Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8303 Carriera inquadramento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- C.V. e M.P. ricorrevano al Tribunale di Viterbo, giudice del lavoro, esponendo di essere dipendenti dell’INPS e di avere svolto, rispettivamente, dal 29 settembre 1992 al 30 aprile 2001 e dal 9 maggio 1994 al 31 dicembre 1999 mansioni dirigenziali, a seguito di formale incarico di dirigente presso la sede di (OMISSIS), e cioè il C. quello di responsabile dell’Ufficio "prestazioni non pensionistiche" e il M. quello di responsabile dell’Ufficio "riscossione contributi, vigilanza e recupero crediti". Domandavano, perciò, di dichiararsi il loro diritto all’inquadramento nella dirigenza con la condanna dell’Istituto al pagamento del relativo trattamento retributivo o, in subordine, al pagamento delle sole differenze retributive per lo svolgimento degli incarichi dirigenziali svolti.

2.- L’INPS si costituiva eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l’infondatezza della domanda.

3.- Con sentenza non definitiva il Tribunale dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario per il periodo anteriore al 30 giugno 1998 e, con successiva decisione, accoglieva in parte la domanda, per il restante periodo, e condannava l’Istituto al pagamento delle differenze di retribuzione.

4.- Tale decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Roma, che, con la sentenza ora impugnata, respingeva, per la parte che qui interessa, il gravame proposto dall’INPS. In particolare, la Corte di merito rilevava che dalla documentazione prodotta in primo grado era risultato che i dipendenti avevano ricoperto posti di dirigente previsti nella dotazione organica, mentre l’Istituto aveva prodotto tardivamente alcuni documenti, tra cui la Delib. n. 799 del 1998, intesi a dimostrare la riduzione dei posti di dirigente da tale data, con la conseguente corrispondenza delle funzioni dei dipendenti a quelle di assegnazione, di natura non dirigenziale.

5.- Di questa sentenza l’INPS domanda la cassazione con unico motivo.

I dipendenti resistono con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Il ricorso dell’Istituto si articola in un unico, complesso, motivo, con cui si deduce vizio di motivazione e violazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 e successive modificazioni. Si lamenta che la sentenza impugnata abbia attribuito all’INPS l’onere di dimostrare il carattere dirigenziale delle mansioni svolte dai dipendenti, anche in epoca successiva al 1998, e abbia, peraltro, omesso di considerare che la documentazione prodotta mostrava l’avvenuta riorganizzazione degli uffici e l’assegnazione dei medesimi a funzioni non più implicanti compiti di responsabile di un ufficio. Si deduce, poi, che la nuova organizzazione contemplata da tale disposizione, riprodotta nel D.Lgs. n. 80 del 1998 e nel D.Lgs. n. 165 del 2001, aveva previsto la immediata soppressione della qualifica di primo dirigente, con la ridelinizione dei compiti affidati, in precedenza, a tale figura; e il nuovo assetto era divenuto operativo già dal maggio 1998, nonchè con l’approvazione del regolamento di organizzazione approvato con Delib. n. 799 del 1998. 2.- Il ricorso è fondato.

2.1.- La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di affrontare le tematiche qui sollevate (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 10540/2007; 19025/2007; 22890/2008; 23567/2008; 25578/2008;

17367/2010; 4757/2011), con l’affermazione del principio secondo cui a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 27, ha imposto la riorganizzazione della P.A. in relazione ai principi di cui all’art. 4 del medesimo decreto, rendendo da subito incompatibili le norme sulla dirigenza pubblica vigenti. Ne consegue che, qualora l’ente pubblico (nella specie, l’INPS), nell’adeguarsi al nuovo modello organizzativo, mantenga transitoriamente un assetto ad esso non corrispondente, la corrispondenza delle funzioni esercitate al modello dirigenziale dovrà esser riferita alle nuove regole senza che assumano rilievo le eventuali attribuzioni del consiglio di amministrazione dell’ente in materia di incarichi dirigenziali, non potendo darsi ultrattività o reviviscenza di regole sulla dirigenza pubblica del tutto incompatibili con il nuovo ordinamento.

In particolare è stato osservato che dal rilievo secondo cui il differimento del nuovo assetto costituiva una conseguenza logicamente necessaria, non potendo le nuove mansioni dirigenziali essere esercitata senza quel modello, non può trarsi l’ulteriore conseguenza che le mansioni esercitate secondo il modello precedente mantenessero il loro carattere dirigenziale, poichè tale conclusione non considera che una siffatta ultima attività avrebbe in definitiva comportato la reviviscenza di regole sulla dirigenza pubblica del tutto incompatibili con le norme recate dal D.Lgs. n. 80 del 1998 (poi consolidate con il D.Lgs. n. 165 del 2001). E infatti in base già a tale decreto, comportante la c.d. privatizzazione del rapporto dell’impiego pubblico, è dirigenziale solo la funzione che risponde al modello ivi disegnato, cosicchè, anche qualora l’ente pubblico mantenga transitoriamente un assetto non corrispondente al nuovo modello, la valutazione delle funzioni che si esercitano in tale organizzazione, per stabilire se esse siano o no dirigenziali, dovrà essere riferita alle nuove regole e non a quelle precedenti.

2.2.- Tali argomentazioni sono di carattere assorbente e tolgono rilievo alla ulteriore questione, sollevata dai resistenti, della allegazione e produzione in giudizio degli atti e provvedimenti dell’Istituto attuativi del nuovo assetto (in relazione alla quale, peraltro, questa Corte ha reputato che essa rappresenti mera integrazione del complessivo assetto difensivo e probatorio: cfr.

Cass. n. 4757/2011, cit.).

3.- In base a tali principi il ricorso merita accoglimento, dovendosi perciò cassare la sentenza impugnata.

4.- La causa può essere decisa nel merito, non essendovi accertamenti ulteriori da compiere e dovendosi rigettare la domanda attorca in toto.

5.- Si compensano le spese dell’intero processo in ragione dell’esito dei giudizi di merito e del consolidarsi recente della giurisprudenza nella materia in esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda. Compensa le spese dell’intero processo.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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