Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-07-2011) 16-11-2011, n. 42123

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza del 14 luglio 2003, il Tribunale di Roma dichiarava A.G. colpevole del reato di tentato furto aggravato di beni custoditi all’interno di un’autovettura e, per l’effetto, lo condannava alla pena ritenuta di giustizia.

Pronunciando sul gravame proposto dall’imputato, la Corte di Appello di Roma, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia impugnata, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle contestate aggravanti, rideterminava la pena nella misura ritenuta di giustizia.

Avverso la decisione anzidetta, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente deduce carenza e contraddittorietà di motivazione. Si duole, in particolare, che la colpevolezza dell’imputato sia stata affermata in mancanza di sicuri elementi di prova, ma sulla base di infirmale riconoscimento da parte di un teste, che si trovava a distanza ragguardevole, senza peraltro che tale irrituale riconoscimento fosse stato confermato in dibattimento.

Il secondo motivo lamenta che non sia stata riconosciuta la desistenza, in quanto a tutto concedere la condotta illecita sarebbe consistita nell’apertura di un vano bagagli, con immediato abbandono del proposito delittuoso.

2. – La prima censura è palesemente infondata, posto che il compendio motivazionale non presenta incongruenze o sbavature di sorta. L’insieme giustificativo appare, piuttosto, ineccepibile, avendo compiutamente indicato le ragioni in virtù delle quali è stato ribadito il giudizio di colpevolezza a carico dell’ A., sulla base di logica ricostruzione dei fatti che non lasciava spazio alcuno per il riconoscimento della desistenza, in mancanza dei relativi presupposti.

Al riguardo, va certamente ribadito il principio di diritto secondo cui la desistenza dall’azione delittuosa può ritenersi volontaria quando la prosecuzione non sia impedita da fattori esterni che ne renderebbero estremamente improbabile il successo e la scelta di desistere sia, pertanto, operata liberamente (cfr., da ultimo, Cass. sez. 4, 24.6.2010, n. 32145, rv. 248183). E’ evidente, pertanto, che la desistenza non possa essere configurata in caso di compimento di attività idonea, diretta in modo non equivoco a commettere il delitto, in quanto, in tale ipotesi, si rientra nell’area di operatività di altro istituto, ossia il cd. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento (cfr., tra le altre, Cass. 23.9.2008, n. 39293, rv. 241340).

Nel caso di specie, era evidente che la condotta in questione integrava gli estremi del tentativo compiuto, considerato che l’imputato aveva aperto il portellone dell’autovettura a scopo di furto e che l’abbandono della condotta è dipeso da fattori esterni (presenza di un teste ed arrivo delle forze dell’ordine).

E’ appena il caso di soggiungere che, comunque, la prova della riconducibilità della desistenza volontaria alla volizione dell’agente nonchè della non dipendenza dell’avverarsi dell’evento da fattori esterni grava su chi la sostiene (cfr. Cass. sez. 1, 2.2.2010, n. 21955, rv. 247402), prova che, nel caso di specie, non risulta neppure offerta.

3. – Per quanto precede, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con le consequenziali statuizioni espresse in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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