Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 04-07-2011) 16-11-2011, n. 42115

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Palermo confermava la sentenza del 12 marzo 2009 con la quale il Tribunale di Termini Imerese-sezione distaccata di Cefalù aveva dichiarato L. M.A., M.E. e F.G.P. colpevoli del reato di cui alla L. n. 646 del 1982, art. 21 e, per l’effetto, li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia.

Era stato, infatti, accertato:

– che il L.M., legale rappresentante della società consortile R.I.A.L., aveva stipulato, il 7.10.2005, un contratto di appalto con il Comune di Alimena, avente ad oggetto lavori di rifacimento della rete idrica;

– che, successivamente, aveva comunicato alla stazione appaltante di avere stipulato con tale M.E. un contratto di somministrazione di lavoro e con F.S. un contratto di cd. nolo a freddo, avente ad oggetto vari mezzi utilizzati per l’esecuzione delle opere;

– che, nel corso di un sopralluogo effettuato il 6.7.2006, era stata riscontrata la presenza nel cantiere di vari mezzi della ditta Giafer, di cui l’imputato F. era legale rappresentante, risultando, altresì, dipendente della stessa RIAL;

– che, in cantiere, era stata rilevata anche la presenza del M., dipendente dello stesso F., intento ad effettuare opere di pavimentazione;

– che la stazione appaltante non aveva autorizzato l’esecuzione di opere in subappalto.

Avverso la decisione anzidetta i difensori degli imputati hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, ciascuno affidato alle ragioni di censura indicate in parte motiva.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, il difensore del L.M. deduce violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. b) ed e), per erronea applicazione della legge penale nonchè manifesta illogicità di motivazione, con riferimento al reato contestato ed alla valutazione delle risultanze probatorie. Si duole, in particolare, che la colpevolezza dell’imputato sia stata affermata sulla base di mere deduzioni, assumendo che, in base alla vigente disciplina (cd. codice De Lise), il subappalto doveva – a determinate condizioni – equipararsi all’appalto, sicchè non ricorreva la fattispecie di reato in questione.

Il secondo motivo deduce violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) per erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione con riferimento all’elemento soggettivo.

Il primo motivo del ricorso in favore del F. eccepisce violazione dell’art. 606, lett. b) ed e) in relazione alla L. n. 646 del 1982, art. 21 ed all’art. 1571 c.c., con riferimento alla piena liceità del contratto di nolo a freddo stipulato dall’imputato.

Sulla questione anzidetta nessuna motivazione era stata resa dal giudice di appello, che si era limitato a richiamare per relationem la pronuncia di primo grado.

Il secondo motivo deduce identico vizio di legittimità, in relazione anche alla L. n. 55 del 1990, art. 18, con riferimento alla nozione di subappalto penalmente rilevante in base alla previgente normativa.

Il terzo motivo lamenta la mancata declaratoria di estinzione del reato per sopravvenuta prescrizione.

Il primo motivo di ricorso in favore del M. deduce violazione del L. n. 646 del 1982, art. 21, in riferimento alla L. n. 55 del 1990, art. 18 e D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 118, ai sensi dell’art. 606, lett. b) nonchè difetto di motivazione ai sensi dello stesso art. 606 c.p.p., lett. e), con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato in questione.

Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 606, lett. b) ed e), in relazione all’art. 62 bis con riferimento al diniego delle attenuanti generiche.

2. – Nella griglia delle censure proposte dai ricorrenti rilievo certamente pregiudiziale assume la questione della sussistenza dell’ipotesi di reato in contestazione alla stregua della vigente normativa in materia, che – sia pure entro determinati limiti ed a determinate condizioni – ha sancito la liceità dell’affidamento in subappalto od in cottimo di qualsiasi parte di opere o lavori pubblici oggetto di appalto.

All’esame della questione anzidetta giova, certamente, premettere un sintetico excursus delle disposizioni di legge succedutesi in materia.

La norma di riferimento è, innanzitutto, quella di cui all’art. 21 del 13.9.1982, n. 646, che individua gli elementi costitutivi del reato oggetto di contestazione nel presente giudizio, punendo chiunque, avendo in appalto opere riguardanti la pubblica amministrazione, concede anche di fatto in subappalto o a cottimo, in tutto o in parte, le opere stesse, senza l’autorizzazione dell’autorità competente.

La della L. 19 marzo 1990, n. 55, art. 18, comma 3, (Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosità sociale), ha previsto che salvo che la legge non disponga, per specifici interventi ulteriori a diverse condizioni, l’affidamento in subappalto o in cottimo di qualsiasi parte delle opere o dei lavori pubblici compresi nell’appalto è autorizzato dall’ente o dall’amministrazione appaltante, qualora sussistano le seguenti condizioni …: che le opere da subappaltare o da affidare in cottimo, ivi compresi gli impianti e lavori speciali, di cui … non superino complessivamente il quaranta per cento dell’importo netto di aggiudicazione dell’appalto con limite massimo del quindici per cento per le opere della categoria prevalente.

Il comma 12 del citato art. 18 precisava poi che è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo dei lavori affidati o di importo superiore a 100.000 ECU e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare. La norma anzidetta è stata riprodotta dal D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, art. 118, comma 11, (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture), secondo cui è considerato subappalto qualsiasi contratto avente ad oggetto attività ovunque espletate che richiedono l’impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli a caldo, se singolarmente di importo superiore al 2 per cento dell’importo delle prestazioni affidate o di importo superiore a 100.000 Euro e qualora l’incidenza del costo della manodopera e del personale sia superiore al 50 per cento dell’importo del contratto da affidare.

Dall’insieme normativo anzidetto emerge che il legislatore ha via via puntualizzato la nozione giuridica di subappalto lecito, fissando una soglia quantitativa (due per cento del valore complessivo delle opere affidate), che, inserita – per integrazione – nella struttura normativa del reato contravvenzionale di cui alla L. n. 646 del 1982, art. 21 e successive modifiche, segna il limite del penalmente lecito, secondo la discrezionale determinazione del legislatore che ha individuato in quella misura percentuale ovvero in determinati limiti quantitativi la soglia di presumibile appetibilità di infiltrazione mafiosa nell’affidamento delle opere pubbliche. Il regime normativo emergente dal combinato disposto delle norme citate è, pacificamente, applicabile alla fattispecie, avuto riguardo alla data di commissione del reato (6 luglio 2006).

Orbene, l’impostazione complessiva della pronuncia impugnata si arresta al rilievo dell’accertato impiego di forza lavoro di terzi nell’esecuzione dell’appalto e della mancanza di autorizzazione da parte della stazione appaltante, omettendo di valutare, alla stregua del delineato quadro normativo, il rispetto o meno – per ciascun rapporto in esame – degli indici quantitativi anzidetti, che, per quanto si è detto, costituivano, in buona sostanza, la soglia di punibilità della fattispecie in contestazione. Occorreva, invece, stabilire se, in concreto, vi fossero le condizioni previste dalle suddette disposizioni normative ai fini della configurabilità della fattispecie del subappalto lecito e, in particolare, se si trattava di contratto di importo superiore al 2% del valore delle prestazioni affidate.

Ad un’indagine siffatta occorre, dunque, provvedere, tenendo peraltro conto che la percentuale anzidetta deve essere calcolata sul valore finale e complessivo dei lavori e non già su quello iniziale o parziale, suscettibile di modificazione, secondo l’insegnamento di Cass. sez. 3, 1.12.2010, n. 1551, rv. 249531 (cfr, pure, Cass. sez. 6, 17.1.2005, n. 39913, riv. 233470, secondo cui la contravvenzione di cui alla L. 13 settembre 1982, n. 646, art. 21, non è configurabile nel caso di contratti di cd. "nolo a caldo" che, qualora non superino determinati valori in relazione alla percentuale dei lavori affidati, sono esclusi dall’ambito del subappalto dalla L. 19 marzo 1990 n. 55, esclusione che si giustifica in quanto si tratta di attività che si pongono in rapporto del tutto marginale e trascurabile rispetto all’intero appalto, tanto da far venire meno qualsiasi rischio di interessamento da parte di consorterie criminali).

3. – L’omessa valutazione di cui si è detto si è tradotta in vizio di violazione di legge, che ha inficiato la sentenza impugnata e ne comporta, ora, l’annullamento nei termini di cui in dispositivo. Il giudice del rinvio, nel procedere a nuovo esame, si atterrà al principio di diritto dianzi indicato.

Ogni altra censura resta assorbita dall’accoglimento del motivo principale.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Palermo per nuovo esame.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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