Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 25-05-2012, n. 8298 Dimissioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

L.G., a seguito di procedimento cautelare a lui favorevole, riassunse il giudizio nei confronti della ex datrice di lavoro Denso Thermal Systems spa, chiedendo l’annullamento delle dimissioni che, asseritamente, aveva rassegnato cedendo alla pressione psicologica e alla minacce di licenziamento e di arresto rivoltegli dal capo del personale e dal responsabile della sicurezza aziendale, avanti ai quali era stato condotto a seguito del rinvenimento, nei locali dell’impresa, di un pacchetto di sigarette nel quale aveva riposto la propria tessera budget, la carta bancomat e una modica quantità di marijuana.

Il primo Giudice respinse la domanda e il gravame svolto dal L. venne rigettato dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 30.6- 23.9.2009.

A sostegno del decisum la Corte territoriale osservò che:

– non vi era prova che la parte datoriale avesse indotto il lavoratore a rassegnare le dimissioni mediante violenza o altra minaccia, tale da viziare il suo consenso; anzi era stato proprio il lavoratore a offrire le dimissioni in cambio della possibilità di evitare l’inizio di un procedimento disciplinare a suo carico ed una denuncia, le quali avrebbero determinato la pubblicità del caso e la lesione della sua reputazione;

– dalle risultanze testimoniali era risultato che era stato lo stesso lavoratore, una volta ammessa l’appartenenza della sostanza stupefacente, a prospettare la possibilità di dimettersi, tanto che era stato invitato a riflettere sul punto, dando comunque una risposta entro la serata; non vi era stata pertanto conferma della versione resa dal lavoratore circa le modalità intimidatorie asseritamente utilizzate nei suoi confronti;

– la parte datoriale si era in effetti limitata a preannunciare l’inizio di un procedimento cautelare, dall’esito peraltro nient’affatto scontato, e la possibilità di denunciare l’accaduto;

– il fatto era indubbiamente rilevante sul piano disciplinare (introduzione di sostanze stupefacenti in ambito lavorativo) e penale (la circostanza del rinvenimento di sostanze stupefacenti, ancorchè di modica quantità, non involgendo di per sè solo un uso personale);

– avendo poi in un primo tempo il lavoratore negato l’appartenenza della sostanza e, quindi, anche un suo utilizzo personale, giustamente il responsabile aziendale aveva dato immediata disposizione di denunziare l’accaduto alle forse di polizia, posto che il fatto fino a quel momento accertato integrava gli estremi di un reato procedibile di ufficio;

– una volta che il L. ebbe ammesso l’appartenenza degli stupefacenti rinvenuti, del tutto legittimamente la parte datoriale riconsiderò la vicenda, riservandosi la possibilità di denunziare o meno l’accaduto;

– pertanto la minaccia, nei termini descritti nel ricorso introduttivo, di arresto immediato e di licenziamento, di divulgazione della vicenda in ambito familiare e lavorativo, da evitarsi con le dimissioni, così come l’impossibilità di contattare soggetti qualificati per consigliarsi, non avevano trovato alcun riscontro in sede processuale; – nell’accertato contesto, essendo intervenute le dimissioni al di fuori di ogni intimidazione o violenza giuridicamente rilevanti, doveva ritenersi del tutto legittimo l’accordo intervenuto nell’occasione.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, L. G. ha proposto ricorso per cassazione fondato su un unico motivo. L’intimata Denso Thermal Systems spa ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia violazione degli artt. 1434 e 1435 c.c., nonchè vizio di motivazione, deducendo che la Corte territoriale avrebbe dovuto verificare se l’iniziativa personale di esso ricorrente fosse stata eterodeterminata dal comportamento coercitivo e comunque intimidatorio della parte datoriale, considerando tutte le particolarità del caso concreto;

anche la rappresentazione di fare uso dei proprio diritto può infatti qualificarsi come minaccia, se tale uso violi i doveri di correttezza e buona fede e, nel caso di specie, a seguito delle rese dimissioni, la parte datoriale aveva omesso di comunicare l’accaduto all’Autorità giudiziaria; il comportamento datoriale era stato quanto meno sproporzionato rispetto alla concreta dinamica dei fatti e non poteva esser considerato legittimo, posto che un fatto di rilevanza penale o più in generale un illecito non era proprio configurabile, non costituendo reato la detenzione di stupefacenti per uso personale e dovendo ritenersi che la modesta quantità della sostanza rinvenuta rendeva evidente la sua destinazione ad un uso personale piuttosto che di spaccio; la circostanza che alle dimissioni fosse seguita l’omissione della denuncia stava a dimostrare che la parte datoriale aveva raggiunto il proprio obiettivo di allontanamento del dipendente; l’accordo sottostante alle dimissioni doveva esser considerato quale elemento di coartazione del lavoratore a dimettersi, atteso che anche l’uso strumentale di mezzi leciti e di azioni astrattamente consentite può assumere una valenza mediata di coartazione.

2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte le dimissioni del lavoratore, rassegnate sotto minaccia di licenziamento per giusta causa, sono suscettibili di essere annullate per violenza morale solo qualora venga accertata – e il relativo onere probatorio è carico del lavoratore che deduca l’invalidità dell’atto di dimissioni – l’inesistenza del diritto del datore di lavoro di procedere al licenziamento per insussistenza dell’inadempimento addebitato al dipendente, dovendosi ritenere che, in detta ipotesi, il datore di lavoro, con la minaccia del licenziamento, persegua un risultato non raggiungibile con il legittimo esercizio del proprio diritto di recesso (cfr, Cass., n. 24405/2008); al contempo l’apprezzamento del giudice di merito circa l’esistenza e l’idoneità della minaccia a coartare la volontà di una persona si traduce in un giudizio di fatto, incensurabile in cassazione ove adeguatamente motivato (cfr, Cass., n. 13035/2003). Nel caso di specie la Corte territoriale, sulla scorta delle risultanze istruttorie esaminate, ha escluso, così come diffusamente esposto nello storico di lite, che vi fosse stata minaccia di arresto immediato e di licenziamento, rilevando invece che il fatto nella sua materialità era oggettivamente di rilevanza disciplinare e che, riguardo al medesimo, soprattutto per come si era presentato in un primo tempo ai dirigenti aziendali, non potevano neppure essere negati profili di rilevanza penale.

Inoltre, su un piano più generale, va considerato che, secondo il costante orientamento di questa Corte, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, essendo del tutto estranea all’ambito del vizio in parola la possibilità, per la Corte di legittimità, di procedere ad una nuova valutazione di merito attraverso l’autonoma disamina delle emergenze probatorie. Per conseguenza il vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo qualora, nel ragionamento del giudice di merito, siano rinvenibile tracce evidenti del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero qualora esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione; per conseguenza le censure concernenti i vizi di motivazione devono indicare quali siano gli elementi di contraddittorietà o illogicità che rendano del tutto irrazionali le argomentazioni dei giudice del merito e non possono risolversi nella richiesta di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata nella sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 824/2011; 13783/2006; 11034/2006; 4842/2006; 8718/2005; 15693/2004;

2357/2004; 12467/2003; 16063/2003; 3163/2002). Al contempo va considerato che, affinchè la motivazione adottata dal giudice di merito possa essere considerata adeguata e sufficiente, non è necessario che essa prenda in esame, al fine di confutarle o condividerle, tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in questo caso ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (cfr, ex plurimis, Cass., n. 12121/2004).

Nel caso all’esame la sentenza impugnata ha esaminato tutte le circostanze rilevanti ai fini della decisione, svolgendo un iter argomentativo esaustivo, coerente con le emergenze istruttorie acquisite e immune da contraddizioni e vizi logici; le valutazioni svolte e le coerenti conclusioni che ne sono state tratte configurano quindi un’opzione interpretativa del materiale probatorio del tutto ragionevole e che, pur non escludendo la possibilità di altre scelte interpretative anch’esse ragionevoli, è espressione di una potestà propria del giudice del merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 14212/2010; 14911/2010).

Per contro il ricorrente, lungi dal dimostrare l’esistenza di vizi logici nelle argomentazioni della Corte territoriale, si limita nella sostanza a prospettare una diversa interpretazione dei fatti, svincolata peraltro da obiettivi e precisi riscontri probatori che valgano a corroborarla. 3. Conseguentemente il motivo – e con esso il ricorso che sul medesimo si fonda – non può trovare accoglimento. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 40,00 (quaranta/00), oltre ad Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, spese generali, Iva e Cpa come per legge.
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