Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06-07-2011) 16-11-2011, n. 42117

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 23.6.2010, la corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza 13.1.09 del tribunale della stessa sede, con la quale V.A. era stato condannato per i seguenti reati, uniti dal vincolo della continuazione: partecipazione alla associazione mafiosa, denominata Clan Varriale, con l’aggravante di avere promosso, diretto e organizzato l’associazione, estorsione, aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7 in danno degli imprenditori V. V., di V.G. e B.G., di M.R.. Il V. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:

1. violazione di legge in riferimento all’art. 81 cpv c.p.: la corte di appello ha ritenuto che applicando un aumento di pena, a titolo di continuazione, per ciascuno dei reati di estorsione, non sia stata violata la disciplina sul calcolo della pena, fissato dall’art. 81 c.p., sebbene la norma stabilisca un solo aumento sulla pena per il reato più grave;

2. violazione di legge ,in riferimento all’art. 416 bis, vizio di motivazione: il tribunale ha dato per scontata l’esistenza del "clan V.", in base alla sentenza 29.5.02, irrevocabile il 21.10.2005. Questa sentenza prova l’esistenza dell’associazione per un periodo molto antecedente il 2002, però i fatti oggetto del presente processo riguardano il periodo successivo al 2002 (anno di scarcerazione del V.), mentre i fatti estorsivi sono stati commessi negli anni 2004-2005: Sull’esistenza del clan in questo arco di tempo 2002/2005 non c’è prova, in quanto le dichiarazioni accusatorie di P.L. sono generiche non sono suffragate da riscontri .Nell’anno 2002 ,il V., alla sua scarcerazione, fu messo da parte e costituì solo la figura simbolica di un boss mafioso esautorato proprio dal reggente P.L., scelto durante la detenzione del V..

Divenuto collaboratore non ha saputo però indicare quali componenti altri che M.V. e C.L.. Quest’ultimo però, originariamente accusato di far parte del clan, è stato prosciolto dal Gup, per non aver commesso il fatto. Posto che, a questo punto, l’associazione risultava composta dal V. e dal M., deve ritenersi insussistente il reato, mancando il numero minimo di tre componenti. Le dichiarazioni accusatorie del B. si riferiscono a fatti antecedenti ai fatti di estorsione contestati.

3. violazione di legge, in riferimento all’art. 629 c.p. e alla L. n. 203 del 1991, art. 7: quanto all’estorsione con persona offesa V.V., questi afferma di non aver ricevuto minacce per effettuare il prestito di 20.000 Euro all’imputato, ma di averlo concesso solo in base alla sua fama di capo del clan. Si tratta però di una fama che risale agli anni precedenti al 2002. Peraltro risulta che l’imputato chiese al V. di non riferire ad altri della sua richiesta, a dimostrazione dell’esistenza delle sue reali difficoltà economiche e della inesistenza della sua valenza criminale, atteso che nel 2004 non esisteva l’associazione V..

Quanto all’estorsione in danno di V.G. e M. G., essi hanno dichiarato di aver dato il soldi a M., senza sapere e senza voler sapere a chi andavano i soldi. Esistono poi divergenze tra i due testi e il P. sulle caratteristiche della casa di V.; il P. inoltre è smentito sulla circostanza che nel supermercato delle persone offese la moglie del V. facesse la spesa senza pagare, in quanto i testi affermano che la donna regolarmente pagava.

Quanto all’accusa di estorsione in danno di M.R., che sarebbe stato costretto a consegnare materiale edile, ricevendo, in pagamento, cambiali risultate non pagate, il ricorrente osserva che se questa consegna fosse stata effettuata in via coattiva, il V. non avrebbe dato titoli di credito, anche se di sicura insolvenza. Comunque l’importo del prezzo del materiale (20.000 Euro) corrisponde all’importo del mutuo concesso dal V.V., evidentemente funzionale al suo pagamento e alla tutela della propria reputazione. Quanto poi al versamento mensile di Euro 1250, il M. ha affermato che egli la versava non per richiesta estorsiva dell’imputato ,ma per adeguarsi alla consuetudine in vigore tra i commercianti di dare soldi per aiutare i familiari dei detenuti.

Sull’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7 la sua insussistenza è dimostrata dall’avvenuto venir meno del clan Varriale e della forza intimidatrice dello stesso, nonchè per l’assenza di condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva.

Il ricorso non merita accoglimento.

La reiterazione della censura sulle modalità dell’aumento della pena a titolo di continuazione non è assolutamente giustificata, a fronte dell’incontestabile esclusione – già fatta rilevare dalla corte di appello- di sussistenza del divieto di calcolare tale aumento per ciascun reato satellite, conformemente alla giurisprudenza, che ha solo affermato la non necessità di un calcolo frazionato (sez. 5^, n. 7164 del 13.1.2011 rv. 249710; sull’obbligo del calcolo frazionato, vedi rv 242873). Quanto alle altre censure, relative alla ricostruzione dei fatti e alla loro valutazione giuridica, va affermata la loro totale infondatezza, in quanto, con esse, il ricorrente pretende la rilettura del quadro probatorio e, contestualmente , il sostanziale riesame nel merito, incompatibile con i limiti del sindacato riconosciuto a questa Corte consistente nella verifica dell’adeguatezza dei passaggi argomentativi, di cui il giudice di merito si è servito per supportare il proprio convincimento (S.U. 24.11.1999 n. 24).

Le sentenze dei giudici di merito – che per il comune apparato logico argomentativo costituiscono il risultato di un organico e inscindibile accertamento giudiziale- hanno delineato, grazie agli accertamenti irrevocabili effettuati dalle sentenze ivi elencate, alle intercettazioni telefoniche, alle dichiarazioni delle persone offese e dei collaboratori, di cui è stata analiticamente vagliata la credibilità intrinseca ed estrinseca, la storia dell’organizzazione malavitosa facente capo al V.. Queste acquisizioni probatorie, il cui fulcro è costituito dalle convergenti dichiarazioni accusatorie di P.L., B. R., B.P., hanno specificamente ricostruito la sua dimensione territoriale, la costante, sanguinaria concorrenza impostata con altri gruppi, l’ingresso e l’esclusione di alcuni componenti, il perdurante numero previsto dalla legge, il ruolo apicale rivestito, con mutevoli ma equivalenti modalità, dal V., anche dopo la scarcerazione. Questo ruolo è stato svolto in modo defilato dal V.. dopo la scarcerazione, avvenuta nel 2002,avendo confermato il ruolo di reggente a P.L., che lo ha svolto fino al 18 aprile del 2003,data dell’arresto. Ciò determinò il correlato ritorno alla gestione diretta dell’associazione, da parte del V., che tenne la contabilità e controllò il traffico di stupefacenti. Ugualmente sono descritti l’allargamento delle imprese criminose e la continua composizione e scomposizione del gruppo diretto dal ricorrente.

A questo generale quadro storico,sulla esistenza dell’associazione, i giudici di merito hanno aggiunto e inserito la descrizione delle specifiche condotte estorsive, commesse al fine di agevolare il sodalizio criminoso, con la forza di intimidazione derivata dal vincolo associativo, in un contesto sociale di assoggettamento e di omertà che ne è derivato.

E’ stato quindi ribadita dalla corte di merito l’infondatezza dell’argomento difensivo, secondo cui V.V. avrebbe spontaneamente effettuato il versamento di Euro 20.000 al V. senza che fosse esternata alcuna minaccia. Infatti il teste Esposito Vincenzo ha rievocato il tono minaccioso dell’invito di incontro, formulato dal V.; è stato inoltre rilevato sul piano logico che il versamento di una notevole somma di denaro ,senza ottenere alcuna garanzia, trova la sua ragion d’essere solo nella provenienza della richiesta dal capo di un sodalizio camorristico, aduso a imporre le proprie pretese con brutale e disumana violenza. E’ logicamente inconsistente l’ulteriore argomento difensivo del ricorrente, secondo cui il V. fu intimidito da una "fama" in realtà non più esistente, perchè riferentesi a periodi precedenti e remoti. Le prove dichiarative,con cui è stato ricostruito il comportamento del V. e l’effetto che fece sulla libertà morale della persona offesa, hanno dimostrato, senza alcuna incertezza, che il primo si è avvalso consapevolmente della capacità di intimidazione, derivante dalla sua appartenenza, in ruolo apicale, al clan camorristico in criminosa operatività.

Quanto all’estorsione in danno degli imprenditori V. G. e B.G., la sottoposizione alla legge del pizzo è stata affermata con incontestabile chiarezza dalle persone offese, che hanno riconosciuto di aver versato la somme mensile come prezzo per poter sopravvivere fisicamente ed economicamente. E’ quindi assolutamente razionale la valutazione della sentenza impugnata ,secondo cui i periodici pagamenti dei titolari dell’esercizio commerciale, pur in assenza di esplicite espressioni minacciose, trovano unica causa in una evidente situazione di diffusa intimidazione, determinata dalla presenza nell’area territoriale del sodalizio criminoso, capeggiato dal ricorrente. I rilievi critici su circostanze marginali (la caratteristiche del sistema di illuminazione della casa del V., il puntuale pagamento della spesa, da parte della moglie del ricorrente) non incidono sulla forza dimostrativa del complesso probatorio acquisito dai giudici.

Identica causa estorsiva i giudici di merito hanno individuato, con piena aderenza alle risultanze processuali e alla loro razionale interpretazione, nel pagamento, da parte di M. di una somma periodica e di materiali edili. Quanto a questi ultimi, è stato correttamente rilevato che il pagamento, imposto a mezzo cambiali, rilasciate da soggetti di incerta solvibilità e senza concrete garanzie da parte del debitore, è da interpretare come risultato di ulteriore condotta intimidatoria, compiuta in danno di chi non aveva concreta possibilità di rifiuto. L’invocazione, a scopo esimente, dell’esistenza dell’uso locale di donare denaro ai criminali della zona , durante la loro carcerazione, ha un’inconsistenza che non necessita di alcuna esposizione argomentativa.

Le censure sulla sussistenza dell’aggravante L. n. 203 del 1991, ex art. 7, sono prospettate con richiamo all’inesistenza dell’associazione camorristica, capeggiata dal V.; la loro infondatezza va quindi affermata con il correlato richiamo alla precisa descrizione effettuata dalle sentenze di primo e secondo grado su dimensione temporale e territoriale del clan Varriale, sulla sua composizione, sulla sua forza organizzativa, finalizzata alla consumazione di delitti di estorsione, omicidi e traffico di droga, al fine di controllo delle attività lecite e illecite del territorio.

Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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