Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8304 Procedimento e punizioni disciplinari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il professor R.L. conveniva dinanzi al Tribunale di Ancona l’Università Politecnica delle Marche, di cui egli era docente, esponendo che il Rettore, con Decreto 3 febbraio 1994, n. 794, gli aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio per sei mesi ai sensi del R.D. n. 1592 del 1933, art. 87 e, con successivo Decreto n. 2566 dello stesso anno, integrativo del primo, aveva comminato la sanzione accessoria – in analogia a quanto previsto dall’art. 89 del predetto R.D. – della ulteriore interdizione per dieci anni dalle funzioni direttive e di coordinamento riservate ai professori ordinari; tali decreti erano illegittimi, secondo l’attore, per carenza del potere rettorale di irrogare la sanzione accessoria, non essendo tale sanzione prevista dalla legge e, comunque, essendo la eventuale previsione normativa in contrasto con i principi costituzionali; in relazione ad essi, pertanto, veniva domandata la declaratoria di nullità, o la disapplicazione, previa eventuale rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità dell’art. 89 cit., ove interpretato nel senso di consentire la sanzione accessoria dell’interdizione per dieci anni anche in caso di sospensione dall’ufficio e dallo stipendio inferiore ad un anno.

1.1. – Costituitasi l’Università, che resisteva alla pretesa eccependo anche la carenza di giurisdizione del giudice ordinario, il Tribunale, con sentenza del 17 febbraio 2003, disattesa quest’ultima eccezione, respingeva la domanda.

2. – Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Ancona, che, con la sentenza qui impugnata, respingeva il gravame del dipendente. In particolare, la Corte di merito, ribadita preliminarmente la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario, rilevava che l’irrogazione della sanzione accessoria, contestata dal R., era avvenuta nel rispetto dell’art. 89 cit., secondo comma, che prevede, nell’ultima parte, che il docente che sia incorso nella punizione di cui all’art. 87, n. 2, non può per dieci anni essere nominato rettore, o direttore di istituto, o preside di facoltà o scuola; la disposizione, quindi, consentiva, nella specie, la sanzione accessoria, a prescindere dalla effettiva durata della sanzione dell’interdizione e per il solo fatto della avvenuta irrogazione di questa; il che, d’altra parte, non suscitava dubbi di illegittimità costituzionale, come invece ipotizzato dal docente.

3. – La cassazione di questa sentenza viene domandata dal R. con sette motivi di impugnazione, illustrati anche con memoria.

L’Università non ha svolto difese.

Motivi della decisione

1.- In via preliminare, occorre rilevare che il ricorso, notificato il 20 ottobre 2010 dopo che la sentenza della Corte d’appello di Ancona era stata notificata il 14 luglio 2010, è ammissibile, ai sensi dell’art. 325 c.p.c., dovendosi tener conto, in ragione del rito applicato dal giudice a qua, della sospensione dei termini processuali durante il periodo feriale. Ed infatti rileva proprio il rito adottato dal giudice che, a prescindere dalla sua esattezza, costituisce per la parte il criterio di riferimento, anche ai fini del computo dei termini previsti per le attività processuali, con la conseguenza che, ove una controversia in materia di lavoro, come quella in esame (in cui l’applicazione di sanzioni disciplinari inerisce al rapporto di pubblico impiego), sia erroneamente trattata fino alla conclusione con il rito ordinario, trova applicazione il principio dell’apparenza o dell’affidamento, per il quale la scelta fra i mezzi, i termini ed il regime di impugnazione astrattamente esperibili va compiuta in base al tipo di procedimento effettivamente svoltosi, a prescindere dalla congruenza delle relative forme rispetto alla materia controversa (cfr. Cass., sez. un., n. 390 del 2011; in analoghe fattispecie, Cass. n. 24412 del 2008; n. 2694 del 2010).

2.- Il ricorso si articola in sette motivi.

2.1.- Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 324 c.p.c., rilevandosi che la Corte d’appello non avrebbe dovuto esaminare la questione di giurisdizione che sul punto si era formato il giudicato interno in difetto di appello incidentale dell’Università. 2.2.- Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1592 del 1933, artt. 87 e 89. Si sostiene che il ricorrente, docente universitario e direttore di istituto, esonerato dalle funzioni accademiche per la durata di sei mesi a seguito di sospensione, non poteva essere soggetto alla sanzione accessoria decennale, comportante per un intero decennio la impossibilità di ricoprire alcuna funzione e di essere nominato alle cariche previste dall’art. 89 cit.; tale sanzione accessoria, infatti, non poteva che essere connessa, esclusivamente, alla sanzione della sospensione di un anno.

2.3- Col terzo motivo si denuncia vizio di motivazione, essendo del tutto immotivata la diversa interpretazione fornita dalla Corte di merito, pur in presenza di specifiche deduzioni da parte del R..

2.4.- Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 89 cit., sostenendosi che la sanzione accessoria doveva comunque essere riferita all’interdizione da incarichi accademici apicali presso altre università, e non presso l’università di appartenenza.

2.5.- Il quinto motivo denuncia vizio di motivazione, lamentando che siano state immotivatamente disattese le deduzioni del ricorrente circa la violazione dei principi costituzionali – in particolare, di proporzionalità e di ragionevolezza – in caso di interpretazione dell’art. 89 cit., nel senso voluto dall’Università. 2.6.- Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 89 e degli art. 84-92 R.D. cit., sostenendosi che la sanzione accessoria non poteva essere applicata, per analogia, ad incarichi diversi da quelli indicati nello stesso art. 89. 2.7.- Il settimo motivo denuncia vizio di motivazione in ordine alla predetta deduzione di inapplicabilità della sanzione accessoria, in particolare con riferimento all’incarico di coordinatore del dottorato di ricerca.

3.- L’esame delle censure, così sintetizzate, ne rivela la infondatezza e, in alcuni profili, la inammissibilità. 3.1.- Inammissibile, per carenza di interesse, è il primo motivo, poichè l’esame della questione di giurisdizione, pur in presenza del giudicato interno, ha determinato la dichiarazione della giurisdizione del giudice ordinario, adito dal ricorrente, sì che, al riguardo, non si configura alcuna statuizione in pregiudizio di quest’ultimo.

3.2.- Ugualmente inammissibili sono le censure, contenute nel terzo e nel settimo motivo, con cui si lamentano difetti di motivazione nella interpretazione dell’art. 89 cit.. Ed infatti il difetto di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti, non anche l’interpretazione di norme giuridiche; quest’ultima, infatti, può essere apprezzata sotto il profilo dell’error in indicando e può portare o alla cassazione della sentenza, se la violazione o falsa applicazione di norme di diritto ha dato luogo ad un dispositivo contrario alla legge, ovvero alla integrazione o correzione, a norma dell’art. 384 c.p.c., comma 2, quando il dispositivo sia comunque conforme al diritto pur se manchi o sia erronea la motivazione (cfr.

Cass. n. 19618 del 2003; n. 6328 del 2008).

3.3.- Sono infondate le censure di cui ai restanti motivi, con la precisazione che il quinto motivo si sottrae alla inammissibilità, sotto i profili sopra evidenziati, in quanto, a prescindere dalla intitolazione riferita all’art. 360 c.p.c., n. 5, esso vale a proporre, anche in questa sede, le questioni di legittimità costituzionale già disattese dal giudice di merito (cfr. Cass. n. 11688 del 2008).

3.3.1.- Il R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, recante l’approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore, prevede una specifica regolamentazione dei doveri e della disciplina dei professori delle università (art. 87, e segg.). Come questa Corte ha già avuto modo di precisare, il decreto non risulta espressamente abrogato da successive normative, intese a disciplinare in maniera organica il rapporto di impiego del personale delle università (cfr.

L. 18 marzo 1958, n. 311, art. 12; L. 16 gennaio 2006, n. 18, art. 3), nè si configura abrogazione tacita per incompatibilità (cfr.

Cass. n. 20582 del 2008); recentemente, poi, l’art. 10, comma 2, della L. 30 dicembre 2010, n. 240 ha espressamente previsto l’applicabilità al personale docente universitario delle sanzioni "previste dall’art. 87 T.U. leggi sull’istruzione superiore di cui al R.D. 31 agosto 1933, n. 1592"; e il rinvio normativo è da ritenersi esteso, per ragioni sistematiche, anche alle previsioni dell’art. 89.

Le norme sulle sanzioni disciplinari, peraltro, devono ritenersi integrate da quelle previste dalla L. 25 ottobre 1977, n. 808, per cui le sanzioni a carico dei docenti universitari sono inflitte dal Rettore su conforme parere di una Corte di disciplina.

Rileva nella controversia in esame il disposto degli artt. 87 e 89 del predetto R.D..

Per l’art. 87, ai professori possono essere inflitte, secondo la gravita delle mancanze, le seguenti punizioni disciplinari: n. 1, la censura; n. 2, la sospensione dall’ufficio e dallo stipendio fino ad un anno; n. 3, la revocazione; n. 4, la destituzione senza perdita del diritto a pensione o assegni.

Per l’art. 89, le punizioni di cui ai numeri 2, 3, 4 e 5 dell’art. 87 si applicano secondo i casi e le circostanze per le seguenti mancanze: grave insubordinazione; abituale mancanza ai doveri d’ufficio; abituale irregolarità di condotta; atti, in genere, che comunque ledano la dignità o l’onore del professore. La punizione di cui al n. 2 importa, oltre la perdita degli emolumenti, l’esonero dall’insegnamento, dalle funzioni accademiche e da quelle ad esse connesse, e la perdita, ad ogni effetto, dell’anzianità per tutto il tempo della sua durata. Il professore che sia incorso nella medesima punizione non può per dieci anni solari essere nominato rettore di università o direttore di istituto, preside di facoltà o scuola.

3.3.2.- La ricognizione normativa consente di configurare la sanzione accessoria della interdizione da determinati incarichi universitari, per dieci anni solari, in caso di applicazione della sanzione della sospensione dall’ufficio e dallo stipendio.

La durata della sanzione accessoria è dunque predeterminata e consegue alla semplice applicazione della sanzione principale, a prescindere dalla effettiva durata di questa secondo la specifica determinazione adottata dall’organismo disciplinare.

Il meccanismo non può dirsi atipico, nell’ambito delle sanzioni accessorie temporanee, là dove la durata può essere fissata in modo particolare dalla legge e, in mancanza di tale previsione, può avere una durata uguale a quella della sanzione principale inflitta. La diversità e la modulazione delle sanzioni accessorie rispondono, infatti, al carattere essenzialmente preventivo, anzichè meramente retributivo, delle medesime, la cui funzione è quella di evitare la possibilità che la grave condotta – sanzionata in via principale – possa reiterarsi con ulteriore pregiudizio per il bene tutelato; e ciò spiega, altresì, che alla predeterminazione della durata possa accompagnarsi, come nella specie, la obbligatorietà della sanzione accessoria, quale effetto automatico che accede alla sanzione a prescindere da ogni potere discrezionale in ordine alla necessità, o meno, della ulteriore inflizione.

3-3-3- Con queste premesse, si rivela manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale avanzato dal ricorrente, poichè il criterio della proporzionalità è connesso a sanzioni a carattere retributivo, in cui l’entità della sanzione non può che dipendere dalla modalità della condotta e dalla intensità dell’elemento soggettivo, mentre le sanzioni a carattere preventivo sono riferite alla gravita oggettiva della sanzione principale e conseguono semplicemente alla avvenuta inflizione, ben potendo essere rimessa al Legislatore la scelta di prefissare la durata della sanzione accessoria, a prescindere dalla entità della sanzione concretamente inflitta in via principale, in ragione della distinta esigenza di prevenire il rischio del ripetersi della condotta sanzionata.

3.3.4.- Corollario di tale funzione di prevenzione è che la preclusione alla nomina di incarichi direttivi, prevista nell’ultima parte della norma in esame, non può che riferirsi, anzitutto, alla medesima struttura universitaria per la quale è stata applicata la sospensione dalle funzioni di docente. E, d’altra parte, l’indicazione di tali incarichi neanche può ritenersi tassativa, o comunque specificamente riferita a definizioni formali degli incarichi e delle relative strutture, poichè l’intento della norma è quello di precludere – per il docente che sia stato sospeso dalle funzioni ai sensi dell’art. 87, n. 2 – la preposizione a funzioni di direzione di strutture universitarie complesse, fra le quali rientra la l’unzione di coordinamento del corso di dottorato di ricerca; e, peraltro, ciò non determina l’applicazione, in via analogica, della sanzione accessoria ad una ipotesi non contemplata dalla legge, trattandosi soltanto di interpretare la portata e l’ampiezza della disciplina normativa, in relazione alla richiamata funzione preventiva della sanzione prevista.

4.- In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

5.- Nulla per le spese in assenza di attività difensive della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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