Cassazione civile anno 2005 n. 1135 Dichiarazione di fallimento Contributi figurativi

FALLIMENTO

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

Svolgimento del processo
1. Con ricorso depositato al Tribunale di Ravenna il 22 febbraio 2000 X X ed altri nove suoi ex colleghi di lavoro, indicati in epigrafe, esponevano quanto segue: di essere stati dipendenti della X S.r.l. di Ravenna; che la società era stata dichiarata fallita il 7 novembre 1988, con sentenza del Tribunale di Ravenna;
che, in conseguenza, X e gli altri ricorrenti erano stati licenziati dagli organi fallimentari; che, per effetto della legge 27 luglio 1979 n. 301, l’efficacia del licenziamento era stata sospesa ed erano stati, in conseguenza, ammessi alla Cassa Integrazione Straordinaria per 36 mesi, dal 7 novembre 1988 al 7 novembre 1991, con riconoscimento della relativa contribuzione figurativa; che, con sentenza del 27 giugno 1994, la Corte d’Appello di Bologna aveva revocato la sentenza di fallimento per un vizio di procedura, che celava un vizio di sostanza; che, in un successivo giudizio penale contro il legale rappresentante della S.r.l. X, era emerso che la società era fallita per errore, avendo tutte le attrezzature ed i capitali per proseguire la sua attività; che l’X non aveva accreditato ai lavoratori la contribuzione figurativa per 156 settimane, relativamente, al periodo dal 7 novembre 1988 al 7 novembre 1991; che, a seguito di presentazione del ricorso amministrativo, l’X aveva chiesto un parere al Consiglio di Stato;
che, nonostante il parare favorevole del Consiglio di Stato, espresso in data 4 marzo 1997, l’X non aveva ancora provveduto all’accreditamento della contribuzione figurativa.
Ciò premesso, i ricorrenti convenivano in giudizio l’X, chiedendo che venisse accertato il proprio diritto, ai sensi dell’art. 21 L.F. e della legge n. 301/79 o dell’art. 2116 cod. civ., a mantenere, nella propria posizione assicurativa, l’accredito della contribuzione figurativa, relativa al periodo dal 7 novembre 1988 al 7 novembre 1991, pari a 156 settimane, trascorso in Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria.
2. Costituendosi in giudizio, l’X eccepiva che la contribuzione figurativa non poteva essere accreditata a causa della illegittimità dei decreti ministeriali, con i quali era stata concessa la CIGS, conseguente al venire meno di uno dei requisiti (il fallimento) previsti dalla legge n. 301/1979 per la loro emanazione. Infatti, la revoca del fallimento, pur non invalidando gli effetti già prodotti e risalenti nel tempo, precludeva il verificarsi di ulteriori effetti giuridici, destinati a prodursi, come nel caso della contribuzione figurativa, soltanto in futuro. Gli assicurati danti causa difettavano, inoltre, del requisito occupazionale, previsto dall’art. 8, comma 3^, del d.l. n. 86/88, conv. in legge n. 160/88, posto che il rapporto di lavoro subordinato con la X s.r.l., nel periodo novembre 1987 – novembre 1988, non aveva mai avuto esecuzione. La norma in esame doveva essere interpretata nel senso che l’ammissione al beneficio era subordinata ad una effettiva e concreta prestazione di lavoro per almeno 90 giorni prima della presentazione della domanda di fallimento. Nella specie, doveva poi escludersi l’applicabilità dell’art. 2112 cod. civ., perchè i lavoratori, alla data di assunzione da parte di X s.r.l. (nov. 1987) si trovavano in stato di disoccupazione speciale essendo stati, precedentemente, licenziati dalla ditta CMS il 26 aprile 1987, poi fallita in data 13 giugno 1988. 3. Il Tribunale di Ravenna, con sentenza n. 1277 del 27 settembre 2000, depositata il 12 ottobre 2000, accoglieva la domanda, dichiarando il diritto dei ricorrenti a mantenere, nella propria posizione assicurativa, l’accredito dei contributi per il periodo 7 novembre 1988 – 7 novembre 1991, trascorso in CIGS. Il Tribunale riteneva che il fallimento, inteso come evento storicamente prodottosi nella fase genetica dell’ammissione al trattamento salariale straordinario, costituisse un presupposto per la concessione della CIGS, di guisa che una volta verificatosi detto presupposto i conseguenti effetti giuridici, quali il pagamento della integrazione e l’accredito della contribuzione figurativa, avevano dato luogo alla stabile acquisizione di intangibili diritti soggettivi. Ne la revoca del fallimento, disposta dalla Corte di Appello, era idonea a modificare tale situazione, anche perchè gli atti compiuti dagli organi fallimentari, tra i quali anche il licenziamento dei lavoratori, erano rimasti efficaci, ai sensi dell’art. 21 L.F. e produttivi di effetti anche al fine dell’ammissione alla CIGS. In secondo luogo, il Tribunale rilevava che il X ed i suoi nove colleghi erano in possesso del requisito dell’anzianità lavorativa previsto dall’art. 8, comma 3, della legge n. 86/1988, dal momento che l’anzianità lavorativa era unicamente imperniata sul possesso, da parte dell’avente diritto, di una stabile relazione lavorativa a prescindere dagli eventi sospensivi della funzionalità produttiva aziendale, non incidenti sulla conservazione del rapporto, e che la norma, come affermato da Cass. n. 8024/96, non richiedeva affatto che l’anzianità lavorativa fosse maturata presso un’unica impresa, avendo essa, come riferimento, l’impresa astrattamente intesa e non il singolo imprenditore.
4. Avverso la detta decisione, l’X proponeva appello, articolato su due motivi, cui resistevano i lavoratori, chiedendo il rigetto del gravame.
Con sentenza del 29 novembre 2001 – 26 marzo 2002 la Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello confermando la pronuncia di primo grado.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’X con due motivi di impugnazione.
Resistono con controricorso X X e gli altri litisconsorzi, che hanno altresì presentato memoria.

Motivi della decisione
1. Il ricorso dell’X è articolato in due motivi.
Con il primo l’Istituto ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 l. 20 marzo 1865 n. 2248, all. E, in riferimento all’art. 25, comma 7, l. 12 agosto 1977 n. 675, introdotto dall’art. 2 l. 27 luglio 1979 n. 301, e all’art. 8, comma 4, l. 23 aprile 1981 n. 155. Erroneamente i giudici d’appello hanno ritenuto sussistenti i presupposti per la contribuzione figurativa, posto che la sentenza dichiarativa del fallimento della società X s.r.l. era stata annullata.
Con il secondo motivo l’Istituto denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4, d.l. 21 marzo 1988 n. 86, conv. in l. 20 maggio 1988 n. 160. Si duole dell’affermazione della sentenza impugnata che ha ritenuto sussistente, nei lavoratori intimati, il presupposto di un’anzianità lavorativa di almeno novanta giorni dalla data della richiesta del trattamento di cigs in ragione dell’accertato trasferimento d’azienda.
2. Il primo motivo del ricorso è infondato.
Recentemente questa Corte (Cass., sez. lav., 3 luglio 2004 n. 12209) si è già pronunciata in proposito nella stessa vicenda riguardante altri lavoratori ed ha affermato – e qui ribadisce – che, poichè, ai sensi dell’art. 25, 7 comma, l. 12 agosto 1977 n. 675, introdotto dall’art. 2 d.l. 26 maggio 1979 n. 159, convertito, con modificazioni, dalla l. 27 luglio 1979 n. 301, in caso di fallimento di aziende industriali, ove siano intervenuti licenziamenti, l’efficacia degli stessi è sospesa e i rapporti di lavoro proseguono ai soli fini dell’intervento straordinario della c.i.g. per crisi aziendale dichiarata ai sensi dell’art. 2 medesima legge n. 675 del 1977, deve escludersi che il venir meno della dichiarazione di fallimento, per nullità o revoca della sentenza, possa avere alcuna incidenza sul provvedimento di concessione del trattamento straordinario, travolgendo il periodo di sospensione ed eliminando l’effetto dell’accreditamento della contribuzione figurativa, in quanto il provvedimento di concessione del trattamento straordinario costituisce espressione di discrezionalità amministrativa, sia quanto alla proposta da parte del ministro del lavoro, sia quanto alla deliberazione da parte dell’organo collegiale competente, che non presuppone la dichiarazione di fallimento. In particolare si osserva nella cit. sentenza che è vero che l’avvenuta concessione della cassa integrazione e la corresponsione del relativo trattamento non sono in ogni caso eventi sufficienti ai fini della contribuzione figurativa: non è il fatto materiale a fondare il diritto, ma la sospensione del rapporto di lavoro e il collocamento in cig ai sensi delle disposizioni che regolano la materia.
Come anche è vero che l’art. 21 l.f. non è decisivo in quanto concerne la salvezza degli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi fallimentari, mentre nella specie è in questione la legittimità di un provvedimento amministrativo.
Tuttavia occorre considerare che la dichiarazione di fallimento non rappresenta, nella normativa di settore, il presupposto del potere amministrativo disciplinato dall’art. 2, comma 5, lett. c), della legge 12.8.1977, secondo cui l’allora esistente organo CIPI, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale (secondo la denominazione dell’epoca), accerta la sussistenza, ai fini della corresponsione del trattamento previsto dall’art. 2 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, e successive modificazioni, di specifici casi di crisi aziendale che presentino particolare rilevanza sociale in relazione alla situazione occupazionale locale ed alla situazione produttiva del settore. Anche in difetto di indicazioni rigorose in ordine all’ambito in cui debbano svolgersi le vantazioni di competenza degli organi (CIPI e Ministero del Lavoro) contemplati dalla legge, non si è mai dubitato del carattere discrezionale sia del potere propositivo attribuito dalla suddetta norma al Ministero del Lavoro, sia della deliberazione dell’organo collegiale -in ordine all’accertamento dell’evidenza dei presupposti tecnici e normativi previsti dalla legge per accedere al beneficio della CIGS – alla quale consegue il decreto ministeriale di concessione del trattamento di integrazione salariale.
Il fallimento dell’impresa era considerato, dal testo originario dell’art. 25 della stessa legge, soltanto ai fini della precisazione che "la dichiarazione di fallimento degli imprenditori titolari delle aziende di cui al primo comma dell’art. 24, non esclude l’applicazione dei commi quarto, quinto e ottavo del presente articolo ai lavoratori dipendenti delle suddette aziende" (comma sesto). L’art. 2 del d.l. 26 maggio 1979, n. 159, introdotto dalla legge di conversione 27 luglio 1979, n. 301, ha aggiunto all’art. 25 della legge 12 agosto 1977, n. 675, dopo il sesto comma, un comma ulteriore: "Con effetto dal 1 gennaio 1979, nel caso di fallimento di aziende industriali, oltre ad applicarsi le disposizioni di cui al comma precedente, ove siano intervenuti licenziamenti, l’efficacia degli stessi è sospesa e i rapporti di lavoro proseguono ai soli fini dell’intervento straordinario della Cassa integrazione per crisi aziendale dichiarata ai sensi dell’art. 2 della presente legge, il cui trattamento può essere concesso per un periodo massimo di ventiquattro mesi, e del conseguente disposto del precedente art. 21, secondo comma".
E’, quindi, evidente che il fallimento è preso in considerazione al fine di stabilire che la procedura concorsuale non preclude l’intervento straordinario; anzi, proprio la dichiarazione di fallimento potrebbe, in concreto, rappresentare un ostacolo all’accoglimento della domanda, ove costituisse indice di impossibilità di recupero occupazionale e produttivo, che costituisce il fine cui è preordinato l’intervento straordinario ex L. n. 675/77, in quanto accompagnato da determinate circostanze (quali, per es., il licenziamento di tutti i lavoratori e la mancata continuazione dell’attività produttiva) escludenti la possibilità di recupero produttivo e occupazionale). Non si vede, pertanto – anche prescindendo dal problema del momento in cui sarebbe sorta la condizione di illegittimità dell’atto e si sarebbe prodotta la caducazione degli effetti prodotti – come l’eliminazione della dichiarazione di fallimento (per nullità o revoca della sentenza) possa avere incidenza sulla legittimità del provvedimento di concessione del trattamento straordinario, travolgendo il periodo di sospensione ed eliminando l’effetto dell’accredito della contribuzione figurativa.
Queste argomentazioni svolte dalla citata sentenza sono pienamente condivisibili e possono essere qui ribadite.
3. Inammissibile è poi il secondo motivo del ricorso.
Come già ritenuto da Cass., sez. lav., 3 luglio 2004 n. 12209, cit., in analoga controversia, le censure dell’X, che si fondano essenzialmente sull’assunto secondo cui non vi sarebbe stata la prova che l’azienda era stata trasferita, siccome l’accordo sindacale 11.9.1987 conteneva elementi che inducevano a ritenere che fossero stati acquistati solo l’immobile e i macchinali, non è ammissibile in sede di legittimità, avendo la sentenza impugnata accertato il contrario con motivazione sufficiente e non contraddittoria; ossia che, mediante l’accordo sindacale in questione, l’azienda era passata al nuovo imprenditore restando inalterata negli elementi strutturali.
Una volta ritenuto il trasferimento d’azienda, conseguiva da ciò anche il trasferimento dei dipendenti dalla società cedente alla cessionaria senza che l’anzianità di servizio complessiva, pacificamente superiore a novanta giorni alla data della richiesta del trattamento di cigs, subisse alcuna soluzione di continuità. 4. Complessivamente quindi il ricorso deve essere rigettato.
Alla soccombenza consegue la condanna dell’Istituto al pagamento delle spese di questo giudizio nella misura liquidata in dispositivo.

P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Istituto ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio liquidate in euro 15,00 oltre euro 2.000,00 (duemila) per onorario d’avvocato.
Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2004.
Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2005

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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