Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 16-11-2011, n. 42125 Reati commessi a mezzo stampa diffamazione

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del 28 aprile 2008 del Tribunale di Monza – sezione distaccata di Desio, dichiarava non doversi procedere nei confronti di S.A. e F. V., nelle rispettive qualità di direttore responsabile e direttore editoriale di Libero, perchè il reato loro ascritto (ai sensi dell’art. 57 c.p., in riferimento ad un articolo pubblicato sul quotidiano Libero, ritenuto offensivo nei confronti dell’ANFI – Associazione Nazionale Finanzieri d’Italia), era estinto per intervenuta prescrizione; confermava, invece, nel resto anche in riferimento alle statuizioni civili.

Avverso la pronuncia anzidetta, il difensore ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente lamenta violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) per erronea applicazione della legge penale, in relazione alla condanna di F.V., direttore editoriale, imputato di omesso controllo ex art. 57 c.p. in concorso con il direttore responsabile, in mancanza di qualsivoglia elemento di prova a sostegno di un benchè minimo contributo causale dell’imputato nella consumazione del reato.

Il secondo motivo deduce violazione dello stesso art. 606, lett. e) per mancanza e illogicità di motivazione in relazione alla conferma della condanna al risarcimento del danno liquidato nella somma di Euro 50.000,00. 2. – Il primo motivo del ricorso, relativo esclusivamente alla posizione del F., è fondato e merita, pertanto, accoglimento.

E’, infatti, dato pacifico in processo che direttore responsabile del quotidiano Libero, all’epoca dei fatti, era il S., mentre F.V. aveva la mera qualità di direttore, e precisamente di direttore editoriale. Sennonchè le figure di direttore responsabile e direttore editoriale non sono affatto assimilabili, rispondendo a modelli antitetici nella struttura imprenditoriale giornalistica.

Il direttore responsabile è, infatti, il soggetto che assume la paternità di quanto venga pubblicato, ponendosi per l’art. 57 c.p. in posizione di garanzia, siccome tenuto ad esercitare il controllo atto a impedire che, con la pubblicazione, vengano commessi reati.

Il direttore editoriale detta, invece, le linee di impostazione programmatica e politica del quotidiano, in rappresentanza dell’azienda editrice del prodotto giornalistico, poi elaborato e realizzato dal direttore responsabile, senza condividerne, tuttavia, la responsabilità esterna nella logica dell’art. 57 c.p..

Un’estensione al direttore editoriale dei doveri di controllo e delle conseguenze penali comporterebbe, quindi, applicazione di analogia in malam partem, che l’ordinamento penale, notoriamente, ripudia.

In un errore siffatto sono, però, incorsi i giudici di appello, che, peraltro, hanno malamente interpretato l’unico precedente relativo al direttore editoriale (cfr. Cass. sez. 4^, 16.6.1981, n. 8716, rv.

150398).

Nell’occasione, questa Corte aveva precisato che il direttore editoriale può essere ritenuto colpevole del delitto di diffamazione, ove sia accertato che lo stesso abbia compiuto atti diretti a ledere l’altrui reputazione ovvero abbia concorso, consapevolmente, a raggiungere tale evento. Siffatta affermazione, del tutto ovvia alla stregua dei pacifici principi in tema di concorso di persone nel reato, non autorizza, però, l’estensione al direttore editoriale della specifica responsabilità di cui all’art. 57 c.p., espressamente prevista solo per il direttore responsabile.

3. – Per quanto precede, risultando evidente che il F. non ha commesso il fatto contestato, va pronunciata nei suoi confronti sentenza di proscioglimento, a mente dell’art. 129 c.p., previo annullamento nei suoi confronti della sentenza impugnata.

4. – La seconda censura, riguardante specificamente la posizione del S., è palesemente infondata, posto che il giudice di appello ha, compiutamente, indicato le ragioni della ritenuta congruità della somma liquidata a titolo di danno morale, avuto riguardo alle peculiarità della fattispecie.

Si tratta di apprezzamento squisitamente di merito, che, in quanto adeguatamente argomentato, si sottrae al sindacato di legittimità.

L’impugnazione è, quindi, inammissibile e tale va, dunque, dichiarata, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di F. V., per non aver commesso il fatto.

Dichiara inammissibile il ricorso del S. che condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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