Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8299 Dimissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

T.G. convenne in giudizio la Sirio 2003 srl per sentir dichiarare l’invalidità o l’inefficacia di qualsiasi atto di rinunzia e/o transazione dei propri diritti di lavoratore, nonchè dei successivi licenziamenti disciplinari irrogatigli dalla società convenuta in data 3.11.2005 e in data 30.12.2005, con conseguente reintegra nel posto di lavoro e condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni, nonchè per sentir dichiarare il suo diritto ad un inquadramento superiore, con ogni conseguenza giuridica ed economica.

Il T. allegò l’invalidità e comunque l’inefficacia delle dimissioni sottoscritte in data 24.10.2005, per essere state le stesse affette da vizio della volontà (sostenendo che sarebbero state firmate in uno stato di incapacità di intendere e di volere in cui era stato messo dai modi pressanti operati dal datore di lavoro e dalla minaccia da questi effettuata di denunciarlo in sede penale) e per essere state le stesse comunque revocate con atto scritto il giorno successivo (revoca che sarebbe stata implicitamente accettata dalla Società datrice, la quale aveva successivamente provveduto a licenziarlo due volte e a retribuirlo sino alla data del primo di tali atti di recesso).

Il primo Giudice ritenne validamente effettuate le dimissioni ed inefficace la loro revoca, con conseguente assorbimento delle questioni inerenti agli impugnati licenziamenti; accolse invece parzialmente la domanda di superiore inquadramento.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 19.10.2009 – 18.1.2010, accogliendo parzialmente il gravame del T., dichiarò l’illegittimità dei licenziamenti, con conseguente applicazione della tutela reale.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, per ciò che ancora qui rileva, ritenne quanto segue:

– il lavoratore non aveva fornito, come sarebbe stato suo onere, dimostrazione di avere sottoscritto le dimissioni per violenza morale o in istato di incapacità d’intendere e di volere;

la revoca delle dimissioni era stata invece accettata dalla parte datoriale per facta concludentia (irrogazione di due successivi licenziamenti; pagamento della retribuzione fino alla data di intimazione del primo), testimonianti la persistenza del rapporto di lavoro;

– il primo licenziamento era illegittimo, perchè non preceduto dalla contestazione dell’addebito;

parimenti illegittimo era anche il secondo, non avendo la parte datoriale, decaduta dalle prove perchè tardivamente costituitasi, dimostrato la sussistenza della giusta causa posta a suo fondamento;

– la totale decadenza della parte datoriale, anche in relazione alla documentazione tardivamente dimessa, impediva l’ammissibilità officiosa di altri mezzi istruttori;

– trovava applicazione la tutela reale, non avendo la parte datoriale dimostrato l’insussistenza del requisito numerico ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18.

Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, la Sirio 2003 srl ha proposto ricorso per cassazione fondato su quattro motivi.

L’intimato T.G. ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, assumendo che i due licenziamenti andavano considerati alla stregua di un comportamento concludente dal quale si sarebbe piuttosto dovuto desumere l’inequivoca volontà della parte datoriale di respingere le dimissioni.

1.1 Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie.

Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni de giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005;

15693/2004; 2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002).

Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione sui punto, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 14212/2010; 14911/2010).

In definitiva, quindi, le doglianze della ricorrente si sostanziano nella esposizione di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e nella richiesta di un riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in questa sede di legittimità. 2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1218 c.c., deducendo che la ritenuta accettazione delle dimissioni era stata effetto della sentenza resa in sede di gravame e, pertanto, anche con riferimento al diritto alla retribuzione, doveva essere riconosciuta la sua efficacia soltanto ex nunc. 2.1 Il motivo è palesemente infondato, perchè la sentenza impugnata non ha sul punto efficacia costitutiva, ma piuttosto dichiarativa della volontà della parte datoriale manifestatasi per facta concludentia.

Peraltro, quanto alle retribuzioni, va osservato che la relativa condanna discende dall’intervenuta dichiarazione di illegittimità dei licenziamenti, in applicazione del disposto della L. n. 300 del 1970, art. 18. 3. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia nullità della sentenza impugnata, in riferimento all’art. 112 c.p.c., per non avere il dispositivo stabilito che le dimissioni erano state validamente revocate.

3.1 Secondo la giurisprudenza di questa Corte la portata precettiva di una sentenza va individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione, così che, in assenza di un vero e proprio contrasto tra dispositivo e motivazione, è da ritenersi prevalente la statuizione contenuta in una di tali parti del provvedimento, che va, per l’effetto, interpretato in base all’unica statuizione che, in realtà, esso contiene (cfr., ex plurimis, Cass., n. 12518/2001).

Nel caso di specie non è ravvisabile alcun contrasto tra motivazione e dispositivo, posto che la rilevata accettazione della revoca delle dimissioni costituisce il presupposto logico giuridico della disamina delle questioni inerenti ai successivi licenziamenti e della statuizione della loro illegittimità.

Anche il motivo all’esame va dunque disatteso.

4. Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione ( art. 360 c.p.c., n. 5) la ricorrente si duole che la Corte territoriale abbia ritenuto l’insussistenza degli estremi per l’esercizio dei poteri istruttori officiosi.

4.1 Il motivo, prima ancora che infondato (avendo la Corte territoriale fatto corretta applicazione del principio secondo cui, nel rito del lavoro, i mezzi istruttori, preclusi alle parti, possono essere ammessi d’ufficio, ma presuppongono, tuttavia, la previa rituale acquisizione di altri mezzi istruttori, che siano meritevoli dell’integrazione affidata alle prove officiose: cfr, ex plurimis, Cass., n. 17178/2006), è inammissibile, poichè gli errores in procedendo, nell’ambito dei quali rientra la dedotta violazione delle norme disciplinanti il potere-dovere di integrazione officiosa delle prove attribuito al giudice dagli artt. 421 e 437 c.p.c., deve essere denunciato in cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, e non già quale vizio di motivazione ai sensi del successivo n. 5, posto che quest’ultimo motivo di impugnazione attiene esclusivamente all’accertamento e alla valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 3190/2006; 11034/2003; 317/2002; 12790/2000).

5. In definitiva il ricorso va rigettato.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00 (quaranta), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, spese generali, IVA e CPA come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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