla sola parte civile, sia impregiudicato, facendosi oramai questione di soli profili civilistici. Il rinvio – che, a questo punto, concerne non già il profilo civilistico in genere, ma lo specifico aspetto del quantum debeatur, essendo ormai intangibile l’an – deve essere fatto al giudice civile competente per valore in grado di appello. Ed infatti, in siffatta evenienza, il rinvio non può aver luogo in favore del giudice penale, non residuando più spazio alcuno per una sua deliberazione, dopo che si è irrevocabilmente pronunciato sulla responsabilità dell’imputato con gli effetti vincolanti del giudicato per il giudizio civile, relativamente all’an, a mente dell’art. 651 c.p.p., comma 1.

Nella diversa ipotesi in cui il profilo della penale responsabilità non sia stato definitivamente accertato, per via dell’intervenuta declaratoria di prescrizione, manca invece, come è noto, il positivo accertamento della penale responsabilità, postulando l’applicazione della causa estintiva soltanto che non risulti l’evidenza di più favorevole causa di proscioglimento nel merito, ai sensi dell’art. 129 c.p.p., comma 2.

Nel silenzio della legge, come era per l’analoga situazione disciplinata dall’art. 152 c.p.p., la cognizione del giudice penale avrebbe dovuto arrestarsi al rilievo tout court della causa di estinzione, in esito alla mera presa d’atto dell’inesistenza di più favorevole ragione di proscioglimento nel merito. In epoca più recente – e soltanto per l’ipotesi di declaratoria di estinzione del reato per amnistia – il legislatore, con la L. 3 agosto 1978, n. 405, art. 12, ha imposto al giudice di appello ed alla corte di cassazione di decidere ugualmente sull’impugnazione, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili.

La novella dell’art. 578 del vigente codice ha esteso siffatto obbligo all’ipotesi della prescrizione, ove, nel precedente grado di giudizio, vi sia stata condanna dell’imputato anche al risarcimento dei danni derivati da reato in favore della costituita parte civile (cfr., sulla necessità – imposta dalla presenza della parte civile – della valutazione del compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili, Cass. Sez. Un. 28.5.2009, n. 35490 rv. 244273). Le ragioni del plus di cognizione, nonostante il rilievo dell’estinzione, che, diversamente, avrebbe potuto esaurire l’ambito delle valutazioni del giudice penale, è dovuto a sostanziali esigenze di economia processuale, che, sottese alla riconosciuta facoltà per il danneggiato di esercitare l’azione civile nel processo penale, resterebbero ovviamente vanificate ove, per effetto di mera declaratoria di estinzione del reato, la regiudicanda fosse trasferita in sede civile. E, comunque, è parso opportuno al legislatore che, alla delibazione del profilo di responsabilità in funzione dell’an debeatur in chiave civilistica, attendesse proprio il giudice penale. Non tanto perchè il giudice civile non sia capace di valutare, sia pure incidenter tantum (come, ad esempio, nel casi in cui, mancando la querela, non si è proceduto in sede penale) l’esistenza del fatto-reato, quanto perchè al relativo esame, ove vi sia già stato un giudizio penale in precedente grado di giurisdizione, può utilmente, e più tempestivamente, provvedere lo stesso giudice penale già investito della cognizione di quel fatto- reato, relativamente al quale, con il corredo degli atti di causa e segnatamente della pronuncia di primo grado, potrà più adeguatamente apprezzare il profilo della responsabilità, ancorchè ai soli effetti civili.

Non solo, ma il coefficiente di approfondimento dell’esame richiesto è così accentuato che, ove mai, in esito alle pertinenti valutazioni, dovesse emergere, sia pure in un contesto di contraddittorietà ed ambivalenza degli elementi di prova, una situazione tale che, ove delibata in ambito penalistico, avrebbe portato ad una pronuncia assolutoria, a mente dell’art. 530 c.p.p., comma 2, la causa di proscioglimento, pure emersa in diversa sede di cognizione, rivivrebbe anche agli effetti penali, prevalendo sulla causa di estinzione del reato (cfr., in tal senso, Cass. Sez. Un, cit.).

Orbene, semmai fosse consentito al giudice penale di sottrarsi ad una cognizione siffatta, egli eluderebbe un preciso obbligo di legge, in spregio, peraltro, della generale disposizione dell’art. 124 c.p.p., secondo cui i magistrati sono tenuti ad osservare le disposizioni processualpenalistiche anche quando l’inosservanza non importi nullità od altra sanzione processuale.

Non solo, ma quella doverosa delibazione deve poi essere supportata da motivazione congrua ed adeguata, che tenga conto delle deduzioni difensive espresse nell’atto di gravame, posto che la violazione di un obbligo siffatto è, stavolta, positivamente sanzionata di nullità in virtù della generale previsione dell’art. 125 c.p.p., comma 4.

Per quanto si è osservato in premessa, ad un onere siffatto il giudice a quo non ha adempiuto. Una siffatta inadempienza comporta annullamento in parte qua della sentenza impugnata, che va, quindi, dichiarato nei termini indicati in dispositivo, con rinvio al competente giudice penale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle statuizioni civili con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Ancona.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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